C'era una volta il Tokyo Game Show: nel 2020 una comunicazione fatta di incomprensioni e silenzi

L'evento in digitale nipponico ci ha lasciato molte perplessità tra titoli presenti, ma non mostrati e diversi problemi di comunicazione

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a cura di Silvio Mazzitelli

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Il 2020 è stato un anno particolare, per usare un eufemismo, anche nell’ambiente videoludico, ovviamente a causa della pandemia globale. Il periodo estivo, da sempre caratterizzato dagli eventi più importanti del settore, ha visto annullate le fiere principali come l’E3 o la Gamescom, sostituite da vari eventi digitali. Anche il Tokyo Game Show, che di solito chiudeva questo periodo ricco di novità, ha subito un destino simile, diventando un evento digitale con diversi panel organizzati dalle più importanti software house nipponiche.

Nonostante si sia ormai a un passo dall’arrivo della nuova generazione di console, quanto abbiamo visto in questa edizione digitalizzata del TGS è risultato molto lontano dal mostrarci il futuro del videogioco “Made in Japan”. Il Tokyo Game Show non ha mai brillato per annunci davvero grossi, soprattutto negli ultimi anni, e l’evento si sta trasformando sempre di più in uno showcase in cui vengono mostrati principalmente titoli già annunciati e in cui viene data grande importanza al fandom e ad aspetti non per forza strettamente legati al mondo videoludico.

Inutile negare quindi che, anche se non ci si aspettava annunci miracolosi, l’edizione 2020 è stata molto sotto le aspettative, persino con titoli confermati nella line-up di presentazione e poi spariti nel nulla, segno che il problema del COVID-19 ha pesato molto più di quanto le aziende giapponesi lascino trapelare.

La cultura del non dire

Che la pandemia abbia rallentato e, in alcuni casi, bloccato il mondo videoludico non è una novità; quello che non sappiamo è quale sia la portata dei rallentamenti nello sviluppo dei titoli. Il Giappone, nelle comunicazioni dei suoi problemi interni (e non solo), è sempre stato un Paese molto riservato, che ha sempre lasciato trasparire poco, a meno di casi evidenti. Questo è un tratto culturale che fa da sempre parte del DNA nipponico e le software house non ne sono certo esenti.

Per le cause descritte non si possono avere dati precisi, ma ci sono diversi indizi che lasciano supporre che i problemi portati dal COVID-19 siano stati molti di più di quello che si pensa. I rumor, si sa, bisogna prenderli con le pinze, ma sono sempre più insistenti quelli che parlano di diversi ritardi e slittamenti di date legati alla situazione globale.

Ad esempio, secondo alcune voci di corridoio, in questi mesi Nintendo teoricamente avrebbe dovuto presentare alcuni titoli per fine 2020, che sono poi stati rimandati per i problemi legati al virus. Ma anche senza parlare di rumor, lo scorso luglio Yoshinori Kitase di Square Enix aveva ammesso in una dichiarazione che il processo di sviluppo della seconda parte di Final Fantasy VII Remake aveva avuto dei problemi a causa proprio della pandemia.

Al Tokyo Game Show 2020 abbiamo avuto una conferma del fatto che questi problemi sono molto più seri di quello che si potrebbe pensare. Restando ad esempio su Square Enix, a inizio mese nella line-up dei giochi presenti al TGS c’era anche l’atteso Babylon’s Fall, sviluppato da Platinum Games. Di questo gioco non si è visto nulla durante l’evento e fino ad ora non c’è stata nessuna comunicazione ufficiale sulla mancata presenza dell’action.

Tokyo Game Show abbiamo un problema

Andando ad analizzare le diverse conferenze viste in questo TGS, possiamo notare quanto la sostanza sia stata molto poca. Il gioco per cui è stato mostrato maggiormente qualcosa di concreto è probabilmente Monster Hunter Rise, primo della ricchissima saga di Capcom realizzato in esclusiva su Switch.

In quest’occasione abbiamo potuto ammirare un vero momento di gameplay, commentato dagli sviluppatori, in cui venivano svelate diverse meccaniche inedite. Anche NieR Replicant, rifacimento del titolo uscito dieci anni fa, si è mostrato con un breve filmato che conferma un miglioramento notevole soprattutto al combat system.

Nintendo insieme a Koei Tecmo ha mostrato un trailer avvincente del nuovo Hyrule Warriors, ma d’altronde parliamo di un titolo in uscita tra circa un mese e mezzo che difficilmente avrebbe potuto avere poco da mostrare. A questi aggiungiamo qualche novità su Scarlet Nexus di Bandai Namco, un teaser sul ritorno di Virtua Fighter, l’annuncio di Dynasty Warriors 9 Empire e poco altro.

Per il resto il Tokyo Game Show è stato dominato dalla presenza di merchandising di vario genere: tra magliette, action figure e memorabilia varia. Nella conferenza dedicata alle novità su Street Fighter V, per esempio, si è dedicato circa un solo minuto di filmato alla presentazione di Dan, nuovo personaggio della quinta stagione del gioco, e almeno venti minuti sono stati invece destinati a presentare alcuni oggetti di culto per i fan della saga, tra cui l’indimenticabile maglietta di... Ryu in perizoma.

Questo modus operandi è ritornato poi in molte altre conferenze e il culmine è stato raggiunto, sempre da Capcom, con la presentazione di Resident Evil VIII. In quest’occasione abbiamo assistito alla paradossale scelta di mostrare il titolo giocato in diretta, ma senza mostrarci assolutamente nulla. Il comico giapponese Eiko Kano ha infatti giocato descrivendo alcune scene del gameplay al pubblico, ma senza che queste venissero mostrate minimamente. Una scelta che ha lasciato perplessi molti spettatori.

Viene da pensare quindi che forse la build potesse avere dei problemi con evidenti bug o addirittura ci fosse il rischio di qualche crash in diretta, cosa assolutamente da evitare per la compagnia giapponese, che sa quanto è importante la prima impressione che un gioco suscita nel pubblico. Questo però avvalora la tesi che ci fosse in programma una presentazione del gameplay, come avvenuto per Monster Hunter Rise, ma non ci sia stato il tempo materiale di realizzarne una versione funzionante e in grado di dimostrare la validità del nuovo capitolo della saga horror. Non c’è nulla di confermato in questa supposizione, ovviamente, ma è indubbio che una presentazione in cui il titolo viene giocato in diretta senza essere mostrato risulti molto strana.

Quanto visto al TGS 2020 è un chiaro segno di un evento portato al pubblico di tutto il mondo senza nemmeno avere i contenuti minimi per giustificarne l’esistenza, con un contorno di aspetti secondari che ha superato in proporzioni esagerate quello che avrebbe dovuto essere il piatto forte della fiera nipponica.

Con rammarico potremmo dire che è stata una degna conclusione per quest’estate tempestata da mille conferenze ed eventi, tra il Summer Game Fest e la Gamescom, fatti fondamentalmente di tanto fumo e niente arrosto, dove le bombe vere sono arrivate soltanto nelle conferenze di Sony e Microsoft, in dovere di mostrare i muscoli in vista del lancio delle nuove console.

Assenze ingiustificate

La prima edizione in digitale del Tokyo Game Show evidenzia ancora di più un problema strutturale della comunicazione giapponese, abituata ancora a un passato fatto di tempi di sviluppo minori e senza grossi intoppi. Quanti titoli abbiamo visto annunciati in pompa magna da software house giapponesi per poi cadere nel limbo per anni? Troppi. È successo con Final Fantasy XV e il Remake del VII, con The Last Guardian e molti altri, e attualmente esistono ancora molti giochi di cui non si hanno notizie da troppo tempo.

Chiariamo: questi problemi non sono soltanto nipponici, ma nel mondo dello sviluppo occidentale si è iniziato a capire che presentare un titolo troppo prematuramente può portare solo a problemi nel gestire l’hype delle persone, cosa che potrebbe poi ritorcersi contro la compagnia stessa. Per questo anche titoli come Cyberpunk 2077, presentato ben otto anni fa la prima volta, ha iniziato un cammino di aggiornamenti costanti e precisi per continuare ad alimentare la fiamma dei fan.

Per fortuna però alcune importanti figure dell’industria giapponese hanno compreso il problema. Togliendo lo scivolone di RE VIII (o Village), Capcom ad esempio ha ormai iniziato ad annunciare ufficialmente i propri titoli a massimo un anno di distanza dalla release ufficiale. La prova più lampante di questa consapevolezza viene però da Naoki Yoshida, producer del futuro Final Fantasy XVI e responsabile del rilancio di Final Fantasy XIV. Durante un suo intervento al TGS di quest’anno ha detto di aver voluto lanciare il trailer di FF XVI in maniera che si potesse vedere qualcosa di concreto, con spezzoni di gameplay vero e proprio e non un teaser con qualche spezzone in CG confuso e poi con il titolo in bella mostra, chiara frecciatina al modo di fare di Square Enix in passato.

Attualmente però sono troppi gli assenti illustri che si spera sempre vengano mostrati durante l’evento di Tokyo. Abbiamo già parlato di Babylon’s Fall, tutt’ora disperso, ma potremmo continuare nominando Elden Ring, di cui non abbiamo novità da oltre un anno dopo il teaser in CG dell’E3 2019; Project Awakening di Cygames, titolo ambizioso presentato nel 2018 con un trailer ben confezionato, di cui si sono perse le tracce subito dopo; Granblue Fantasy Relink, sempre della stessa software house, che è da almeno tre anni che ci mostra un trailer all’anno senza mai rivelare un’eventuale data di uscita.

La lista potrebbe continuare ancora molto con, per esempio, un Bayonetta 3 di PlatinumGames, presentato nel 2017 con un teaser molto criptico e di cui non si è più visto nulla. Atlus ha da poco rivelato di voler far uscire Shin Megami Tensei V nel 2021, dopo che la prima presentazione era avvenuta durante il lancio di Nintendo Switch, e la stessa casa di produzione ha ancora in ballo Project Re Fantasy, nuovo JRPG realizzato dal director di Persona 5 di cui non si è mai visto assolutamente nulla nonostante sia stato annunciato nel 2016.

Ci sarebbero ancora degli esempi da fare, ma questo basta a farvi capire quanto il problema principale degli sviluppatori giapponesi sia una comunicazione rimasta troppo indietro e dunque inadeguata a un mondo che si muove a una velocità terribilmente maggiore rispetto al passato, con tempi dilatati nello sviluppo e le necessità di un pubblico che vuole sempre di più e il più in fretta possibile. Alcuni hanno imparato la lezione anche a proprie spese, resta da vedere se questa verrà recepita dall’intera industria videoludica del Paese del Sol Levante, soprattutto dopo questo Tokyo Game Show.

In conclusione

Il recente Tokyo Game Show ha dimostrato come il Giappone fatichi ancora molto nella comunicazione con il proprio pubblico. Tra conferenze dedicate più al merchandising che ai videogiochi e altre dove il gioco viene raccontato senza essere mai mostrato, si comprende quanto il problema non sia solo nei rallentamenti dovuti alla pandemia.

Troppi titoli nipponici vengono annunciati prematuramente per poi sparire dalle scene per anni, sfiancando i fan nell’attesa. La speranza è che questi problemi, che stanno iniziando a venire colti da diversi sviluppatori, vengano compresi e corretti nella nuova generazione di console ormai alle porte.

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