Se abbonamenti come Game Pass rendono possibili videogiochi che osano, io ci sto

Il director di Pentiment ha sottolineato come non avrebbe nemmeno proposto il gioco, se non fosse esistito Game Pass. Gli abbonamenti, allora, possono essere non solo inquadrati nell'ottica quantity-over-quality, ma anche come paracadute per quelle produzioni che si allontanano dalla catena di montaggio tradizionale del videogioco.

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

«Non avrei nemmeno proposto di creare Pentiment se non fosse esistito Game Pass».

Da quando ho letto queste parole da parte di Josh Sawyer, veterano di Obsidian Entertainment e director del gioco (qui la recensione), non riesco a fare a meno di tornarci col pensiero. L'idea che ci siano delle produzioni che non esisterebbero senza i sistemi in abbonamento non viene discussa spesso, nel panorama dell'analisi dell'industria dei videogiochi.

Si parla di se e come includere le grandi produzioni del day-one, della loro sostenibilità, ma poco di quelle più piccole. E, soprattutto, di quelle che si prendono la licenza di osare in termini di originalità.

«Non lo avrei proprio fatto. Non penso che sarebbe stato possibile» ha rincarato Sawyer, intervenendo durante il podcast Waypoint Radio e parlando della sua ultima creatura.

C'è un gioco – un bel gioco, oltretutto – che non sarebbe stato possibile se l'industria non avesse iniziato ad approcciare un modello in abbonamento. E vale la pena domandarsi il perché.

Mettersi in vetrina in un abbonamento

C'è una critica che spesso viene mossa ai servizi in abbonamento: è l'approccio da "all-you-can-eat", da quantity over quality che si lega anche ai servizi di video on demand.

Per rendere appetibile il tuo catalogo, devi fare in modo che ci siano tanti prodotti – non conta di che qualità siano, conta che siano parecchi per dare il proverbiale imbarazzo della scelta.

Questa cosa è vera a metà: è vero che spesso in abbonamenti come Game Pass o PlayStation Plus si trovano giochi dimenticabili o così datati che viene da domandarsi chi ancora non ci abbia messo le mani, ma lo è altrettanto che di tanto in tanto permettono di ottenere una vetrina di grande visibilità a produzioni altrimenti in sordina.

Mi viene sempre in mente l'esempio di Rocket League. Il gioco sarebbe diventato capillare allo stesso modo se nel 2015 non fosse stato inserito nella libreria mensile di PlayStation Plus, che all'epoca contava su un numero di iscritti probabilmente dalle parti dei venti milioni di utenti?

Sarebbe successo lo stesso a Stray, rarissimo esempio di produzione lanciata al day-one nel nuovo, di PlayStation Plus, che è stata sulla bocca di tutti la scorsa estate, al punto di diventare un tormentone? Davvero ci saremmo tutti messi a sistemare case in House Flipper o a pulirle in Power Wash Simulator, se non li avessero infilati su Game Pass (che trovate su Instant Gaming)?

Ecco allora che, se è vero che gli abbonamenti di tanto in tanto inseriscono giochi che sembrano fare più numero che altro, lo è anche che districandosi tra i tanti nomi se ne trovano altri che possono riscuotere una insperata popolarità, perché «che mi costa provare questo gioco? È là, l'abbonamento l'ho già pagato!».

Il caso di Pentiment, però, va addirittura oltre. Perché Pentiment – che in quanto firmato da Obsidian Entertainment è in tutto e per tutto figlio di Xbox e first-party – non solo si giova della vetrina di Game Pass, ma esiste grazie alla vetrina di Game Pass.

Abbonamenti paracadute

Il perché Pentiment vada oltre lo spiega, benissimo, proprio Sawyer, nella medesima intervista:

«In un modello tradizionale, non penso che mi sarei preso il disturbo [di proporlo], perché nessuno se lo sarebbe preso.

Se anche avessi ottenuto il supporto del mio capo, sarebbe stato estremamente difficile trovare un publisher che se lo prendesse. Ecco perché questo specifico contesto è l'unico in cui posso concepire che questo gioco esista».

In parole povere, un'idea come Pentiment è troppo di nicchia per essere prodotta e aspettarsi un ritorno da quell'idea di per sé. Ricordate sempre che un gioco viene messo insieme dal suo team di sviluppo, ma a meno di autori indipendenti questo fa capo a un publisherche finanzia il progetto e spera di avere un margine di guadagno sulla sua commercializzazione.

Questo margine di guadagno più che legittimo, perché i publisher fanno business e non beneficenza, è diventato però una palla al piede in termini di creatività.

Considerando che i videogiochi più di richiamo hanno costi di produzione esorbitanti, le etichette ammettono rischi sempre più piccoli e sperano in garanzie sempre più grandi: succede così che i videogiochi ricalcano un po' tutti quello che fanno i primi della classe, che vanno bene e tanto piacciono al pubblico, nel tentativo di avere un bel segno "+" alla voce incassi.

Il rischio creativo ne esce però azzoppato – a essere leggeri – e succede che videogiochi come Pentiment non potrebbero esistere se dovessero essere venduti di per loro. Se dovessero, insomma, dire all'utente di spendere dei soldi specificamente per quell'esperienza. Discorso diverso, invece, quando l'utente ha già pagato e quel titolo se lo trova in una libreria on demand che gli si aggiorna davanti.

Ecco che in questo caso il publisher, Microsoft, ha ritenuto fattibile l'idea di Sawyer, perché progetto perfetto da inserire non tanto sul mercato e basta, ma sul suo abbonamento on demand, Game Pass.

Considerando che i giochi al day-one sono una grande attrattiva verso il servizio, avere non solo qualcosa di nuovo – ma anche di originale e unico – rappresenta una situazione da win-win.

Il publisher propone qualcosa di particolare senza dover capire come farla comprare ai giocatori: la stanno già comprando, con il loro abbonamento, e stanno avendo ulteriori motivi per tenerlo attivo. E il giocatore ha la possibilità di vedere spuntare idee sì più piccole, ma che si discostano da modelli ludici che di tanto in tanto si fanno ridondanti. È una situazione positiva per tutti.

Quanti di voi stanno giocando a Pentiment? Quanti di voi, spaventati magari dai suoi ritmi e dalla massiccia presenza di testi, ci starebbero giocando se invece avessero dovuto pagarlo 19,99 euro come da listino? La risposta sta tutta qui.

Penso che il modello in abbonamento faccia bene per la sua capillarità a produzioni come gli ottimi  ImmortalityHer Story Telling Lies di Sam Barlow – allo stesso modo. E non mi stupisce che Kojima, con qualche strampalata idea che ancora dobbiamo scoprire, abbia unito le forze proprio con Xbox per metterla in atto: l'entrata su PlayStation Plus e PC Game Pass ha sicuramente fatto bene anche a quella meravigliosa stramberia di Death Stranding.

«È un modello diverso da quello vecchio adottato dai publisher» ha ragionato Sawyer. «Diverso in modo positivo».

Di rischi creativi futuri e abbonamenti

Lo spunto fornito da Sawyer apre a molte e interessanti riflessioni in ottica futura. È vero: il nuovo PlayStation Plus, che Sony sogna come una raccolta di irrinunciabili tra AAA e progetti minori, ma senza i suoi colossi del day-one, non sta macinando i numeri che sperava.

Anche Game Pass non ha centrato l'alta asticella posta da Microsoft in termini di obiettivi, ma ad asciugarsi le lacrime venivano in soccorso i circa tre miliardi di dollari di incassi in un solo anno svelati da un documento pubblicato in Brasile, poi sparito perché citava «informazioni riservate».

Quello che ne emerge è un quadro dove la presenza di giochi che diano lustro alle librerie in abbonamento fa bene a tutti. Non solo grandi nomi di richiamo – che in molti casi gli abbonati hanno già acquistato e spolpato a loro tempo –, ma produzioni un po' più piccole, che non sono spaventosamente costose da produrre e che, se ben fatte, cadono comunque in piedi, perché a sostenerle c'è proprio l'entrata persistente data dagli abbonamenti.

Smettere di proporre qualcosa di attrattivo nella libreria farebbe desistere le persone dall'abbonarsi e farebbe decrescere le entrate dal servizio. Ecco che allora, in questo quadro, i Pentiment fatti in casa non solo diventano possibili come diceva Sawyer, ma diventano anche identitari e strategici.

Sotto il panorama di AAA che hanno raggiunto vette incredibili (ma pure contraddizioni) c'è un vasto sottobosco di piccole perle che spesso rischiano di passare in sordina. Se i servizi in abbonamento permettono loro non solo di farsi vedere, ma addirittura di esistere – in un contesto dove la catena di montaggio che rende possibili i videogiochi è diventata un po' troppo manifesta anche nei loro aspetti ludici – io ci sto.