Hogwarts Legacy è assurto a bilancia morale di un dialogo impossibile ai tempi dei social

Hogwarts Legacy si è ritrovato tra due fuochi: quelli di chi vuole giocarci e ignorare tutto quello che lo ha circondato e quello di chi ha deciso di boicottarlo per far sentire la propria voce – anche con buona pace degli sviluppatori. Questo, in virtù delle posizioni espresse dall'autrice J.K. Rowling, che però con il videogioco non è direttamente coinvolta. La questione è un po' più complessa di «sono videogiochi, io voglio solo giocare», ma per ora un dibattito senza grigi sembra solo aver cementato ancora di più le posizioni che lo precedevano.

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

Sembra quasi che siamo diventati incapaci di processare problemi complessi. Con problemi complessi, intendo quelli che richiedono qualcosa di più di una risposta fatta da 0 o da 1.

Un'impostazione di questo tipo non permette di farsi delle domande. Ancora di più quando c'è una questione, come quella relativa a Hogwarts Legacy e al perché questo videogioco sia diventato un campo di battaglia virtuale.

E, qualsiasi sia l'esito portato da questo "campo di battaglia" – ammesso che ce ne sia uno – la sensazione è che oggi tutte le parti siano più lontane che mai. Ammesso che Hogwarts Legacy potesse essere davvero un punto di incontro costruttivo.

La controversia su J.K. Rowling

Da qualche tempo, il videogioco di Avalanche Software dedicato al famoso universo di Harry Potter si è ritrovato al centro di un dibattito molto acceso. Seppur sviluppata dal suddetto team e pubblicata da Warner Bros. Games, l'opera si origina ovviamente dalla saga letteraria di J.K. Rowling, da cui sono poi nate tutte le trasposizioni su altri media che ben conosciamo.

Tuttavia, la scrittrice dal 2020 ha reso pubbliche, sui suoi canali social prima (e dopo) e sul suo sito ufficiale poi, delle affermazioni che hanno messo in evidenza posizioni che sono state ritenute transfobiche, che descriverebbero in qualche modo le donne transgender come antagoniste delle donne.

La visione di Rowling, che teme ad esempio una "facilitazione" del riconoscimento della transizione e di conseguenza una invasione degli spazi ad appannaggio femminile (come i bagni o le carceri specifiche) da parte delle donne transessuali, sembra in un certo senso voler ridurre la questione a una corrispondenza tra donne transgender e molestatori. Quantomeno, la semplifica in un modo che è quasi sorprendente, per una persona del suo ingegno e della sua cultura.

Quando, il 7 giugno 2020, J.K. Rowling scrive che «se il sesso non è una cosa reale, allora non esiste l'attrazione per lo stesso sesso. Se non è reale, la realtà vissuta dalle donne a livello globale è cancellata», dimentica di evidenziare le differenze che intercorrono tra sesso biologico, genere – e orientamento sessuale, dato che lo cita. Aggiunge che «conosco e amo le persone transessuali, ma cancellare il concetto di sesso toglie a molti la possibilità di discutere delle loro vite. Non è odio dire la verità».

La visione piuttosto binaria (lo 0 o l'1 di cui parlavo in apertura) dell'autrice sulla questione continuò, inoltre, in un post sul suo sito personale, dove affermò che, se fosse stato possibile negli anni '80, «anche io avrei pensato di fare la transizione. [...] Soffrivo di disturbo ossessivo-compulsivo, da adolescente. Se avessi trovato una community e della comprensione online, che non avrei trovato magari in ambienti più prossimi, penso che avrei potuto essere convinta a diventare il figlio che mio padre aveva sempre detto apertamente di preferire».

Anche qui, tuttavia, Rowling semplifica una questione molto più complessa, in un certo senso riducendo il fatto che una persona scelga di affrontare il percorso di transizione sulla base di una comprensione avuta da altri e non di quella che è riconosciuta dalla scienza come disforia di genere (la non corrispondenza tra sesso biologico e genere, in parole brevissime). Rowling scrive di aver portato su di sé – come ogni altra donna, purtroppo, aggiungerei – la croce dei limiti imposti dalla società all'essere un umano di sesso femminile e che per questo sarebbe stato senz'altro più facile essere un uomo.

Il suo timore, scrive, è che per lei molti giovani stiano venendo spinti (?) tra le braccia della transizione con sufficienza: «quando lessi della teoria sull'identità di genere, mi ricordo quanto mi sentissi priva di sesso, in gioventù» commenta l'autrice, nello stesso post.

Ma è difficile immaginare, anche solo alla lontana, che qualcuno possa essere davvero spinto da chiunque esterno a se stesso ad affrontare un percorso come quello che vivono le persone transgender: se si sta vedendo una maggior attenzione per questi temi è perché oggi le persone transgender si sentono più sicure che in passato – parlo proprio a livello di società e di sicurezza, letteralmente, per la propria vita – nel vivere il loro percorso. E non perché si faccia veramente la transizione per... moda.

Nel sostenere questa sua visione, l'autrice continua a proporre una sorta di antagonismo tra una donna e una donna transgender. Quando afferma che «c'è un nome per le persone con le mestruazioni» (che sarebbe "donne"), continua a rimarcare una sovrapponibilità tra sesso biologico e genere, che sono invece concetti differenti.

E quando sottolinea che la transizione sarebbe anche un pretesto per poter accedere a spazi riservati alle donne da parte di molestatori che si "spacciano" per donne transgender, dimentica che un molestatore non ha davvero nessun bisogno di un pretesto autorizzato per avvicinare indisturbato una donna e molestarla – e di certo non sta aspettando che sia concesso il consenso per entrare insieme in un bagno pubblico.

Alla veneranda età di trentatré anni e con un aspetto noiosamente ordinario, aspetto ancora di ricordare una sera in cui non mi sono guardata dietro almeno venti volte mentre rientravo da sola di sera. Ma dato che, giustamente, la testimonianza di una sola donna non è statistica, ci sono le analisi e i report dei centri anti-violenza, a dirci la stessa cosa.

Al post e i cinguettii, J.K. Rowling ha aggiunto altre azioni controverse che hanno gettato ulteriore benzina sul fuoco. L'autrice, ad esempio, ha scelto come nome d'arte per alcune sue opere recenti "Robert Galbraith", esattamente come lo psichiatra che aveva dichiarato, nel 1972, di avere portato un uomo omosessuale all'eterosessualità servendosi della stimolazione cerebrale profonda.

Tuttavia, Rowling nega qualsiasi riferimento allo psichiatra, affermando che "Robert" è uno dei suoi nomi maschili preferiti e "Galbraith" era un cognome che da bambina trovava affascinante.

Uno pseudonimo che non è passato inosservato e che ha destato ancora più polemiche e perplessità quando, in una delle opere si parlava di un assassinio commesso da un uomo travestito da donna. Per qualcuno, l'ennesima frecciata alle donne transessuali.

Nel successivo romanzo, invece, si parlava di una persona che finiva con l'essere trucidata dopo essere accusata di essere razzista, transfobica e abilista – ma Rowling dichiarò che il volume non fosse un riferimento alla sua vicenda.

Al percorso letterario sono andate a sommarsi altre questioni social che hanno fatto alzare più di un sopracciglio. L'autrice aveva lasciato un Like su Twitter a un cinguettio che parlava delle donne transgender come «uomini in vestito». Il Like era stato poi rimosso e dei portavoce della scrittrice avevano riferito alla stampa che si era trattato di un errore da «mezza età», con il Mi Piace che sarebbe stato lasciato insomma per sbaglio mentre Rowling «teneva in mano il telefono non correttamente».

A questo si affianca poi il supporto espresso a Caroline Farrow, a cui Rowling scrisse, sotto un tweet cancellato, «tanto amore per te», quando la prima dichiarò di aver visto la sua vita venire «invasa e dominata da attivisti per i diritti trans fuori di testa».

Farrow ha espresso in passato posizioni contro l'omosessualità, contro la transessualità e contro l'aborto, definendosi una attivista cristiana. Sui suoi social si definisce «il terrore degli uomini con la gonna da donna» e nel 2019 la BBC ha riportato di una ingiunzione nei suoi confronti, arrivata in seguito a tweet ritenuti di abuso nei confronti di una donna transgender. La vicinanza espressale da Rowling ha destato molte discussioni.

Esposizione e reach

Alla luce di tutto questo, non suonerà più come una sorpresa che la comunità LGBTQIA+ abbia preso fermamente posizione contro le esternazioni di J.K. Rowling – e che, con loro, lo abbiano fatto anche le persone che vorrebbero un futuro dove ci siano sempre meno emarginazioni per via di chi si è.

Il discorso, come ormai è nel DNA dei dibattiti online e del mondo social, è ovviamente arrivato presto a degli estremi. Tra J.K. Rowling che rispondeva di potersi consolare con le royalty incassate a chi, da fan di Harry Potter, le chiedeva come si sentisse di fronte ai fan persi, e alcuni che hanno deciso di mandarle – denuncia la scrittrice – minacce abiette di ogni sorta.

Le minacce, incredibile ma vero, non risolvono i problemi e non li migliorano. Il disappunto degli attivisti e della comunità transgender, però, è facilmente ricercabile nei numeri.

J.K. Rowling, per capirci, conta su 14 milioni di follower solo su Twitter e i suoi libri sono letti in qualsiasi angolo del mondo. L'autrice – che ha un patrimonio personale stimato in $1 miliardo – è insomma una delle voci più influenti in assoluto nella letteratura odierna e le sue prese di posizione possono far sentire (o non sentire) legittimate le persone per cui rappresenta un riferimento. Anche nell'odiare o nel non odiare.

Cosa succede quando una celebrità con la sua cassa di risonanza e la sua influenza dà spazio a esternazioni che possono rendere – perfino a prescindere dal suo effettivo intento – ancora più difficile la vita di persone che, ogni giorno, devono lottare anche solo per poter esistere?

Secondo quanto rilevato dalla European Union Agency for Fundamental Rights, nel 2020 (qui lo studio integrale), il 55% delle persone transgender intervistate (nella sola Europa) si è sentita discriminata in quanto transgender, nella vita di tutti i giorni.

Nel momento della ricerca di un impiego si arriva al 35%, sul posto di lavoro al 36%. Nei cinque anni precedenti lo studio, ben il 17% delle persone transgender coinvolte ha dichiarato di avere subito abusi fisici o sessuali per l'essere parte della comunità LGBTQIA+. Nei dodici mesi precedenti, se si parla di molestie, si arriva al 48%. Parliamo di vita reale, quotidiana, e di persone reali, in caso servisse sottolinearlo.

Se, insomma, fai già estrema fatica ad avere il diritto di essere chi sei, nella vita di tutti i giorni, l'esposizione di una personalità come J.K. Rowling può renderti quel percorso ancora più impervio – se non impossibile.

In una società che guarda le persone transessuali con etichette e discriminazioni, vedere le donne transgender definite in alcuni casi "uomini con la gonna" e, tra le righe, a molestatori disposti a tutto pur di avvicinare le donne è anzi anche più di sola benzina sul fuoco. È anche benzina nel motore di chi vuole sentirsi legittimato a odiare – e agirà da tale, che Rowling volesse ottenere questo effetto o no.

L'eco che Rowling può avere da sola è difficile da raggiungere per la comunità transgender anche tutta insieme. È a questo punto che è arrivato il tentativo di fare quadrato – ed è a questo punto che Hogwarts Legacy, essendo originato dalle opere letterarie di J.K. Rowling, è finito nella vicenda.

Opere, autori e altre intersezioni

Personalmente, di Harry Potter non mi è mai fregato granché. Lo preciso perché, essendo questo un articolo di commento, penso sia rilevante per quello che ho detto e che dirò. Non ho mai avuto l'interesse a leggere i libri della saga, non ho mai visto i film e probabilmente sono la persona più disinteressata del pianeta al videogioco annesso.

Dal momento che questo significa che ho una voragine culturale, poiché Harry Potter fa parte del pop odierno, avevo messo in conto, prima o poi, di recuperare i libri. Da quando mi sono documentata sulle esternazioni e le visioni di J.K. Rowling, tuttavia, ho perso qualsiasi interesse. Ho ignorato la saga per tutta la mia vita, non vedo perché non possa continuare a farlo serenamente per gli anni che mi rimangono.

Perché questa parentesi individualista? Perché per me, personalmente, non è possibile il ragionamento tanto semplice del separare l'opera dall'autore. Non quando l'autore è un individuo tuo contemporaneo che ha tutti i mezzi del caso per costruirsi un'idea e di conseguenza esternarla. E che da te incassa, se vogliamo guardare al soldo e a come potrà spenderlo – ad esempio, per promulgare cause che non condividi.

Questo non significa che l'opera di un autore vada bruciata nella pubblica piazza, che se ne debba archiviare l'esistenza o che qualcuno debba sentirsi legittimato a inviare minacce irripetibili – dimostrando che dell'odio non ci ha poi capito granché.

È una questione di empatia con l'opera. Se domani dovessi scoprire che il mio musicista preferito esterna dei pensieri dai quali mi sento molto lontana e anzi mi mettono terribilmente a disagio, non riuscirei più a entrare in sintonia con le sue creazioni, a sentire entusiasmo per l'analizzarle. Lui potrebbe legittimamente esprimere quei pensieri e io potrei legittimamente decidere di non ascoltare più le sue canzoni – anche perché, detto in modo semplice, non ce la faccio. Perché, se hai mai creato qualcosa in vita tua, sai che l'autore è ovunque nell'opera e l'opera non è una cosa immateriale che gli è caduta addosso dal cielo e su cui ha messo la firma.

Ci si riempie tanto la bocca della libertà di pensiero e di opinione e anche questo ne fa parte. Sei libero di pensare tutto quello che vuoi e di dire tutto quello che vuoi. Le altre persone sono libere di reagire – nei limiti del legale, a quanto pare serve sottolinearlo – a quello che pensi e dici.

Possono non visitare più la testata per cui lavori (metto le mani avanti perché conosco i miei polli e cosa penseranno di questo articolo, sì, ndr), possono non leggere più le tue opere, non voler comprare i tuoi giochi. Anche se, da realista pragmatica, aggiungo che, secondo me, se avessimo tempo di informarci a fondo su tutto e tutti, leggeremmo, ascolteremmo, compreremmo e/o giocheremmo forse dieci cose in croce.

In sintesi, comunque, l'opera è una cosa, l'autore è un'altra – vero. Ma l'opera nasce dall'autore e incarna l'autore. Se da un punto di vista critico va analizzata per quello che porta sul tavolo come opera, è proprio nella fruizione che è più difficile provare a separare le due cose. Ecco perché quello che J.K. Rowling afferma ha finito con il coinvolgere anche la saga di Harry Potter, che è la sua creatura più celebre.

Oltretutto, il tweet della scrittrice che faceva sapere di asciugarsi le lacrime per i fan persi a colpi di royalty incassate non ha alleggerito l'atmosfera, perché le royalty sono proprio i soldi a cui l'artista ha diritto cedendo le licenze per la sua opera.

Royalty come quelle relative ad Hogwarts Legacy.

Avalanche nella terra di nessuno

Hogwarts Legacy è finito al centro di un boicottaggio – o, almeno, alla minaccia di un boicottaggio. Il famoso forum ResetEra, ad esempio, ha addirittura proibito di parlare anche solo vagamente del gioco, in qualsiasi termine. Sui social è, ancora una volta, una questione di bianco e nero, di 0 oppure 1: l'acquisto o non acquisto del gioco è diventato una bilancia morale. Si semplifica con: chi lo compra appoggia la visione di J.K. Rowling e chi non lo compra supporta la lotta per i diritti transgender.

In mezzo a tutto questo, rimane il fatto che J.K. Rowling, di per sé, con il videogioco non c'entri niente. Almeno non in modo diretto. E, anzi, dopo tutti questi anni e tante trasposizioni,  l'opera Harry Potter si è ampliata molto anche all'infuori di lei – che ne rimane la radice, certo. Ma è un universo in cui, anche da estranea al franchise, perfino io so esserci molto di più.

Dopo aver visto Daniel Radcliffe ed Emma Watson (protagonisti dei film) prendere le distanze dalle sue posizioni, l'autrice ha visto anche una nota di Warner Bros., con il publisher che rimarcava il non coinvolgimento della scrittrice nella realizzazione del videogioco. In sintesi, è un'opera originata dalla sua, ma in cui non è direttamente coinvolta. E proprio qui sta la mela della discordia.

Considerando la portata mediatica di qualsiasi cosa Rowling affermi, l'unico modo per farsi sentire, dall'altra parte, era un'azione coesa come provare a organizzare un boicottaggio del gioco. Tuttavia, Rowling i suoi diritti per l'uso della licenza di sua proprietà li ha già in tasca.

Non ci è dato sapere se ci saranno bonus a seconda dell'andamento del gioco, ma senz'altro c'è una base già discussa e accordata, che andrà all'autrice. Chi afferma che boicottando il gioco si danneggia la tasca della scrittrice, mentre gli sviluppatori di Avalanche Software sono belli sereni perché hanno già portato a casa gli stipendi, sbaglia. Soprattutto in un'industria dove le software house crescono e si ridimensionano nel giro di qualche settimana a seconda delle ambizioni dei prossimi progetti. Ambizioni influenzate dall'andamento – commerciale e mediatico, ricordiamoci l'importanza dell'immagine – dei precedenti.

È palese che Hogwarts Legacy, anche in virtù delle estremizzazioni da social a cui stiamo assistendo (tra l'altro, ho perso il conto dei «ne ho prenotato tre copie solo per dare contro i trans!» che ho letto in questi giorni,), sarà un enorme successo commerciale – a prescindere dalla qualità del gioco. Bisogna sempre pesare, però – in assoluto – anche la realtà degli sviluppatori, quando si pianifica di boicottare qualcosa. E, sinceramente, non avrei davvero voluto essere nei loro panni nell'ultimo paio di anni (soprattutto in quelli del community manager), incastrati loro malgrado sotto l'ombra della scrittrice.

L'unica che dorme un po' più serena in questa situazione, per assurdo, è anzi proprio J.K. Rowling, che al gioco ha già dato il suo – l'universo di Harry Potter. Se andrà secondo le aspettative o no, sarà qualcosa che riguarderà Avalanche e Warner.

E, anche qui, torniamo ai grigi di cui si parlava in apertura all'articolo: dare contro Hogwarts Legacy ha permesso di far arrivare questo dibattito a un livello di visibilità che difficilmente avrebbe avuto, ma rischia di fare vittime collaterali che con Rowling e le sue posizioni non hanno niente di che spartire, colpevoli unicamente di realizzare un videogioco che è pensato per chi ha amato la saga letteraria/cinematografica della scrittrice. Fan che, a loro volta, hanno la "colpa" di aver amato una saga con cui sono cresciuti e che oggi, per alcuni di loro, risulta essere scritta da una persona da cui prendono volentieri le distanze.

La minaccia del boicottaggio, in sintesi, ha permesso di portare le obiezioni mosse a Rowling davvero sotto i riflettori, nel codazzo mediatico che circonda Hogwarts Legacy e nei limiti della (non piccola) bolla che lo segue. Ci sono, comunque, anche milioni di persone che in quella bolla non ci sono affatto.

All'altra faccia della medaglia, l'idea del boicottaggio manda però fendenti e mazzate agli sviluppatori del gioco e al publisher, più che alla scrittrice dell'IP da cui il gioco si origina. Scrittrice che nel frattempo alza le spalle e affoga il dolore nelle royalty – parole sue. Royalty che prende perché possono esistere prodotti come Hogwarts Legacy e perché i fan rimangono comunque in larga parte affezionati all'opera a prescindere da chi sia l'autore.

È una specie di spirale e siamo punto e a capo, in una storia che rischia di risolversi in una specie di guerra tra poveri: da un lato la comunità transgender e chi vuole difenderne i sacrosanti diritti (e, sì, fa accapponare la pelle dover difendere perfino il diritto di esistere, ma non mi dilungherò oltre su questo); dall'altro gli sviluppatori investiti dalla vicenda. Sopra di loro, che aleggia serena, J.K. Rowling, che sarebbe "bersaglio" del boicottaggio, alla quale il messaggio della protesta è principalmente rivolto, ma alla quale del boicottaggio non frega granché.

Perché io?

Fa un po' la figura dell'agnello sacrificale che non ci ha capito granché e si trova messo lì, Hogwarts Legacy. Nasceva come videogioco sull'universo di Harry Potter, è diventato l'ago della bilancia. Si tira dietro la vita quotidiana di chi lo ha sviluppato e il dilemma dei fan storici della saga. Un aspetto interessante, per noi che lavoriamo con il videogioco, è quanto proprio e specificamente Hogwarts Legacy sia finito al centro di tutto questo.

Il fatto che molte persone scelgano di non comprare più i libri di J.K. Rowling non ha destato gli stessi dibattiti, non ho visto polarizzazioni così forti nemmeno intorno ai film e al merchandise della saga letterario-cinematografica.

È stato come se improvvisamente tutto il bello e il brutto di Harry Potter e delle gesta di Rowling fossero legati solo a Hogwarts Legacy, all'ambizioso videogioco, mentre il resto è di secondo piano. Il resto fa incassi da coda lunga – continua a vendere a prescindere dagli anni, non è al centro di una potente campagna di marketing e quindi non si riesce a entrare a gamba tesa – mentre la proposta nuova, il videogame, è stata quella su cui concentrarsi.

Forse è proprio il marketing che ha fatto la differenza e ha portato naturalmente a queste reazioni. Non ho risposte giuste da dare, su tutto questo – e penso non le abbia nessuno. Se voglio farmi sentire, però, è normale che cerchi di inserirmi in un contesto che ha tanta visibilità e fa tanto rumore, come il lancio di un videogioco di Warner Bros.

Ma, ribadisco, se è vero che il boicottaggio ha permesso di lanciare un messaggio, dall'altro ha messo l'ansia sulle spalle degli sviluppatori – sviluppatori che già vivono in un'industria con un grado di tossicità fuori scala – e non certo della scrittrice.

E qui, giustamente, mi si può rispondere: che altro modo c'era per farsi sentire? Bella domanda, perché quando i temi sono così sensibili e importanti, un modo per farsi sentire che non tiri sberle verbali a nessuno se non proprio a chi vuoi sensibilizzare, probabilmente, non c'è.

È anche vero che ci sarebbero tanti casi spinosi che potrebbero far pensare a dei legittimi boicottaggi, che a volte erano stati anche minacciati. Pensiamo alle questioni di Blizzard Entertainment e, qualche tempo prima, a quelle di Riot, di Ubisoft. Al crunch contro cui CD Projekt e Naughty Dog promisero di impegnarsi– che compromette la salute e la vita di chi per loro lavora e di chi quei videogiochi li crea. Tutte cause a loro volta importanti, che secondo i report e le testimonianze hanno coinvolto discriminazioni, abusi, routine lavorative devastanti.

In molti di questi casi si è detto che boicottare un lavoro su cui lo sviluppatore ha riversato ore di sonno, "sangue" e tanto altro finisce con il fare un danno allo sviluppatore stesso, perché è il primo a essere sacrificabile se le performance sul mercato finiscono con l'andare sotto le aspettative.

Erano casi in cui chi perpetrava il danno era direttamente coinvolto nel prodotto e sono passati più in sordina – anche perché nessuna delle figure della discordia aveva la visibilità e la cassa di risonanza di J.K. Rowling. Né stava minando, con le sue esternazioni, diritti civili e così tanti persone contemporaneamente.

In quei casi l'impatto era introflesso (qualcuno di controverso all'interno del team del gioco, con atteggiamenti discussi che colpiscono il team del gioco), nella questione Rowling è estroflesso (qualcuno di controverso all'infuori del team del gioco, con atteggiamenti discussi che non colpiscono solo il team del gioco).

È probabilmente anche in questa differenza che ci è andato di mezzo Hogwarts Legacy, che continua però a scontare un peccato originale cadutogli addosso dalla nascita. Colpe che non si riflettono invece, nella stessa misura, su altre opere derivate dal lavoro di Rowling e in cui magari l'autrice ha avuto perfino un coinvolgimento più diretto.

«Lasciatemi giocare in pace!» cit

Questa vicenda parte da un punto insindacabile: né io, né chiunque altro non lo sia può dire come debba o non debba sentirsi una persona transgender davanti alle parole di J.K. Rowling, né sarebbe lecito provare a imporre come si sarebbe dovuto reagire. Pretendere di sapere come si sentano gli altri, cosa li offenda o cosa no, quali ostacoli debbano affrontare quotidianamente e di conseguenza minimizzare tutto quello che non ci riguarda in prima persona è uno dei motivi per cui fatichiamo a diventare adulti – anche come industria.

La sequela di commenti in ogni dove sulla scia del «sono solo videogiochi, lasciateci giocare in pace», gli svariati «avete tanto tempo da perdere a parlare di queste cose» e gli immancabili (anche qui, mi porto avanti) «siete un sito di videogiochi, cosa me ne frega di tutto questo? Ditemi quando esce, che voto prende, in tre righe che non c'ho tempo di leggere, e chiudete il becco» sono pennellate costanti in un quadro di desolazione che spesso è il dibattito sul videogioco, in quanto medium, con chi il videogioco lo consuma. Consuma – verbo scelto non casualmente.

In una community con queste sfumature, dove si urla al videogioco che fa politica se il videogioco osa parlare di minoranze, rappresentazioni e/o diritti civili, mentre si pensa che non sia politico uno Spec-Ops: The Line o, meglio ancora, un Call of Duty, non sorprende la piega presa dalle discussioni su Hogwarts Legacy.

Si poteva discutere di se e come boicottare l'opera, in virtù sia di come questo può colpire anche gli sviluppatori, sia del non coinvolgimento diretto di Rowling che le sue royalty le ha già messe in tasca. Si poteva discutere di misure alternative (esistono?) che non gettassero la croce su chi con quei tweet non ha niente a che spartire e che, anzi, a quanto ne sappiamo ha preso le distanze anche introducendo misure inclusive nel gioco.

Poteva essere un momento per fermarsi anche al discorso che facevamo prima: quanto opera e autore possano non andare a braccetto quando l'autore è un tuo contemporaneo e vive di quello che ti appassiona. Poteva, insomma, essere un momento di avvicinamento e confronto: di ascolto delle motivazioni delle persone transgender, di confronto informato su tutti i temi affrontati – che toccano solo alla lontana Hogwarts Legacy in quanto videogioco e lo toccano da vicino in quanto derivato da Rowling.

Purtroppo, però, siamo spiaggiati in una riva in cui per qualcuno (molti) non se ne dovrebbe parlare affatto. In cui si è convinti che le persone transgender si siano inventate il problema per darsi visibilità a spese di Rowling (!). E in cui la risacca continua a rimandarti indietro – e di legna per farsi una zattera non è che se ne veda poi così tanta.

Il dibattito (non so nemmeno se possiamo più chiamarlo tale), guardandosi intorno, è pieno di poli estremamente lontani, come alcuni di quelli che seguono – tra chi si vanta di copie comprate per dispetto, chi esprime il suo rammarico per l'acquisto del gioco e chi sta subendo attivamente minacce da persone che si sentono legittimate a odiare dal contesto.

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Così, Hogwarts Legacy ha preso schiaffi e carezze da tutte le parti senza avere la più pallida idea del perché, perché né gli schiaffi né le carezze dipendevano da se stesso.

Gli agenti di Rowling staranno magari già discutendo delle prossime opere a cui concedere la licenza – e forse, ma solo forse, tutto questo potrebbe scoraggiare alcune etichette dal lanciarsi in un percorso simile a quello fatto da Warner. Potrebbe avere un risvolto se domani diventasse più difficile vedere nuovi adattamenti legati a Harry Potter, poiché il boicottaggio e le discussioni annesse avrebbero avuto un impatto non tanto nel soldo vero e proprio, ma nell'immagine di chi con le IP di Rowling sceglie di lavorare e poi si ritrova a fare damage control.

Ma, se succederà, la voce di Rowling non smetterà affatto di essere estremamente rilevante. Se non succederà, la voce di Rowling non smetterà affatto di essere estremamente rilevante.

Si è riusciti, e questo di certo è tanto ed è importante, a portare sotto i riflettori le difficoltà e i pregiudizi che tutti i giorni le donne transgender devono affrontare. Ma lo si è fatto finendo per pagare il prezzo di quella esasperazione da social dove ogni cosa è 0 o 1. Dove se non compri Hogwarts Legacy vuoi la damnatio memoriae di Rowling e se invece lo compri è perché vuoi impedire alle persone transgender di esistere. Odi e vuoi ammazzare necessariamente qualcuno, rimane solo da tracciare la linea per capire chi.

Il tutto, con videogiocatori che, fuori dalla bolla, sono in larghissima parte immuni a qualsiasi problematica vada oltre lo zerbino di casa e che, di fronte al dibattito, rispondono con «stigrancazzi, io voglio giocare, avete rotto».

E, forse, alla fine è stato un tirare da una parte all'altra che ha suo malgrado allontanato di più tutte le posizioni.

Chi si sentiva in qualche modo legittimato nel proprio odio, in seguito alle esternazioni di J.K. Rowling, oggi lo pensa ancora e probabilmente pure di più. È quell'esasperazione social che dicevo: permette ai messaggi di circolare e prendere forma molto rapidamente, ma paradossalmente toglie punti di contatto. A volte, non lascia niente di costruttivo.

E la formula magica degna di Hogwarts, per capire come fosse possibile avvicinare le parti per sperare in un futuro dove si possa vivere più sereni – anzi, dove si possa vivere, che non sarebbe male – purtroppo non ho idea di quale potesse essere. Se non era questa – e, guardandomi intorno, temo di no – speriamo quantomeno di trovarla presto.