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Ho giocato Ghost of Tsushima solo ora e ho amato il suo viaggio nel Giappone del ‘200

Anche oltre due anni dopo il suo debutto, Ghost of Tsushima rappresenta un affascinante viaggio nella Storia del Giappone e nei suoi costumi. Mettiamo le vicende di Jin Sakai fianco a fianco con la storia e con quanto narrato dal folklore, in attesa di scoprire come sarà il futuro film dedicato alla saga di Sucker Punch.

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Avatar di Pia Colucci

a cura di Pia Colucci

Redattrice

Pubblicato il 19/12/2022 alle 13:18

Nel momento in cui Ghost of Tsushima fu annunciato da parte di Sucker Punch – la software house famosa per le saghe di Sly Raccoon e Infamous – decisi di lasciar prendere e dedicarmi ad altri titoli in uscita in quel periodo su PlayStation. Il perché di questa mia esclusione è presto detto: semplicemente, ero stanca di ciò che un titolo come Ghost of Tsushima proponeva.

Struttura open world classica, ampi territori invasi da truppe nemiche e avamposti da conquistare, collezionabili disseminati sulla mappa, strutture degli accampamenti tutte uguali e aggirabili sia tramite scontri diretti che fasi in stealth; attività che forse dieci anni fa potevano lasciarmi convincere, tuttavia, nel mare magnum di esclusive Sony di quel periodo (parliamo del 2020 in cui molti possessori di PS4 si sono barcamenati tra The Last of Us Parte II e il precedente Death Stranding), decisi di tagliar fuori proprio il titolo che sembrava più simile – rispetto a molti altri - a livello di gameplay.

In più, da amante della cultura giapponese, ho sottostimato Ghost of Tsushima. Non avrei mai pensato che una software house occidentale potesse creare così bene il microcosmo giapponese del ‘200 e inglobare al suo interno la filosofia del bushido, il folklore shinto e i magnifici paesaggi dell’isola.

Sucker Punch ha saputo fare i compiti a casa e, quando infine mi sono decisa, mi ha convinta sin dai primi minuti di gioco: l’ode alle opere cinematografiche di Akira Kurosawa, lo struggente shamisen in sottofondo e il polline dei campi di pampas che affolla lo schermo davanti ai miei occhi fanno passare in secondo piano anche la struttura videoludica più abusata.

Ghost of Tsushima è un’avventura storica, prima che ludica. È un messaggio di amore ad una cultura che ci lascia sempre a bocca aperta; ma quanto c’è di vero nell’epopea del giovane Jin Sakai?

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Il Giappone e le due invasioni mongole

Il Sol Levante è stato uno degli obiettivi delle mire espansionistiche mongole nel corso del Medioevo. Il territorio mongolo aveva conquistato tutta l’Asia centro-orientale e la penisola di Corea prima di convincersi ad attaccare anche l’arcipelago giapponese. Le due campagne furono intraprese da Kublai Khan, nipote del ben più noto Gengis, il quale voleva sottomettere al suo controllo il Giappone degli Shogun.

Sin da subito, le differenze tra i due popoli erano chiare. I due Paesi erano agli antipodi dal punto di vista bellico: forti delle loro mire espansionistiche, le strategie belliche mongole erano avanzate su più terreni di guerra e gli strumenti utilizzati sul campo (primi esemplari di granate e frecce di fuoco, come si nota anche nel videogioco) erano una vera e propria novità per i giapponesi, i quali – chiusi all’interno del loro arcipelago per via delle politiche xenofobe dello shogunato – affrontavano le proprie guerre interne attraverso duelli personali all’arma bianca.

Per via di questa abissale differenza tattica, nessun generale giapponese aveva idea di come affrontare un esercito molto più avanzato sia su terra che su mare, avendo dalla loro una flotta di ben mille navi pronte ad attraccare sulle coste nipponiche.

Perché proprio l’isola di Tsushima? Contrariamente a quanto erroneamente pensavo, Tsushima è un’isola reale ma poco conosciuta del Stretto di Corea e la mappa del gioco riprende esattamente la sua morfologia.

Per via del suo posizionamento strategico, tra Corea e Giappone, Tsushima fu il primo sito in cui le flotte di Khan attraccarono, dopo che egli aveva inviato – senza aver ricevuto risposta – missive in cui chiedeva ai giapponesi di sottomettersi.

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Nonostante personaggi fittizi, inventati appositamente per la storia, lo spirito che li guida non è poi così diverso da quello degli isolani dell’epoca. Malgrado l’evidente difficoltà numerica degli abitanti di Tsushima e l’introduzione dei nuovi strumenti bellici portati in capo dai mongoli, la condizione di impotenza fece nascere negli abitanti di Tsushima e Iki (l’isola scenario del DLC di Ghost of Tsushima Director's Cut disponibile qui) un forte senso di rivalsa, improvvisandosi soldati di emergenza.

Molti di loro salparono per la Corea, dove erano arenate alcune flotte mongole, e distrussero le guarnigioni nemiche: uno spirito di rivalsa che possiamo trovare nelle azioni impetuose di Jin Sakai, le quali si discostano dalla via dell’onore dei samurai.

Predoni, soldati di emergenza, erano la faccia del nuovo Giappone che si ribellava alle politiche di chiusura da parte dello shogunato: uno scontro tra una nuova idea di guerra e una un po’ più conservativa, mostrata nel videogioco attraverso il tortuoso rapporto tra Jin Sakai e lo zio, Lord Shimura.

I due protagonisti non sono altro che l’emblema del vecchio e del nuovo Giappone.

La potenza del folklore e il vento divino

I giapponesi sono stati molto legati alla loro religione, lo shintoismo. Poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, erano convinti che l’Imperatore fosse un discendente della dea Amaterasu, la dea del Sole per la religione nipponica; in tempi antichi, riconducevano agli dei fenomeni inspiegabili o naturali, come forti tempeste o incendi.

Lo shinto prevede l’adorazione di kami, ovvero divinità o spiriti naturali che possono essere guardiani di un luogo specifico, oppure possono rappresentare un oggetto o evento naturale. All’interno di Ghost of Tsushima c’è una grande presenza di santuari shintoisti da raggiungere, ognuno dei quali dona a Jin un amuleto specifico per ogni divinità che protegge quel determinato luogo sacro.

Ci sono diverse divinità nello shintoismo, per citarne alcune: Izanagi e Izanami sono i primi dei dello shintoismo, precisamente uomo e donna, il primo è il dio della vita mentre la seconda è la dea della morte, genitori di Amaterasu. Inari è uno dei kami più conosciuti anche in Occidente e rappresentato in Ghost of Tsushima da una piccola volpe che – se inseguita – ci porterà ad uno dei 49 santuari disseminati sull’isola. Inari è il dio dell’agricoltura, del riso, della fertilità, delle volpi, dell’industria e del successo terreno.

I kami hanno avuto forte rilevanza durante le invasioni mongole di Tsushima. Ad uno dei kami della guerra, Hachiman, era dedicato un santuario sull’isola e la popolazione credeva che egli proteggesse la terra dall’invasione straniera. Cronache dell’epoca dicono che un terribile incendio scoppiò nel santuario quando l’armata mongola si stava avvicinando all’isola; fu presto spento dai vigili del fuoco accorsi, ma nessuno sapeva quale fosse stata la causa.

Al governatore dell’isola So No Sukikomi, giunse poco dopo la notizia che un abitante della città avesse visto l’incendio scoppiare subito dopo che uno storno di piccioni bianchi si era posato sul tetto del santuario.

So No Sukikomi rispose con gioia dicendo che i piccioni bianchi fossero – com’è noto dalla tradizione religiosa – sacri messaggeri del kami Hachiman, il quale stava avvisando la popolazione del pericolo imminente. Tuttavia, questo avvertimento non bastò a difendere l’isola che cadde sotto l’invasione mongola, e di lì a poco Iki subì la stessa sorte.

Leggi anche Ghost of Tsushima è fedele a Storia e cultura giapponese? Risponde la prof. Virginia Sica

Ma non è stato solo questo l’evento importante legato alla religione giapponese. Quando i mongoli riuscirono ad arrivare in Giappone (in Ghost of Tsushima, grazie alle nostre imprese questo non succede), precisamente alla baia di Hakata, la corrazzata di Khan fu spazzata via da un violento tifone.

Anche nella seconda dominazione, nel 1281, un secondo tifone spazzò metà dei 140.000 uomini di Khan. Ovviamente, i giapponesi attribuirono la loro fortuna all’azione divina di Fujin e Raijin, due fratelli, kami del vento e delle tempeste.

L’azione difensiva dei due kami ha originato quello che oggi è noto come kamikaze (il vento divino); i celebri soldati suicidi della Seconda Guerra Mondiale prendono questo nome proprio dai due tifoni che spazzarono via le flotte mongole: il loro intervento dal cielo doveva “spazzare” via il nemico a Pearl Harbor, secondo i generali del Sol Levante.

Ghost of Tsushima e l’arte cinematografica di Kurosawa

Che Ghost of Tsushima sia un tributo al cinema giapponese è indubbio. Un destinatario in particolare è frutto di questa scelta stilistica della software house di InFamous, Akira Kurosawa, regista giapponese morto nel 1998 (approfondimmo il tema in questo articolo).

Kurosawa è forse uno dei registi giapponesi più famosi in Occidente, soprattutto grazie ai suoi film in costume (jidai geki) celebri come I Sette Samurai, Rashomon (tratto dal libro di Ryunosuke Akutagawa) e Ran che influenzano pesantemente l’estetica di Ghost of Tsushima: duelli drammatici e all’ultimo sangue e una sceneggiatura ricca di pathos non lasciano nulla al caso.

La cosa che più salta agli occhi della geografia di Tsushima sono i colori accesi che fanno esaltano i paesaggi dell’isola, presi in prestito dagli scenari colorati di Yume (Sogni), ultimo capolavoro del regista di Tokyo e di Dolls di Takeshi Kitano. Anche Jin Sakai, interpretato dall'attore Daisuke Tsuji, con i suoi capelli lunghi raccolti e la barba rada ricorda un po' l'indimenticato Toshiro Mifune, attore feticcio di Kurosawa e protagonista in tantissime sue pellicole.

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Occorre, tuttavia, aggiungere che Ghost of Tsushima non vuole fare cinema e non ci sono neanche le basi per diventare cinema, visto che parliamo di un medium differente. Tuttavia, ciò che riesce bene è il fascino estetico del gioco: grazie ad un uso attendo del colore e delle particelle come i fiori di ciliegio o foglie di momiji che si disperdono nella brezza, vento e polvere simili ad acquerelli, in Ghost of Tsushima regna un senso di grandezza e misticismo che solo l’estetica del Giappone medievale sa dare – ed è questo che coinvolge e delizia il videogiocatore e lo spinge ad andare avanti in un mondo così lontano ma virtualmente tangibile.

L’era Kamakura di Ghost of Tsushima e i ronin, samurai senza padrone

Da parte di noi occidentali c’è spesso molta confusione riguardo a quello che è il lungo medioevo giapponese. Il periodo storico più famoso per noi occidentali è il cosiddetto periodo Tokugawa che va dal 1600 al 1868, anno della caduta dello shogunato e la Restaurazione Meiji.

L’era Kamakura (1182 – 1333) è stata definita dagli storici come un’era d’incertezza alimentata dalla tentata doppia invasione mongola che favorì la diffusione del Buddhismo Zen e del Sutra del Loto. In questo stesso periodo fu codificato il celebre Bushido, ovvero la via del guerriero, e furono gettate le basi per lo shogunato militare che durò per più di settecento anni.

Vista la “recente” influenza buddhista proveniente dalla Cina, statue di guardiani buddhisti chiamati Nioh sono presenti in maniera frequente vicino ai templi visitati da Jin Sakai – e questo rende accurata la ricostruzione storica del periodo in cui sono ambientate le vicende del giovane samurai.

Una forte presenza all’interno del gioco e delle vicende del titolo di Sucker Punch è quella dei ronin (letteralmente, uomo alla deriva), i cosiddetti samurai decaduti, non più al servizio di un padrone (daimyo), divenuti molto famosi in Occidente grazie ad anime e film.

Durante il periodo Kamakura e oltre, difficilmente i samurai rimanevano davvero senza padrone: i guerrieri potevano servire un altro daimyo, solitamente un parente stretto del padrone originario. Non era raro, per i samurai rimasti senza padrone, uccidersi tramite seppuku, seguendo il codice del Bushido. Coloro che sceglievano di non compiere il suicidio rituale diventavano dei banditi, saccheggiando villaggi o creando scompiglio oppure degli yojimbo, ovvero guardie del corpo al servizio di ricchi mercanti o di interi villaggi.

La forte presenza dei cosiddetti “cappelli di paglia” all’interno del gioco è quindi un po’ anacronistica per l’epoca e serve per aumentare il fascino di questi guerrieri dannati e vagabondi che sfidano il protagonista in drammatici e spettacolari duelli.

Malgrado Ghost of Tsushima facesse intendere altro, è possibile definire Jin Sakai come un vero e proprio samurai senza padrone in quanto la sua attitudine è molto più moderna e occidentalizzata rispetto a quella di un samurai dell’epoca Kamakura.

Nel Giappone moderno, il termine ronin si usa ancora ma è di accezione negativa: un ronin è una persona che ha fallito il severo test d’ammissione all’Università oppure è rimasto senza un lavoro, diventanto – appunto – un individuo errante.

La parentesi di Jin Sakai in Ghost of Tsushima pare essersi chiusa, tuttavia è in cantiere un film dedicato alle vicende del giovane samurai con alla regia Chad Stahenski, il regista di John Wick.

E, a suo modo, il successo di Ghost of Tsushima ha riportato alla luce l'interesse per le avventure ambientate nel Giappone feudale: stando a quanto riportato da Ryu Ga Gotoku Studio, il titolo Sony ha fatto da apripista al remake Like a Dragon Ishin, la serie spin-off di Yakuza ambientata nel Giappone antico, inedita in l'Occidente.

E, a questo punto, arigatou, Jin!

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