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The Last of Us - Part II in State of Play: mors tua vita mea - Speciale

Il mondo di The Last of Us - Part II mostrato durante State of Play è quello che ci aspetta dal 19 giugno: un universo di pericoli letali in cui l'uomo è probabilmente ancora quello più spaventoso

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Avatar di Stefania Sperandio

a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

Pubblicato il 28/05/2020 alle 09:50 - Aggiornato il 29/05/2020 alle 10:05
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Il Verdetto di SpazioGames

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Durante State of Play, Neil Druckmann non ci ha girato molto intorno e ha dichiarato che The Last of Us - Part II sia «il più grande e più ambizioso» videogioco mai realizzato da Naughty Dog. Se ci guardiamo indietro, dall'annuncio a quanto sottolineato nel corso dell'ultima diretta streaming, la cosa appare evidente. Non solo le animazioni, non solo le altissime aspettative generate dall'essere progenie di un impressionante 95/100 su Metacritic, non solo la possibilità di essere il canto del cigno di una generazione d'oro per PlayStation: The Last of Us - Part II reitera direttamente nelle immagini messe in scena in State of Play la volontà di voler trattare davvero e proverbialmente il medium come parte del messaggio — perché il potenziale di un gameplay e di una narrativa che hanno questi toni, questi temi, sposato all'uso sincero di un mezzo interattivo, rende davvero impazienti per il 19 giugno. Le intenzioni erano chiare già prima. State of Play le ha rese, se possibile, ancora più manifeste. The Last of Us - Part II riuscirà davvero a regalare ai giocatori un'esperienza d'impatto e sarà capace di farci mettere in discussione tutto, come preannunciava Troy Baker? Il definitivo momento di scoprirlo non è mai stato, finalmente, così vicino.

Informazioni sul prodotto

Immagine di The Last of Us: Part II
The Last of Us: Part II
  • Sviluppatore: Naughty Dog
  • Produttore: Sony Interactive Entertainment
  • Distributore: Sony
  • Piattaforme: PS4
  • Generi: Action Adventure
  • Data di uscita: 19 giugno 2020

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C’è voluto un po’, ma siamo davvero arrivati a quel momento in cui ci diciamo, con sufficiente certezza, che mancano poche settimane all’uscita di The Last of Us – Part II. Con sulle spalle una responsabilità non da poco — quella di raccogliere l’eredità di un gioco universalmente premiato come è stato il suo predecessore — il nuovo imminente lavoro di Naughty Dog è stato protagonista del più recente State of Play.

Nel corso dell’appuntamento, il direttore Neil Druckmann ne ha approfittato per fare il punto sulle meccaniche del titolo e, mentre abbiamo visto la diciannovenne Ellie affrontare gli orribili effetti di una pandemia venirci raccontata in un evento digitale a causa di una pandemia, abbiamo avuto ulteriore conferma di un tema ricorrente anticipato dagli sviluppatori: The Last of Us – Part II sarà sporco, sincero e sanguigno.

Cinque anni dopo, ventidue anni dopo

Sono passati cinque anni da The Last of Us e, precisa Druckmann, ventidue dall’esplosione della pandemia. Le informazioni che seguono sul contesto del mondo di gioco hanno poco di nuovo: viene ribadito che Ellie, ora stabilitasi nella piccola comunità di Jackson, nel Wyoming, vede la sua nuova vita costretta a un brutto faccia a faccia con un imprevisto irreparabile.

Questo evento, non meglio precisato, costringerà la nostra (anti?)eroina a partire alla volta di un viaggio che, di solito, non promette tanto di buono: quello che ha per destinazione la vendetta.

State of Play ci conferma che sarà questo il percorso che affronteremo con Ellie e, assicura Druckmann, ci porterà lungo alcuni degli scenari più ampi mai visti a firma Naughty Dog. Nel corso di State of Play, lo sviluppatore ha anche sottolineato che il team ha svolto un lavoro certosino proprio sulle ambientazioni, facendo in modo che richiamassero fedelmente le loro controparti reali.

Controparti reali che, ovviamente, all’interno di The Last of Us – Part II sono sottoposte agli effetti del decadimento dell’umanità, dell’infezione che ne ha sterminato buona parte e che continua a minacciare il quieto vivere di quella che, a stento, rimane. Seattle, uno degli scenari chiave del gioco, non farà eccezione: Druckmann descrive la città come una zona di guerra, ed è evidente che sarà incarnazione dei conflitti che saranno alla base del gioco, fin da questa presentazione molto sincera nel suo voler rappresentare in modo esplicito la violenza.

Il direttore descrive lo scenario come fagocitato dagli scontri tra due fazioni e — guarda caso — mentre gli infetti masticano e sputano via quel che resta delle persone, la minaccia più spaventosa per gli umani rimangono… gli umani. E, probabilmente, non solo quelli “cattivi”.

Il ciclo della violenza

Così, mentre il direttore Druckmann conferma numerosi degli aspetti che avevamo già ampiamente trattato nel nostro precedente gameplay recap — tra cani che seguono la scia di Ellie e difficili da eludere, possibilità di potenziare le proprie armi e di accessoriarle anche con mezzi di fortuna, libertà di approccio tra attacco diretto, furtività ed eventualmente fuga — si concretizza più nitidamente che mai davanti agli occhi dello spettatore che la violenza sarà il cuore pulsante e traboccante sangue di The Last of Us – Part II.

Mentre Ellie attraversa una Seattle in cui deve vedersela con gli estremismi dei rivoluzionari armati del Washington Liberation Front e con le follie dei fanatici conosciuti come Serafiti, la sua scheggia impazzita versa altro sangue. Quando State of Play si apre al mostrare l’attesa sequenza di gameplay inedito, è impossibile non fare caso alla sincerità del gioco.

In modo estremamente discutibile, qualche tempo fa Naughty Dog rispose alle questioni legate al crunch facendo notare che l’impegno dei suoi dipendenti valesse le animazioni migliori dell’industria. Fermo restando che non c’è nessun buon motivo, di alcun genere, anche solo per rischiare di normalizzare pratiche di lavoro scorrette, il poco gameplay che abbiamo potuto vedere oggi evidenzia proprio quelle animazioni. E aggiunge un nuovo livello di profondità a dichiarazioni come «vi parleremo del ciclo della violenza».

Colpisce, personalmente, il fatto che quando Ellie sorprenda alle spalle un nemico impegnato a divertirsi a Hotline Miami sulla sua PlayStation Vita — sopravvissuta eroicamente alla pandemia — la sua uccisione non si risolva semplicemente in pressione del tasto – morte.

La sequenza è sincera, la colluttazione brutale, la stoccata finale con cui Ellie la spunta ha una forza narrativa tutta sua. La sensazione, guardando semplicemente questo gameplay, è che una rappresentazione così realistica possa dare anche una nuova profondità allo storytelling adulto nel videogioco.

Raccontava Neil Druckmann, qualche tempo fa ai colleghi di Kotaku, che Naughty Dog si fosse confrontata perfino con video di veri eventi violenti, per rendersi conto di quanto la violenza finisse con l’essere edulcorata nel videogioco. Una cosa che, secondo il director, The Last of Us – Part II non avrebbe fatto — e che in effetti, stando a quanto visto in State of Play, sembra corrispondere a realtà.

La scelta stilistica è chiara ed è interessante notare come la tecnologia sia riuscita a stare al passo con questa visione particolarmente ambiziosa: all’interno di un videogioco che parte dal concetto di voler parlare di violenza, rappresentare gli affanni dell’uccisione, la brutalità dell’uccidere alle spalle o il terribile momento in cui si lancia una molotov contro un cane da guardia “nemico” diventano parte di un puzzle narrativo più complesso e che siamo ovviamente curiosi di scoprire nella sua interezza.

Quanto sangue sei disposto a versare?

Altrettanto interessante da notare, di quanto mostrato durante State of Play, è il fatto che in un mondo ostile come quello di Part II, la violenza sia il tema sotteso di qualsiasi fase di gioco. Ellie potrà saltare, arrampicarsi, oscillare con delle corde o usarle per calarsi per superare gli ostacoli. Il tutto, nell’attesa dell’incontro con il prossimo pericolo — o delle fasi in cui ce ne saranno anche di tipi diversi.

In una sequenza, Naughty Dog ha mostrato durante lo streaming che potremo anche aizzare gli infetti contro i nemici umani, ad esempio, volgendo a nostro vantaggio le atrocità che popolano il mondo di gioco. Non è tutto: il senso di pericolo si direbbe opprimente, considerando che Druckmann ha voluto sottolineare che no, per magia l’erba alta non vi nasconderà alla vista dei nemici, se questi dovessero essere abbastanza vicini.

Ed ecco che, nel momento in cui nel gameplay mostrato qualcosa va storto, Ellie ha poche opzioni dalla sua: uccidere quanti più nemici possibili, o fuggire. Anche questo non sarà facile, anche se la nostra protagonista potrà servirsi di una schivata che si direbbe importante — considerando quanto la abbia sottolineata Druckmann — e potrà anche spaccare vetrate per lanciarsi all’interno di edifici chiusi, cercando di far perdere le sue tracce. Questo, come contromisura al fatto che quella Ellie che prometteva, qualche trailer fa, «troverò e ucciderò ognuno di loro» non potrà comunque farlo in una sola seduta, se dovesse trovarsi schiacciata da sola contro decine di nemici.

Il succo, quindi, è che se solitamente ci troviamo di fronte ad antagonisti che compiono brutalità che ci aiutano a patteggiare per il nostro protagonista, l’approccio di The Last of Us – Part II sembra, sia dopo le parole di Druckmann che dopo questo State of Play, quello in cui la violenza brutale la fanno un po’ tutti, e non è che quella fatta dai buoni sia un po’ più pulita e ludica di quella perpetrata dai cattivi.

Mors tua vita mea, sicuramente, ma se all’E3 di qualche anno fa era difficile togliere gli occhi dal machete incastrato nella spalla del nemico che aveva assalito Ellie, oggi mi è capitato lo stesso quando il nemico si è piegato in due perché costretto ad accogliere un’ascia nelle viscere.

Al servizio del racconto

In attesa dell’uscita del gioco, abbiamo assistito a molte dichiarazioni, come quelle di Troy Baker, che sottolineavano come The Last of Us – Part II vivesse della volontà di farci mettere in dubbio delle certezze. Ed è anche in questo quadro che si incastra l’interessantissima scelta per cui si è optato nella rappresentazione della violenza.

A questo, abbiamo notato durante la presentazione di oggi di State of Play, si affianca un uso non invadente della grammatica filmica: come ormai da tradizione per questa generazione, il passaggio dal gameplay alla cut-scene è scorrevole e senza stacchi, ma da lì in poi, alla fine del gameplay inedito, notiamo un montaggio il più invisibile possibile. Nessun virtuosismo particolare, ma scelte stilistiche al servizio della narrativa (e non il contrario, come a volte capita), con un campo-controcampo tra Ellie e il suo interlocutore, prima dello stacco finale. In precedenza avevamo notato anche scelte cromatiche che evidenziavano invece dei simbolismi, quindi anche la curiosità di scoprire tutte le soluzioni registiche messe insieme da Naughty Dog si fa sentire.

Durante State of Play, Neil Druckmann non ci ha girato molto intorno e ha dichiarato che The Last of Us – Part II sia «il più grande e più ambizioso» videogioco mai realizzato da Naughty Dog. Se ci guardiamo indietro, dall’annuncio a quanto sottolineato nel corso dell’ultima diretta streaming, la cosa appare evidente.

Non solo le animazioni, non solo le altissime aspettative generate dall’essere progenie di un impressionante 95/100 su Metacritic, non solo la possibilità di essere il canto del cigno di una generazione d’oro per PlayStation: The Last of Us – Part II reitera direttamente nelle immagini messe in scena in State of Play la volontà di voler trattare davvero e proverbialmente il medium come parte del messaggio — perché il potenziale di un gameplay e di una narrativa che hanno questi toni, questi temi, sposato all’uso sincero di un mezzo interattivo, rende davvero impazienti per il 19 giugno.

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