I migliori giochi per PS5 sono quelli PS4 (e sarà così per un bel po')

Cosa sta andando storto nell'avvio della generazione di Sony?

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a cura di Paolo Sirio

L'avvio di una generazione è sempre un momento particolarmente complesso, e questa complessità è amplificata all'ennesima potenza dalla pandemia che stiamo vivendo (e ci stiamo avvicinando, si spera sempre di più, a metterci alle spalle).

È fuori di dubbio che PS5 e Xbox Series X|S siano arrivate sul mercato perché certi piani erano troppo grandi per essere cambiati, e che alle loro spalle ci fosse qualche tipo di dogma invalicabile che prevedeva “2020”, ma la qualità impressionante di certe produzioni del passato recente e la sfumatura del concetto di ciclo vitale delle console non sta facendo altro che metterle ulteriormente in difficoltà.

In una fase in cui i titoli next-gen – davvero next-gen oppure semplicemente giochi usciti solo sulle piattaforme ormai della generazione corrente – si cercano (e forse si trovano) col lanternino, appare evidente come i grandi classici dell'era PlayStation 4, forti degli upgrade garantiti senza alcun costo su PS5, mostrino un valore che imbarazza e pure molto i primi vagiti della nuova console.

Al punto che, probabilmente per un bel po', saranno quelli per PS4 i migliori giochi fruibili su PlayStation 5.

Upgrade che fanno sfigurare la next-gen

La next-gen, con PS5 in particolare, sta iniziando a serrare i ranghi e cominciando a proporre i primi titoli che fanno quantomeno annusare quello che potremo ricevere nel corso del suo ciclo vitale. Pensiamo ad esempio a Returnal, il roguelike di Housemarque che ha portato il gioco sulla console di Sony su un'altra dimensione rispetto a quanto abbiamo provato finora, o a Resident Evil Village, che a merito o meno è stato promosso fin dal primo istante per le nuove piattaforme.

Tuttavia, rimanendo nel cerchio dei prodotti lanciati quest'anno, è chiaro come non siamo ancora di fronte a quello che ci aspettiamo di vivere nella nuova generazione di console: Returnal è fresco nel senso dell'immersione, completata dal pacchetto del controller DualSense e la vivacità delle immagini dai mille colori tipicamente proposte dallo studio finlandese, mentre lo stesso Resident Evil Village è uscito anche sulle old-gen ed è sembrato pagare – come capita di frequente con le produzioni cross-generazionali – lo scotto a livello di resa grafica.

Al contrario, la retrocompatibilità ha concesso a PlayStation 5, una piattaforma appena nata che - come tutte quelle che l'hanno preceduta - avrà bisogno di arrivare alla fine della sua corsa per venire spremuta al massimo, di portarsi dietro pressoché tutti i titoli PS4, costruendosi una libreria davvero difficile da superare (ora e sempre) per le ragioni che vedremo insieme.

Un The Last of Us Part II appena approdato al mondo dei 60 fotogrammi al secondo è (tutt'altro che) incredibilmente superiore, a livello visivo e tecnico, ai giochi PS5 usciti finora; questo non fa altro che confermare quello che avevamo “predetto” pochi mesi fa, ovvero che con una PS4 Pro, e spesso e volentieri una PS4 base, in grado di sfornare ciò che le abbiamo visto sfornare sarebbe stato sempre più difficile da giustificare l'esistenza di una next-gen.

I tempi di caricamento, accorciati dall'utilizzo dell'SSD delle meraviglie di Sony, e un frame rate che va al doppio dell'originale – e si propone sempre più credibilmente come standard sulle nuove macchine, grazie al processore che non costituisce più un collo di bottiglia – sono soltanto la ciliegina su un prodotto che fin dall'uscita dello scorso anno è parso avere una marcia completamente diversa da tutto quello che c'era “prima”: era sembrato, in una sola parola, next-gen.

Adesso, in sintesi, è stato soltanto “stappato” e lo stesso è successo con gran parte della produzione di PS4 sfornata dal 2018 in poi – la coda lunga della console made in Japan. Ghost of Tsushima è stato portato a 60fps laddove era cappato a 30 pure con la seconda modalità opzionale di PS4 Pro (scelta bizzarra, ma tant'è), mentre God of War ha proposto i 60fps ora senza alcuna interruzione e ad una risoluzione 4K stabile con un'aggiunta di dettaglio ad un gioco già divino in partenza.

Days Gone è un esempio ancora più palpabile di come un buon titolo apparso su PS4 e PS4 Pro abbia tratto il vantaggio che doveva trarre dall'approdo su PlayStation 5, risultando pure lui, evidentemente, “next-gen” adesso che la macchina per sostenerlo è lì a disposizione di (quasi) tutti. Con una semplice patch, Bend Studio ha infatti sistemato i suoi problemi tecnici ben prima dell'uscita su PC, da tanti vista non di rado come la salvatrice della patria.

Una risposta al PC

Insomma, è chiaro come la “produzione” dei PlayStation Studios degli ultimi anni stia costituendo la vera e propria libreria di PS5 in un momento in cui quest'ultima ancora non ingrana, per tutte le ragioni che abbiamo premesso; e che non lo stia facendo soltanto da un punto di vista numerico, ciò che ci si aspetta da una console che supporti la retrocompatibilità, ma (poco) sorprendentemente soprattutto da quello qualitativo.

L'ultimo update, quello di The Last of Us Part II, ha avuto poi delle tempistiche quantomeno curiose per il suo annuncio. Naughty Dog è stata per mesi al centro di rumor sul suo prossimo passo, e questo pareva fosse un upgrade per la nuova PlayStation che avrebbe goduto di un'estensione di qualche tipo della storia: quei piani sembrano essere stati ridimensionati e il lancio dei “soli” 60fps è arrivato come un fulmine a ciel sereno.

Stupisce, e forse non dovrebbe neppure farlo troppo, il fatto che questo aggiornamento sia uscito ad appena un giorno dal day one di Days Gone su PC. E c'è l'impressione che dietro ci sia qualcosa di più di un semplice lancio di una semplice patch: in questo piccolo gesto, l'idea che filtra è che Sony stia cercando di distinguere il più possibile tra l'entità che rappresenta PS5 e il marchio PlayStation.

Pubblicare questa settimana l'aggiornamento di The Last of Us Part II è apparso un modo per ribadire la superiorità della console nelle gerarchie della casa giapponese. Quello che il PC può fare, ci è parso di capire sia il ragionamento del gigante di Tokyo, PS5 lo ha già fatto – Days Gone a 60fps, qualità visiva migliorata, prestazioni finalmente stabili – mentre ci sono giochi che i vari Steam ed Epic Games Store non potranno mai avere e che girano a quel medesimo livello di performance che ci si aspetterebbe dalla loro piattaforma.

E questo genere di processo mentale rivela ancora quanto sia tribolato il rapporto tra PlayStation e PC, che si stanno avvicinando ma si guardano tuttora con una grandissima diffidenza – ben diversa dall'abbraccio ormai profondo che è stato stabilito anni fa da Xbox.

In Sony c'è sempre la voglia di competere con quel mondo anziché renderlo un “altro” centro della propria strategia, c'è sempre un primato da affermare in ogni modo possibile, che sia la gentile concessione di un'esclusiva almeno un anno o due dopo l'uscita originale oppure una patch con cui si vuole dimostrare di non essere tecnologicamente indietro a nessuno – nemmeno alla piattaforma che più di tutti rappresenta la tecnologia senza le briglie di una scatola immutabile.

L'era dell'oro è finita?

Questa sorta di complesso d'inferiorità è solo una delle facce della medaglia PlayStation, che si sta facendo inaspettatamente difficile da decifrare ma che, quando si espone per un attimo alla luce, rende l'idea di una situazione abbastanza diversa da quella che ha portato sulle stelle PS4 – il che non sarebbe una buona notizia per quelli che hanno accostato la console di Sony ai grandi e coraggiosi story-driven.

Su PlayStation 4 ha lavorato una dirigenza, principalmente il binomio Andrew House-Shawn Layden tra SIE e Worldwide Studios, che ha avuto la capacità di prevedere e leggere quello che i giocatori avrebbero voluto da una console; esattamente l'opposto rispetto a quanto era successo con Xbox One ai tempi di Don Mattrick, evidenziato a dovere, con un po' di aggressività ma fa parte del gioco, dallo storico video-sfottò sulla condivisione dei videogiochi tra amici.

Quella dirigenza è stata lungimirante nel lasciare che fossero i giochi a stabilire la connessione col pubblico per loro, e per raggiungere questo obiettivo diede ai creatori (e ai creativi) tutta la carta bianca del mondo: approvò un'idea bislacca come Death Stranding che non è “arrivata” al 90% dei giocatori e varò un piano di IP originali alle quali – in una situazione stagnante come quella pre-The Last of Us nella seconda metà del ciclo di PS3 – forse non c'era alternativa ma che rappresentavano comunque un rischio colossale.

Le situazioni non sono sovrapponibili nelle loro totalità, poiché PS4 aveva una strada da costruirsi sotto i piedi mentre PS5 ce l'ha già bella pavimentata e lastricata d'oro. Ma l'immagine della Sony firmata Jim Ryan-Hermen Hulst è talmente agli antipodi, di quella apprezzata in quella che ci piace chiamare “età dell'oro” moderna di PlayStation, che un Horizon, un Death Stranding, un Days Gone, un Concrete Genie... ci viene incredibilmente difficile immaginare che potrebbero venire realizzati adesso.

Da publisher illuminato qual è stato per una decina di anni, il platform owner nipponico sta destando l'impressione di una compagnia risk-averse, una che non ama i pericoli derivanti dal sentiero che non ha ancora battuto nessuno. In un certo senso, questo ruolo da pionieri sta venendo lasciato a Microsoft e al suo Xbox Game Pass, che però non puntano sulla singola produzione ma sulla massa spesso indistinta e, dunque, vedono il rischio rappresentato da un solo investimento molto meno imponente a confronto con un tripla-A fatto in casa da vendere à la carte.

Hideo Kojima sarebbe stato allontanato (o così suggerivano delle voci di corridoio) e rischierebbe addirittura di finire tra le grinfia degli acerrimi rivali, Bend Studio sarebbe stato ridimensionato, Japan Studio è ormai soltanto un nome (o magari manco quello più), e i remake – da che erano stati rilegati ad una dimensione marginale, come il remaster di TLOU nel 2014 o quelli secondari di MediEvil e WipEout – sono finiti sotto la luce dei riflettori con Demon's Souls prima, The Last of Us in una versione “perfetta” poi.

La conseguenza diretta di questo accorciamento della coperta, dettato una riflessione – vada come vada – evidentemente in corso nelle stanze dei bottoni, potrebbe essere prima di tutto quella di una generazione di sequel di proprietà stabilite; seguiti che, per loro stessa natura, farebbero molta fatica nel superare non tanto il livello di semi-perfezione degli originali, quanto l'impatto scaturito da una reinvenzione di un personaggio, dalla vicenda umana di due eroi che viaggiano per la vita e la vendetta, o dalla creazione di una storia totalmente inedita pur con tutti i suoi eventuali difetti.

La lunga attesa... ancora più lunga?

Ovviamente, ci sono i proclami recenti di Sony a proposito di nuove IP e dei tanti titoli in cantiere presso i PlayStation Studios, e ci sono i precedenti che dimostrano come 1) per un annuncio spesso e volentieri, specie di questi tempi, le tabelle di marcia possono essere stravolte se non accorciate in maniera sensibile; 2) un inizio lento non rappresenta necessariamente lo svolgimento né la coda di una generazione, poiché qualcosa di molto simile era successo persino con la tanto decantata PS4.

Tuttavia, il quadro che emerge in un momento in cui PlayStation 4 continua ad alimentare PS5 è quello di una console next-gen che farà molta fatica nel raggiungere gli elevatissimi standard qualitativi imposti nel ciclo appena terminato – standard che avevano già messo in dubbio la bontà della scelta di lanciare una piattaforma che prometteva una rottura netta “soltanto” nel 2020.

La tradizionalmente lunga attesa perché la generazione ingrani potrebbe dunque essere ancora più lunga, per il semplice motivo che l'ampia produzione che è stata sfornata soltanto fino a pochi mesi fa allontana sensibilmente l'obiettivo dell'effetto wow: solo a giugno scorso abbiamo spalancato la bocca per l'ultima avventura di Ellie e Joel, mirando animazioni che non esistevano e godendoci un'evoluzione spettacolare del gameplay della loro serie, e per – non per replicare, attenzione: potrebbe non essere abbastanza – superare quei canoni imposti da Naughty Dog (e non solo) potrebbe non bastare l'intera vita di PS5.

È una situazione che avevamo già vissuto nel passaggio da PS3 a PS4, quando, complice il rebrand totale della PlayStation 3 dal logo di Spider-man, sembrava già essere uscita una nuova console che aveva portato in dote un titolo amato ai livelli del primo The Last of Us. Solo che il lungo percorso di quella piattaforma, diluito ulteriormente da PS Move e non corredato di tutte le stelle first-party sfornate con PlayStation 4, era stato assai diverso e aveva dato la sensazione di essere giunto alla fine.

Probabilmente, da un punto di vista tecnico saremo costretti a passare per transizioni sempre più raffinate e meno identificabili a pelle, perché l'ultima grande rivoluzione è stata quella dell'HD (da PS2 e Xbox a PS3 e Xbox 360) ed è difficile prevedere qualcosa di una portata simile per il futuro. E, se quello a lungo raggio sembra “marchiato”, anche il futuro a corto raggio potrebbe portare dei segni di tagli & cuci tangibili.

In un 2021 che sta vedendo Sony ancora intenta a smaltire la domanda di console dello scorso anno, con persone che letteralmente non riescono tuttora ad acquistare una PS5, la casa giapponese potrebbe essere tentata dall'idea di tirare i remi in barca e “accontentarsi” di Destruction AllStars, Returnal, Ratchet & Clank Rift Apart, Deathloop e una manciata di indie in esclusiva come Kena Bridge of Spirits.

Questo motiverebbe come mai Horizon Forbidden West e God of War Ragnarok non si siano ancora fatti vedere: mentre il seguito firmato Santa Monica Studio non sembra essere mai stato realmente in calendario per quest'anno, la seconda avventura di Aloy potrebbe essere stata destinata alla risposta delle richieste del 2022, magari proprio in una finestra (nonostante le smentite dell'editore asiatico) di marzo come il capostipite.

Non che Horizon sia chiamato a “giustificare” l'esistenza di PS5, da buon cross-gen quale si è mostrato finora nelle rare esibizioni di cui è stato protagonista non ha impostato delle aspettative elevatissime; tuttavia, il fatto che un discorso che tiene conto di PlayStation 4 come piattaforma supportata venga rimandato di un altro anno metterebbe nero su bianco che siamo ancora in alto mare con l'attuale generazione.

Renderebbe l'idea di un'eredità da cui è ancora tremendamente difficile liberarsi e che, con il peso delle esclusive provenienti dall'età dell'oro di PlayStation che continuano a sembrare quanto di meglio ci sia in circolazione, resterà sulla libreria della console next-gen ancora per parecchio tempo. È evidente come certi discorsi andrebbero chiusi e in un tempo consono, per alimentare la voglia di gaming e grandi storie dei giocatori, certo, ma soprattutto per permettere a PlayStation 5 di rispondere a PS4 con le sue stesse armi.

Sony ha puntato gran parte della sua next-gen sul controller di PS5: se volete sentire la differenza, DualSense è ora scontato su Amazon.