Gamescom 2025 si è aperta con la consueta Opening Night Live, il rito collettivo che l’industria videoludica ha trasformato in una celebrazione di se stessa.
Ormai sappiamo cosa aspettarci: Geoff Keighley al centro del palco, un flusso ininterrotto di trailer e volti noti, una platea che si divide tra entusiasmo e scetticismo. La sensazione di déjà-vu non è più un sospetto: è diventata il marchio di fabbrica di questi eventi.
Eppure, nonostante questa prevedibilità, la serata ha regalato almeno un paio di momenti destinati a far discutere. Non tanto per la qualità intrinseca dei giochi mostrati, quanto per il modo in cui rivelano lo stato di salute (e le contraddizioni) di un settore che vive di promesse più che di certezze.
Ma alla fine, queste due ore di show ne sono valse la pena?
Tanti giochi, ma bastano?
L’apertura con Hollow Knight: Silksong è stata emblematica. Un titolo che si trascina dietro anni di silenzio e attese spasmodiche, al punto da essere diventato barzelletta prima ancora che realtà concreta.
Bastava un trailer con una finestra di lancio (2025) per scatenare l’ovazione del pubblico. E questo, più che un trionfo, dovrebbe far riflettere: ci siamo abituati a considerare un miracolo ciò che dovrebbe essere la normalità, cioè il semplice mostrare un gioco in uscita. La community si accontenta, e l’industria lo sa bene.
Dopo quell’inizio, lo show ha alternato titoli dal peso storico a prodotti che evaporano già al primo replay del trailer. Call of Duty Black Ops 7 è forse l’esempio più lampante: un brand che continua a macinare miliardi, ma che per darsi un’aria di novità ha pensato bene di arruolare Milo Ventimiglia. Hollywood che entra nei videogiochi non è una novità. Una scorciatoia che funziona in termini di marketing.
Molto diverso l’effetto dei ritorni di Onimusha e Ninja Gaiden 4. Non serve un attore famoso, non serve una campagna pubblicitaria in pompa magna: basta il nome.
Basta ricordare che questi brand hanno plasmato generazioni di giocatori. Il problema, però, è che ci muoviamo sempre su un filo sottile tra omaggio e sfruttamento della nostalgia. Rianimare vecchie glorie può essere un gesto sincero, ma può anche trasformarsi nell’ennesimo tentativo di spremere un marchio senza un vero progetto dietro.
I colpi importanti, però, sono arrivati a partire da Silent Hill f. Perché ha riportato la saga in un terreno che sembrava dimenticato: il disagio autentico, il perturbante che ti si attacca addosso. Ambientato nel Giappone anni ’60, con una protagonista intrappolata in un incubo che contamina la sua città, il trailer è stato disturbante al punto giusto.
Per un attimo, la ONL ha smesso di sembrare un carosello pubblicitario e ha dato l’impressione di toccare qualcosa di più profondo. Certo, resta sempre la domanda: quanto di quello che abbiamo visto finirà davvero nel prodotto finale? Ma almeno, per qualche minuto, si è respirata aria diversa.
Il resto dello show è stato un campionario di giochi più o meno interessanti. Il nuovo LEGO Batman che guarda a Burton e Nolan, Europa Universalis V che prova a rilanciare la strategia, Warhammer Dawn of War IV che si prende la responsabilità di riportare in auge gli RTS.
E poi, naturalmente, i colossi. Resident Evil Requiem che mostra di nuovo quanto Capcom sia abile a reinventare il proprio brand senza mai davvero lasciarlo morire. Ghost of Yotei, seguito di Ghost of Tsushima, che conferma come Sony punti tutto sulla sicurezza dei marchi consolidati.
E la chiusura con Black Myth Zhong Kui, prova ulteriore di come gli studi cinesi stiano entrando con prepotenza nel panorama tripla A, decisi a colmare il divario con l’Occidente. Tutto solido, tutto ben confezionato, tutto già visto.
Ecco il punto: la ONL 2025 non è stata un brutto show. Anzi, sul piano dello spettacolo ha funzionato, come sempre. Ma è stata anche lo specchio di un’industria che sembra incapace di sorprendere davvero.
Ci emozioniamo di fronte a un titolo che torna dall’oblio, o a un trailer che evoca atmosfere disturbanti, ma sappiamo già che domani l’attenzione sarà altrove. Non è più il tempo delle rivelazioni che cambiano la storia del medium. È il tempo del marketing a ciclo continuo, dell’hype che si autoalimenta, del consumo di trailer come fossero snack.
La vera domanda, dunque, non è se la ONL 2025 sia stata spettacolare. Lo è stata, nel senso televisivo del termine. La vera domanda è: quale di questi annunci ricorderemo davvero tra due settimane?
Quanti resteranno impressi come momenti fondanti, e quanti verranno archiviati nella memoria come l’ennesimo fuoco d’artificio?
Tanto rumore per nulla
In fondo, il problema è proprio questo. Gamescom continua a correre, e con lei l’industria. Ma più corre, più rischia di girare in tondo. Le grandi aziende preferiscono rassicurare il pubblico con franchise immortali piuttosto che rischiare. I progetti più coraggiosi vengono relegati a parentesi eccentriche, che fanno notizia per un giorno e poi spariscono. Il pubblico, dal canto suo, continua a lasciarsi sedurre dai trailer patinati, salvo poi lamentarsi dei ritardi, delle delusioni e delle promesse mancate.
Il videogioco è vivo, pulsante, e incapace di fermarsi. Ma forse è proprio questo il suo limite: corre così veloce da dimenticare di guardarsi alle spalle.
E così la Opening Night Live diventa ogni anno lo stesso spettacolo: fuochi d’artificio che illuminano il cielo per un istante, per poi dissolversi lasciando dietro di sé troppi dubbi.
Dubbi sulla reale consistenza di ciò che abbiamo visto, sul peso culturale di trailer che sembrano nati più per fare trending topic che per raccontare un progetto autentico, sul destino di un’industria che si accontenta sempre più di vendere l’illusione dell’imminenza, invece della sostanza.
È un copione che conosciamo bene: applausi a scena aperta per i ritorni dal passato, brividi effimeri per l’ennesimo horror confezionato ad arte, e la certezza che, una volta spenti i riflettori, resterà soltanto la sensazione di aver assistito a un grande show televisivo più che a un passo avanti per il medium.