La nostalgia nei videogiochi non fa più prigionieri

Nonostante la gioventù del medium videoludico, la nostalgia è un’arma formidabile per il suo pubblico. Niente di troppo grave: basta esserne consapevoli.

Immagine di La nostalgia nei videogiochi non fa più prigionieri
Avatar

a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

1

«La nostalgia non è mica arrivata con Oblivion, c’era anche prima eh!»

Lo so, lo so, non vi agitate.

So bene che aziende come SEGA, PlayStation e Nintendo ci campano da almeno 15-20 anni, tra videogiochi e prodotti collaterali di merchandise.

La Virtual Console, le console mini che hanno creato un mercato a sé per un certo periodo, porting, rifacimenti, edizioni speciali di ogni tipo.

Ogni realtà che abbia una storia abbastanza lunga alle spalle da essere raccontata sfrutta il potere nella nostalgia.

«Viaggiare nel tempo è il più grande potere dei videogiochi», dicevo io su queste pagine tempo fa. La nostalgia ci riporta «in un posto dove sappiamo di essere amati», diceva Donald Draper in una delle scene più iconiche di Mad Men, illustrando la campagna pubblicitaria del futuro proiettore di diapositive di Kodak.

Tra me e Donald Draper c’è giusto un completo di alta sartoria di differenza, ma sono dell’idea che nelle ultime settimane abbiamo assistito alla definitiva consacrazione del nostalgia marketing come strategia infallibile per le aziende produttrici di videogiochi.

È accaduto attraverso due casi solo all’apparenza diametralmente opposti, che raccontano in realtà la stessa storia dei videogiochi che non si fanno più come una volta: Oblivion Remastered e Clair Obscur: Expedition 33.

L’oblio della nostalgia

Oblivion Remastered ha raggiunto il picco di 190mila giocatori contemporanei su Steam a poche ore dal suo lancio ufficiale. Negli istanti successivi alla conferma dello shadowdrop tutte le piattaforme digitali, da Instant Gaming fino alla stessa Steam, sono andate in evidente difficoltà nel gestire le richieste di acquisto e download.

È anche importante specificare che, tolte le copie avviate tramite Game Pass in cui è incluso, Oblivion Remastered viene venduto a prezzo premium su tutte le piattaforme.

La rimasterizzazione del videogioco Bethesda del 2006 viene venduta a €54,99 in versione standard e €64,99 in versione deluxe. Prezzi emblematici che fanno parte dello stesso mercato in cui Nintendo Switch 2 ha sollevato il proverbiale polverone per il tema dei prezzi di hardware e software, e allo stesso modo sembra stia già andando benissimo in termini di preordini.

Quello del ritorno di Oblivion non è ovviamente il primo, né sarà l’ultimo, caso di riproposizione di una vecchia proprietà intellettuale sotto una forma riveduta e corretta. In questo caso nemmeno tanto rivista e corretta, costruzione tecnica esclusa, perché i sistemi di gioco sono identici al videogioco del 2006 (bug inclusi).

Gli stessi bug che, parlando di momenti in cui siamo stati bene, vengono addirittura difesi dall’utenza come elemento distintivo dell’opera che non dovevano essere eliminati nella rimasterizzazione così da mantenere purezza e fedeltà all’originale.

Insieme a reazioni violente e inferocite contro chi si permette di far notare che un porting 1:1 su console moderne forse non è esattamente ciò che si dovrebbe fornire con un prodotto venduto a prezzo pieno. Non è uno scherzo.

A questo proposito è affascinante la dichiarazione di Mike Ybarra, ex-presidente Blizzard, riguardo il lancio di Oblivion Remastered.

Ve ne avevo parlato e vi ricordo la dichiarazione fatta sui suoi profili pubblici:

«Sono scettico riguardo alle rimasterizzazioni di 20 anni fa. Ciò che una volta era fantastico, ora rimasterizzato, non potrà mai reggere il confronto con capolavori moderni come Elden Ring. L'asticella si è semplicemente spostata dai sicuri RPG open world a ciò che Elden Ring ci ha portato. Mi piacerebbe essere smentito. Ma non lo sono.»

Mettiamo da parte il fatto che Ybarra è pur sempre stato in carica nel periodo in cui Blizzard ha lanciato World of Warcraft Classic e Diablo 2 Resurrected, prodotti a dir poco nostalgici, e concentriamoci sul discorso in sé.

Mike Ybarra ha pienamente ragione.

Bethesda ha scelto di fare un revamp grafico e tecnico di un videogioco con 19 anni sulle spalle. Un ottimo lavoro, ma di fatto non molto dissimile da quello che fanno spesso molti appassionati con delle mod di alto profilo.

Recuperando la nostra memoria storica alla ricerca un ritorno simile possiamo pensare al recente Resident Evil 4 Remake, uscito nel 2023 a distanza di 18 anni dall’uscita del videogioco originale. Quello di Capcom è stato un lavoro ben diverso, fatto di una ricostruzione totale che porta il titolo ad essere percepito come nuovo, nel momento in cui esce.

È impossibile che non si accorgano di non essere stati influenzati dal nostalgia marketing.

Di questo parla Mike Ybarra, il cui dubbio mi trova completamente concorde. Cosa di cui non se ne fa nulla, né lui e né io che lo sostengo, perché come sempre è il mercato a decidere e quest’ultimo ci ha comunicato apertamente che il pubblico voleva eccome Oblivion Remastered.

Ma il pubblico ci giocherà ancora tra qualche giorno? Probabilmente no, perché è impossibile che non si accorgano di non essere stati influenzati dal nostalgia marketing.

Già in queste ore, dopo l’entusiasmo iniziale, inizia a diffondersi l’idea di essere stati effettivamente trascinati all’acquisto sull’onda della nostalgia e di poco altro.

È solo una questione di turni?

Quella stessa nostalgia che ha sorretto una gran parte del percorso di comunicazione di Clair Obscur: Expedition 33.

Nel momento in cui Sandfall Interactive ha cominciato a parlare di ispirazioni dai Final Fantasy di una volta, mostrando anche delle vere coltellate a sorpresa come la world map (da tempo assente nelle fantasie finali) che hanno fatto tornare subito indietro nel tempo moltissime persone.

Per questo è sempre la nostalgia ad aver guidato un grandissimo pubblico a interessarsi a quello che, altrimenti, sarebbe stato uno dei tanti videogiochi che avremmo visto passare tra le uscite dell’anno.

Perché di giochi di ruolo a turni ne sono usciti molti negli ultimi anni, ma non tutti hanno avuto il clamore mediatico e le vendite di Clair Obscur.

Octopath Travelerer 1 e 2, gli ultimi Yakuza Like a Dragon, persino Triangle Strategy nella nicchia dei giochi per nostalgici di Final Fantasy Tactics, insieme a tante altre produzioni AA o indipendenti che non hanno avuto lo stesso palcoscenico.

Clair Obscur: Expedition 33 ha fatto leva sulla nostalgia non tanto dei videogiochi a turni, perché altrimenti non si spiegherebbero successi come Sea of Stars e Baldur’s Gate 3, ma più sulla nostalgia dei Final Fantasy a turni, che è una nicchia ben diversa.

I fan della saga di Square Enix sono stati traditi con Final Fantasy XV e poi XVI, arrivando a ripudiare del tutto il franchise. Lo dimostra, ancora una volta per nostalgia, il successo dei remake di Final Fantasy VII che hanno fatto breccia nella community anche non avendo un combattimento a turni.

Però il Final Fantasy VII originale ce li aveva, e allora anche solo tornare con la mente ai ricordi di quei momenti in cui si stava bene è sufficiente.

Questo è ciò che ha fatto Clair Obscur: Expedition 33. E intendiamoci, è un merito di Sandfall Interactive: un grandissimo merito.

Saper fare un’analisi di mercato talmente puntuale da restituire il preciso sentimento del pubblico, per costruire una formula che fa leva sulle tendenze più di successo degli ultimi tempi, come una narrazione matura (legata anche ai temi dell’identità di genere, ma i vendicatori oscuri dell’alt right forse non se ne sono ancora accorti), contaminazioni soulslike come parry e “falò”, e interfacce che ricordano ben più di un JRPG di Atlus, non è una cosa che tutti sanno fare.

Non lo sanno fare aziende come Ubisoft ed Electronic Arts ad esempio, che da anni sono chiaramente scollate dal proprio pubblico come dimostrano le pessime performance degli ultimi blockbuster.

Solleva il fatto che Clair Obscur: Expedition 33 è in generale un buon prodotto in ogni caso, creato su una evidente autorialità e sensibilità artistica. Non so se entro la fine dell’anno parleremo ancora del titolo di Sandfall Interactive, ma sicuramente il JRPG più francofono di sempre ha lasciato il segno.

Il medium videoludico non è più giovane

L’audience dei videogiochi non ha più nessuna difesa immunitaria contro la nostalgia. L’industria è già diventata così vecchia da poter sfruttare in maniera massiccia il nostalgia marketing.

Tra gli ultimi colossi ad averlo scoperto, e messo in atto, c’è Konami con il recente Silent Hill 2 Remake e con quel Metal Gear Solid Delta: Snake Eater che arriverà nel corso del 2025.

Parimenti ai revival dei franchise dagli anni ‘90 a precedere nel mondo del fumetto, del cinema, dei giocattoli e delle serie TV, ora il pubblico dei videogiochi può essere bersagliato dalla nostalgia e non avere più nessuno strumento difensivo, conscio o inconscio che sia.

L’audience dei videogiochi non ha più nessuna difesa immunitaria contro la nostalgia.

La nostalgia è un sentimento delicato e potente, diceva sempre lo stesso Donald Draper di cui sopra. Io vi dico che è un bel sentimento se coltivato nel giusto contesto, ma che può diventare inaspettatamente molto pericoloso.

La nostalgia è un male? No, se c'è consapevolezza.

I contenuti e la cultura di un prodotto sono studiati dall’azienda a beneficio dell’azienda. Il beneficio per l’utente finale, se contemplato, è spesso incidentale come ci ricorda Bryan Brown in "The He-Man Effect".

I nostri ricordi e la nostalgia sono preziosi.

Attraverso la nostalgia creiamo dei nuovi ricordi, e aiutiamo le aziende a rendere quei ricordi brandizzati. Come videogiocatori, e quindi consumatori, diamo questo potere alle aziende volontariamente.
Non serve acquistare un nuovo prodotto per ricordare quel mondo in cui stavamo bene. Scegliamo di farlo perché abbiamo bisogno di conforto e sicurezza. È un modo facile e comodo, nonché divertente, di costruire un mondo che ci piace e che ci fa stare bene, e in cui scegliamo di poterci vivere quando e quanto vogliamo.

Tuttavia, attraverso la nostalgia creiamo dei nuovi ricordi, e aiutiamo le aziende a rendere quei ricordi brandizzati. Come videogiocatori, e quindi consumatori, diamo questo potere alle aziende volontariamente.

Possiamo indugiare coscientemente nei ricordi, oppure farci confondere. Essere consapevoli di avere una visione distorta del passato fatta dei soli momenti luccicanti, oppure reagire al disgusto di quelli oscuri giustificando a tutti i costi il proprio acquisto.

Perché per ogni Clair Obscur: Expedition 33 ci sono altrettante operazioni che non vogliono altro che limitare la vostra prospettiva, aggredire il vostro potere d’acquisto e farvi credere che non ci sono più i videogiochi di una volta.

Con questa consapevolezza dovreste scegliere come agire. Perché è ovvio che non ci sono più i videogiochi di una volta.

👋 Partecipa alla discussione! Scopri le ultime novità che abbiamo riservato per te!

1 Commenti

⚠️ Stai commentando come Ospite. Vuoi accedere?


Interessante il paragone con Final Fantasy. Però penso che l'innovazione a partire dal capitolo 15 è stata il passo che ha modernizzato la saga, siccome sono tra quelli che ha apprezzato i sistemi più realistici del 15 e soprattutto del 16, i fan puristi dovrebbero farsene una ragione, siccome ho constatato che non sono stati al contrario capaci di apprezzare nemmeno il remake del 7 rispetto all'originale e vorrebbero a tutti i costi tornare ai vecchi sistemi a turni.
La gente è incontentabile.
Mostra altro Mostra meno

Questo commento è stato nascosto automaticamente. Vuoi comunque leggerlo?

Questa funzionalità è attualmente in beta, se trovi qualche errore segnalacelo.