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10 anni fa, Life is Strange cambiò per sempre i videogiochi con la sua potente delicatezza

Prima di perdersi, il primo Life is Strange di Dontnod ha cambiato per sempre la percezione che avevamo dei videogiochi.

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Avatar di Valentino Cinefra

a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

Pubblicato il 31/01/2025 alle 16:05

Non posso nasconderlo, Life is Strange è stato un videogioco importante per me.

Sarà una banalità ma credo che i videogiochi, come molte altre opere dell’umanità, siano facilmente associabili ai momenti più o meno importanti della nostra vita.

Come per una canzone, un film, o una serie TV, posso recuperare dalla memoria un videogioco che mi ricorda una ragazza a cui speravo di voler bene e una che mi ha voluto bene, un caro amico che c’è ancora e uno che non c’è più, un momento tragico e uno memorabile, un periodo stupendo e uno pessimo della vita, la prima e l’ultima volta che ho giocato ai videogiochi con i miei genitori.

Quello che la memoria fa fatica a recuperare, invece, nonostante le meraviglie della Wayback Machine, è un articolo del 2015 in un vecchio sito che scrissi proprio su Life is Strange.

Perché l’avventura di Maxine è stata una delle prime esperienze videoludiche che ho vissuto con lo scopo di condividere i miei pensieri con un pubblico. Sarebbe bello poter avere il suo superpotere, per tornare fisicamente indietro nel tempo ed esperire in prima persona il me stesso di dieci anni fa.

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Ricordo di aver approcciato Life is Strange con una certa curiosità, con quello strano trailer che era diverso da tante altre cose che si vedevano nei videogiochi all’epoca.

Non c’era azione, frasi a effetto o la proverbiale graficona, ma solo la meravigliosa "Obstacles" di Syd Matters, le cui note, con delicatezza, ci cullavano mostrandoci le prime istantanee della vita strana immaginata da Dontnod.

Ma lungi da me trasformare questo articolo in una elegia di Life is Strange perché, fortunatamente, non ne ha bisogno.

Negli anni la community e gli analisti hanno raccontato in maniera esemplare l’importanza di questo progetto. Con le sue criticità, ovviamente, ma anche con la sua capacità di parlare ai giocatori in maniera diversa, di qualcosa che solitamente rimane ai margini del dialogo.

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Eccoci qua, dieci anni dopo.

Con il tempo, infatti, Life is Strange è diventato inevitabilmente un videogioco caro anche alla community queer, per via di ciò che ha messo in scena. Ma derubricare il titolo di Dontnod al solo «gioco gay» – per usare la definizione da cui Square Enix voleva allontanarsi ma per motivi meno nobili – sarebbe una ingiustizia nei confronti dei suoi autori.

Perché, volendo tralasciare le note più romantiche, Life is Strange ha raggiunto la quota di 20 milioni di copie vendute nel 2023, e qualcosa vorrà pur dire.

Come mai Life is Strange è così amato? Perché ha cambiato il mondo dei videogiochi?

Le scelte nelle storie, a ogni costo

Mentre i videogiochi di Telltale facevano della tensione nel prendere una scelta il loro punto di forza, Dontnod fece una riflessione completamente opposta.

Potendo tornare indietro nel tempo, i giocatori avevano la possibilità di riflettere sul peso delle proprie scelte, invece che affidarsi all’istinto.

Tanto vale godersi il viaggio e, magari, riflettere su come ci ha cambiati.

Questo permetteva di concentrarsi completamente sulla narrazione messa in piedi da Dontnod, sui dettagli e sui non detti, al punto che mai come in questo caso “conta più il viaggio che la destinazione”, visto che la scelta finale dell’ultimo episodio è binaria.

Una criticità senza dubbio – volendo anche una delusione, che all’epoca fu evidenziata e sollevata da molti (me compreso), ma anche un grande risveglio di coscienza sui videogiochi.

Un po’ come fece The Stanley Parable nei suoi toni filosofici e alti, ci ha fatto capire che è inutile inseguire e proporre una capacità illusoria di scelte infinite ai giocatori: tanto vale godersi il viaggio e, magari, riflettere su come ci ha cambiati.

Persone poligonali, umanità digitale

Life is Strange è un thriller che trae parte delle sue ispirazioni dalle opere del compianto David Lynch, ma allo stesso tempo ha saputo mettere in scena un'umanità fuori dal comune.

Forse alcuni dialoghi e personaggi oggi possono risultare datati, ma non si può negare che, all’epoca, le storie di Dontnod riuscirono a toccare dei picchi altissimi.

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L'immagine più iconica e significativa di Life is Strange.

Ci sono ancora troppi Mark Jefferson nella triste attualità dei femminicidi e della violenza di genere. Così come sono tante le Kate Marsh che si ritrovano su un cornicione, letterale o figurato, a domandarsi che senso abbia la propria vita dopo essere stata deflorata dal bullismo.

Per non parlare di Chloe, personaggio dalla profondità straordinaria, che vale da sola il prezzo del proverbiale biglietto e che è stata giustamente consegnata agli annali dei personaggi più iconici di sempre.

Certo, quelli di Life is Strange non sono gli unici, ma poche altre volte c’è stato un team di sviluppo capace di generare un’empatia di questo livello, per altro senza il motion capture e le prove attoriali che si possono ottenere oggi.

Il realismo magico della normalità

La capacità di raccontare l’ordinario con il filtro dello straordinario: il realismo magico di Life is Strange ha creato un prima o dopo nel mondo dei videogiochi.

La colonna sonora, i colori, i dialoghi, i personaggi e i loro rapporti, quell’Arcadia Bay che sembra allo stesso tempo contemporanea e cristallizzata in un tempo lontano, l’elemento soprannaturale e il mistero della scomparsa di Rachel Amber.

Dontnod dimostrò che era possibile affezionarsi allo stesso modo a due adolescenti, come a un cacciatore di mostri.

Il mix è una di quelle proposte che difficilmente potrebbe sembrare coerente anche solo in fase di progettazione, ma che nei cinque episodi ottiene la sua ragion d’essere e restituisce ai giocatori quella unicità per cui, dieci anni dopo, siamo ancora qui a parlarne.

Dontnod dimostrò che era possibile affezionarsi allo stesso modo a due adolescenti di una cittadina fittizia degli Stati Uniti, come a un cacciatore di mostri tratto da una serie di romanzi dark fantasy. E tutto nello stesso anno, con il 2015 di The Witcher 3: Wild Hunt.

Oggi è la normalità assistere a un’offerta molto ampia di generi, toni e tematiche nel mondo dei videogiochi, ma non lo era dieci anni fa. Se oggi è possibile raccontare storie del genere è anche merito degli autori di Life is Strange.

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Dieci anni dopo, Don't Nod ritorna alle origini con Lost Records: Bloom & Rage.

Questo videogioco ha avuto delle conseguenze

Prima di perdersi completamente con il deludente Double Exposure, ultima incarnazione traditrice del franchise, Life is Strange è stato capace di creare qualcosa di unico.

Talmente unico che, nella community dei fan, il capitolo del 2015 è considerato da tanti ancora inarrivabile. Definizione che non mi trova d’accordo, anzi, ma videogiochi come questi esulano facilmente da alcuni canoni di oggettività e non c’è niente che farei per provare a convincere qualcuno del contrario.

Sono convinto che non ci sarà un altro videogioco, come Life is Strange, capace di avere un impatto così potente e delicato allo stesso tempo.

Leggi anche La forza delle storie, l’odio delle community e il ruolo della critica per i protagonisti di Life is Strange

Don’t Nod sta per tornare con Lost Records: Bloom & Rage che, a ben vedere, è evidentemente la volontà di riprendere in mano un discorso avviato 10 anni fa con Life is Strange, dopo il passaggio nelle mani di Deck Nine.

Forse l’operazione funzionerà, o forse continueremo a sperare di poter tornare al 29 gennaio 2015 e rivivere il debutto di Life is Strange.

Curiosamente c’è un modo semplice per farlo con qualcosa di molto simile ai poteri di Maxine: reinstallare Chrysalis, il primo episodio.

Finché sarà possibile, viaggiare nel tempo è davvero il più grande superpotere dei videogiochi. Chi l’avrebbe mai detto?

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