Assassin’s Creed Revelations: storia dell'episodio ingiustamente sottovalutato

Sull’onda della rivelazione di Mirage, inquadriamo in una nuova prospettiva uno degli AC più ignorati di sempre: Assassin’s Creed Revelations

Immagine di Assassin’s Creed Revelations: storia dell'episodio ingiustamente sottovalutato
Avatar

a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Assassin’s Creed è una saga bipolare. Dalla prima epoca in cui veniva accusata di non evolversi, dal 2017 (con la trilogia composta da Origins, Odyssey e Valhalla) ha operato una svolta tale da rendersi irriconoscibile agli occhi di molti.

Un salto nel buio notevole, un lavare via tutte le accuse di lungaggini inutili e capitoli-fotocopia fatti forzosamente uscire ogni autunno e puntualmente dimenticati dopo Capodanno.

Ma in questo cestone c’era pure qualcosa di qualità? La risposta è sì, e quel qualcosa si chiama Assassin’s Creed Revelations.

https://www.youtube.com/watch?v=eXI4hqdy8uI&feature=youtu.be

Assassin’s Creed Revelations, ovvero la promozione del pedone

Uscito nel 2011, Assassin’s Creed Revelations si caratterizza per un’origine un po’ insolita. Il gioco, infatti, nacque inizialmente come Assassin’s Creed Lost Legacy, uno spin-off per Nintendo DS che vedeva Ezio Auditore partire per la Terrasanta alla ricerca della conoscenza perduta di Altaïr, protagonista del primo capitolo.

Quando a inizio 2010 il modello dell’uscita annuale venne consolidato, Lost Legacy venne promosso a capitolo maggiore.

Alla radice però il soggetto è lo stesso: dopo i turbolenti anni della destituzione dei Borgia (narrati in Brotherhood) e quelli come consigliere di papa Giulio II, il buon Ezio decide di partire per il vicino Oriente per indagare i misteri irrisolti di Altaïr Ibn-La’Ahad.

Dopo un primo tentativo a vuoto, capisce che le chiavi per risolvere il mistero si trovano a Costantinopoli. In questa città Ezio dovrà alternare la sua ricerca con il suo evitare la lotta tra Ottomani e Bizantini, cercando al contempo di gestire gli affari della Confraternita.

Pur se la premessa è interessante e ben ambientata, già da qui si cominciano a vedere le prime evidenti differenze rispetto al passato: gli eventi storici passano in secondo piano quasi immediatamente, travolti come sono da un enorme e prima mai sperimentato approfondimento dei personaggi. Un cambiamento che ha nome e cognome: lo sceneggiatore Darby McDevitt.

Dopo aver cominciato con gli spin-off della serie Bloodlines e Discovery, egli esordì alla scrittura di un titolo maggiore proprio con Assassin’s Creed Revelations. Chiamato a sostituire Corey May, ai tempi impegnato con il futuro Assassin’s Creed III (qui la recensione; May scriverà poi anche Syndicate).

Per quest’ultimo McDevitt si trasformò in una sorta di incrocio tra la nemesi e il gemello. Il rigore storico c’è in entrambi, ma dove May è epico e storiografico, McDevitt usa il contesto storico come un contenitore, indagando come mai prima di allora anche un personaggio intoccabile e già “spremuto” come Ezio Auditore.

McDevitt osa prendendo proprio Ezio e facendolo diventare a sua volta narratore. Le lettere spedite alla sorella Claudia rimasta in Italia sono sia conforto per il trovarsi in terre lontane sia filo rosso di una rinascita inaspettata. L’aver scavallato la cinquantina ha infatti pesato per Ezio, che seppur ancora prestante e vigoroso si sente in qualche modo appassito, nonché divorato da un vuoto cui gli anni da Mentore non hanno dato senso.

“Ho visto abbastanza per una vita”

Ormai, anche chi non ha mai toccato Assassin’s Creed Revelations nemmeno con un bastone sa benissimo che il gioco conclude la storia di Ezio (trovate su Amazon la trilogia completa per Switch). Ci prepariamo prima rivivendo i ricordi di Altaïr, riattraversandone la lunga esistenza tramite alcuni momenti strategici.

La rievocazione diviene simbiosi quando realizziamo che, ignorando i secoli che li separano, Ezio e Altaïr stanno in realtà facendo il computo delle rispettive vite, in un processo psicologico che ricorda quello moderno dell’auto-accettazione di sé.

Questa fratellanza indiretta venne celebrata addirittura nella prima stampa del gioco, che su PS3 (oltre a una stilosa confezione nera) proponeva sul medesimo disco nientemeno che il primo Assassin’s Creed.

Com’è ovvio la sceneggiatura si diverte a “giocare” specialmente con Ezio, che pur nella sua ricerca di senso non ha perso il suo lato guascone e da tombeur de femmes. Questa sfaccettatura, oltre a generare alcuni dei dialoghi più divertenti del gioco, riecheggia delle teorie di Erik Erikson.

Questo psicologo tedesco fu infatti il primo a estendere le fasi dello sviluppo psichico individuale a tutto l’arco della vita.

Ezio si troverebbe nell’ultima fase, quella chiamata Integrità dell’Io: l’individuo fa il bilancio della sua esistenza e, ormai convivendo con le negatività, si gode il fatto di aver raggiunto l’obiettivo di essere sé stesso.

Già da questi elementi capiamo come Assassin’s Creed Revelations si configuri come una conclusione abbastanza naturale e coerente anche se un po’ artificiosa, nonché rispettosa nei confronti di un personaggio importantissimo quale è Ezio Auditore.

Tuttavia il guizzo memorabile arriva proprio nel finale. In una geniale separazione (squisitamente semiotica) degli strati narrativi, Ezio dice addio sia a Desmond Miles che al giocatore oltre lo schermo con poche parole, importanti gesti simbolici e qualche citazione dantesca.

Nel suo ultimo atto Ezio accetta il suo ruolo di tramite ma pure rivendica con orgoglio la sua umanità, congedandosi nel migliore dei modi dai milioni di persone che da anni lo seguono.

Per quanto si sarebbe capito solo qualche anno dopo, già da queste scene traspare come uno dei temi portanti della poetica di McDevitt sia proprio il sapere o l’imparare quando fermarsi nel racconto di una storia, nella ricerca della conoscenza e nell’accumulo di potere – e la consapevolezza che bisogna farlo prima che questa smania soffochi le altre cose belle e più importanti della vita, come l’amore di una giovane veneziana o l’affetto di una figlia.

Costantinopoli, Solimano…

McDevitt avrebbe trovato la sua consacrazione con Assassin’s Creed IV: Black Flag, in cui tentò di creare una sorta di erede di Ezio prima di rendersi conto che un personaggio come lui non sarebbe nato due volte.

Sull’onda del successo il nostro uomo firmò anche buon parte della saga successiva (scrisse infatti Origins e Valhalla, quest'ultimo disponibile su Amazon) oggi ricordata come una virata in salsa RPG, a scapito (a volte anche pesante) della componente più storiografica.

Pure se già in Assassin’s Creed Revelations si accennava a questa svolta, ciò non vuol dire che l’ultima avventura di Ezio manchi di riferimenti storici. In sé il gioco si ambienta nel corso di un solo anno (il 1511), in una città in fermento e che attraversa un periodo di transizione.

È una situazione che può portare alla prosperità, se indirizzata nel modo giusto. A farsi araldo di questo è Solimano, un giovane con cui Ezio fa amicizia all’inizio della trama. 

Di nuovo Assassin’s Creed gioca amorevolmente con le aree di buio della storia, e proprio dai confronti tra Ezio e quello che si scoprirà essere un principe nasceranno quella mentalità e quell’ambizione che porteranno al veramente esistito Solimano il Magnifico – ricordato al giorno d’oggi per essere stato il promotore del massimo splendore dell’Impero Ottomano.

La stessa città di Costantinopoli viene presentata in maniera trasformista: è ancora uno dei crocevia del mondo, ma sta subendo notevoli cambiamenti dovuti al fatto che neanche sessant’anni prima è stata conquistata dagli Ottomani, in quella che tutti abbiamo studiato a scuola come la caduta dell’Impero Romano d’Oriente.

Ai resti antichi alterna quindi costruzioni nuove e ispirazioni di tipo islamico, addensandosi tanto nell’agglomerato urbano quanto nel dettaglio esagerato negli arabeschi, decorazioni e colori sia fissi che in movimento.

… e Sofia, ma non quella di pietra

A prendersi però la scena è Sofia Sartor, che porta a compimento l’opera (iniziata da Cristina Vespucci e continuata da Caterina Sforza) di figura femminile di rilievo nell’infinita girandola di amanti di Ezio. 

L’evoluzione del loro rapporto è prevedibilissima fin dall’inizio, ma la bravura della storia sta nel non rendere la cosa stucchevole, ma mostrarla come una naturale evoluzione.

Attraverso di lei finalmente Ezio trova la propria stabilità anche mentale, e non è un caso che si chiami proprio Sofia, che in greco vuol dire “conoscenza”.

Ancora attraverso Sofia passa uno dei riferimenti storici più belli della storia del brand: in una missione Sofia incarica Ezio di recuperare un suo ritratto risalente a qualche anno prima, quando ancora viveva a Venezia.

Quel piccolo quadro altro non è che il Ritratto di Giovane Veneziana, lavoro del grande artista Albrecht Dürer. Nella sua eleganza, il ritratto è oggi visto come uno dei primi frutti del cambiamento artistico di Dürer, che grazie al suo secondo soggiorno a Venezia cominciava ad attenuare i toni severi della sua pittura.

Conservato oggi a Vienna, non si conosce chi sia il soggetto: i creatori di Assassin’s Creed Revelations danno così la loro interpretazione, scegliendo di modellare la loro Sofia Sartor in modo che assomigli il più possibile a questa giovane sconosciuta, e le due a parte un paio di dettagli appaiono molto simili.

L’unico elemento discordante sono i capelli: nel ritratto sono raccolti, Sofia nel gioco li porta sciolti. Da notare come il ritratto sia comunque incompiuto: Dürer non è riuscito a ultimare il fiocco dell’abito.

Assassin’s Creed Revelations: sì bello, ma che fatica…

È chiaro che Assassin’s Creed Revelations sia sicuramente sul podio degli episodi meno considerati e ricordati, e la sua è una medaglia di bronzo sotto all’oro di Rogue e all’argento di Syndicate.

Possiamo dire che l’unica cosa che l’ha salvato dal “facciamo finta che non è mai successo” è proprio il suo essere conclusione della storia di Ezio. Ma una volta visto il congedo, il motivo per cui quasi nessuno ha avuto voglia di farsi un altro giro a Costantinopoli è quello che ancora oggi è il più grande difetto di Revelations: troppe cose e, in un modo o nell’altro, tutte già viste.

Abbiamo il parkour, la liberazione-restauro della città, i guadagni attivi e passivi, il sistema di combattimento divertente ma ancora troppo guidato e artificioso, gli elaboratissimi percorsi acrobatici alla ricerca di antichi manufatti.

C’è tutto e tutto scorre allegro e organico, ma il problema è che non c’è niente di veramente entusiasmante.

Lo stesso design della mappa, per quanto più navigabile della Roma di Brotherhood, è troppo anonimo e l’esagerato livello di dettaglio pare quasi ritorcersi contro il gioco e nascondere una rievocazione per certi versi più blanda, tra NPC tutti uguali anche nei filmati e fumi di narghilè messo lì solo per far scena.

In realtà qualche novità oggettiva c’è: le sessioni di difesa pseudo-strategica dei covi degli Assassini e la fabbricazione di bombe. Il problema è che il livello generale della difficoltà si mantiene molto basso (come da tradizione per la serie) e quindi anche queste oggettive innovazioni si perdono in una bolla di sapone: se è possibile completare l’intero gioco senza mai innescare una sezione di difesa o aprire neanche una volta il menu di creazione bombe, vuol dire che in quei campi il design ha fallito.

Assassin’s Creed Revelations mostra quindi i primi sintomi di quella che sarebbe stata l’altra grande malattia della saga, ovvero dare talmente tante possibilità al giocatore da sovraccaricarlo e non fargliene usare neanche una.

Non potevate scegliere un momento peggiore

Per godersi quindi la trama di Assassin’s Creed Revelations tocca accettare una struttura che, a causa del suo essere stata impiegata fin quasi all’abuso, è invecchiata troppo velocemente.

In realtà ai suoi tempi il gioco subì un altro pesante colpo, che fu quasi letale: venne pubblicato il 15 novembre 2011, ovvero quattro giorni dopo The Elder Scrolls V: Skyrim.

L’opera di Bethesda era semplicemente un mostro troppo grande, e sappiamo tutti com’è andata a finire: Revelations annaspa, mentre Skyrim continua a ricevere remaster, riedizioni e ripubblicazioni anche a più di dieci anni dall’uscita.

Non è stata la prima (né sarà l’ultima) volta che un Assassin’s Creed si è trovato a fare i conti con una finestra di pubblicazione infelice. Difficilmente però l’opinione del pubblico poteva cambiare, dopo una simile batosta.

Che sia anche per questo motivo che Revelations alla fine si sia attirato più disapprovazione di quanta in realtà non ne meriti? Del resto collegando Altaïr ed Ezio si cercava la fusione tra i due personaggi più amati, e l’atmosfera arabeggiante e colorata richiamava le origini autentiche del brand, quel Prince of Persia finito tristemente oscurato da questo suo figlioccio.

Un’accusa talmente radicata nei fan che l’appena annunciato Assassin’s Creed Mirage (potete prenotarlo qui su Amazon) pare voler recuperare, non solo a livello di atmosfere ma anche di controlli e struttura, le origini del brand.

Conclusione: la domanda da un milione di fiorini

“Cos’è accaduto ad Assassin’s Creed?”

Questa domanda continua a girare nella testa di un po’ tutti gli appassionati della saga Ubisoft, soprattutto quelli di più vecchia data.

Sono ormai più di 15 anni che questi cappucci bianchi girano per il settore e, nonostante il loro successo, quasi mai è andato tutto liscio. Prima non volevano innovare, poi quando l’hanno fatto il distacco è stato così radicale da essere disorientante.

Vedremo come e se Assassin’s Creed Mirage (qui i dettagli) riuscirà a mantenere le sue promesse. Ma abbiamo anche visto che, in anni non sospetti, Assassin’s Creed era già riuscito a portare al suo massimo quelle atmosfere e quella mistica che adesso si cerca di riesumare – e, soprattutto, non lo aveva fatto solo con primo e secondo capitolo.

Il tutto, abbinandolo a un game design organico e a una trama che rendesse giustizia, tra storia, finzione e sentimento, a quello che ancora oggi è il personaggio di punta del brand.

E allora, Revelations era davvero solo uno dei tanti ricicli commerciali senz’anima… oppure l’abbiamo davvero troppo sottovalutato?