Nel 2025, il mondo del gaming portatile sta vivendo una seconda giovinezza. Una rinascita che, per certi versi, è iniziata da anni.
Da un lato c’è Valve, che con la sua Steam Deck ha tracciato un nuovo confine tra PC e console; dall’altro, ASUS, Lenovo e ora persino Microsoft, che con la recente ROG Xbox Ally X (recensita qui) ha sancito la definitiva consacrazione del formato handheld come terreno di conquista per i grandi colossi. Tutti vogliono la loro console portatile. Tutti, tranne Sony.
E questa, permettetemi, è una contraddizione che grida vendetta. Perché Sony, di fatto, aveva già vinto questa partita vent’anni fa. PlayStation Portable era stata un piccolo miracolo tecnologico, un oggetto che condensava l’essenza del marchio PlayStation in un guscio tascabile.
Potente, elegante, visionaria. Una console che faceva sognare, che dava dignità al videogioco portatile in un’epoca in cui Nintendo dominava con la leggerezza del DS e la forza dell’abitudine. PSP era la dimostrazione che il gioco “serio” poteva stare nel palmo della mano. E non era poco.
A fronte di quanto appena scritto, siamo pronti quindi per una PSP 2? Secondo me assolutamente sì.
Portable mania
Il suo successo fu clamoroso: oltre ottanta milioni di unità vendute, un parco titoli invidiabile, una comunità appassionata che ancora oggi la ricorda con nostalgia. Eppure, dopo quella vittoria, Sony fece un passo indietro. O meglio: un passo falso. E no, non sto parlando di PSP Go, più un "inciampo" che altro. PS Vita avrebbe dovuto essere la naturale evoluzione del concetto di portabilità premium, ma venne soffocata da errori strutturali, marketing incerto e una politica di supporto che definire “timida” è un eufemismo. Era troppo avanti per il suo tempo, ma anche troppo sola. Abbandonata troppo presto, dimenticata troppo in fretta.
Oggi, però, il tempo sembra aver dato ragione a Vita. Il mercato ha finalmente compreso il valore dell’ibrido, della portabilità senza compromessi, della potenza in movimento. È ciò che la console di Sony cercava di fare nel 2011, e che ora – ironicamente – tutti gli altri stanno facendo nel 2025. Valve, ASUS, Lenovo e persino Microsoft hanno capito che il pubblico non vuole solo giocare in salotto: vuole continuare a giocare ovunque, con la stessa qualità e gli stessi titoli. È l’era della continuità, della fluidità tra device. È l’epoca perfetta per una nuova PSP 2.
E questo è il punto cruciale. Perché l’azienda che ha creato PSP, che ha costruito la mitologia PlayStation sulla potenza, sulla visione e sull’ambizione, oggi sembra aver perso il coraggio di osare. Vive di rendita, si affida al successo di PS5 e ai suoi franchise miliardari, ma rinuncia a esplorare territori nuovi. È come se si fosse dimenticata di quella fame, di quell’energia pionieristica che nel 2004 la spinse a credere nel sogno della portabilità. E intanto, gli altri corrono.
Microsoft, paradossalmente, ha imparato la lezione di Sony. Con ROG Ally X, in collaborazione con ASUS, ha compreso che la forza del marchio non basta più: serve presenza, serve versatilità. Serve una risposta a un pubblico che vuole avere il controllo totale sulla propria esperienza videoludica. Una console come Ally X non è solo una macchina per giocare, è la libertà di scegliere dove, come e quando giocare. E mentre Xbox si reinventa, Sony resta immobile. Silenziosa, quasi impaurita dal proprio passato.
Ma allora viene da chiedersi: che cosa trattiene davvero Sony dal tornare nel mondo handheld? È paura? Orgoglio? O semplicemente disinteresse?
Probabilmente, un po’ di tutto questo. Il colosso giapponese è sempre stato prudente quando si tratta di diversificare i propri investimenti hardware. Eppure, oggi quella prudenza suona più come una resa. Perché mai come ora ci sarebbero le condizioni ideali per un ritorno in grande stile. L’infrastruttura è pronta: il PlayStation Network è maturo, il PS Plus è ormai un ecosistema ricco di contenuti, e lo streaming via cloud (con i dovuti limiti) potrebbe rappresentare il ponte perfetto tra console domestica e portatile. Tutti i pezzi sono sul tavolo. Manca solo la volontà di rimetterli insieme.
Una PSP 2 moderna potrebbe essere molto più di una semplice console. Potrebbe incarnare la filosofia PlayStation in una forma nuova, aggiornata ai tempi. Un dispositivo capace di far convivere il gioco in locale e quello in streaming, con la possibilità di accedere all’intera libreria PS5 tramite cloud, senza compromessi. Potrebbe essere la risposta definitiva alla domanda che tanti fan continuano a porsi: perché devo comprare una portatile Windows se potrei avere una PlayStation portatile con il suo ecosistema, la sua interfaccia, la sua anima?
Perché la verità è che il pubblico la vuole, una PSP2. Non è solo nostalgia: è desiderio di coerenza. È il bisogno di ritrovare quella sensazione di appartenenza che solo Sony sapeva dare. PSP era PlayStation in miniatura, non un surrogato o una copia annacquata. Era vera, concreta, fiera. Ed è proprio quella sensazione che manca oggi in un mercato sempre più affollato da dispositivi anonimi, tutti simili, tutti figli della stessa filosofia “ibrida” che sacrifica l’identità sull’altare della versatilità.
Il futuro è portatile?
PSP 2, se mai dovesse nascere, dovrebbe fare l’esatto opposto: essere PlayStation fino in fondo. Non un PC mascherato da console, non un tablet con i tasti, ma una macchina con un’identità precisa, costruita attorno al mondo Sony. E se c’è un’azienda che ha le risorse per farlo, è proprio quella che oggi sembra più restia a provarci. Un paradosso che lascia l’amaro in bocca, anche se le voci lasciano ben sperare.
Ma forse il problema non è tecnico, è culturale. Sony è cambiata. È diventata più fredda, più calcolatrice, meno incline all’emozione e più al controllo. E questo, nel lungo periodo, potrebbe essere il suo limite più grande. Perché il videogioco, prima ancora che un business, è un linguaggio fatto di passioni, intuizioni, gesti folli. È quell’azzardo che nel 2004 la portò a lanciare PSP in un mondo dominato da Nintendo, e a "vincere". Oggi, invece, l’azzardo non fa più parte del suo DNA.
È per questo che servirebbe una PSP2. Non solo per il mercato, ma per Sony stessa. Per ricordarle chi è, e perché è diventata ciò che è. Per restituirle un briciolo di quella ambizione che l’ha resa un simbolo per intere generazioni di giocatori. Perché in fondo, al di là dei numeri e dei bilanci, il marchio PlayStation è sempre stato sinonimo di emozione, di sfida, di immaginazione. E niente rappresenterebbe meglio tutto questo di una console portatile capace di riportare in vita quello spirito perduto.
Guardando oggi il panorama handheld, non si può non pensare a quanto spazio ci sarebbe per una proposta Sony. Il mercato non è più una nicchia: è un ecosistema vivace, dove l’hardware diventa piattaforma e la piattaforma diventa servizio. Una PSP2 non ruberebbe quote a PS5, ma la completerebbe. Sarebbe il tassello mancante di una strategia che unisce gioco domestico, streaming e mobilità. E se c’è un marchio che potrebbe trasformare questa visione in realtà, è proprio quello con la P stampata sul logo.
In un certo senso, il ritorno di una console portatile PlayStation sarebbe anche una forma di riscatto. Una dichiarazione d’amore ai propri fan, un messaggio chiaro: “non ci siamo dimenticati di voi”. Perché chi ha vissuto l’epoca della PSP, chi ha giocato a Crisis Core o a Patapon in treno, chi ha visto una qualità da console casalinga su uno schermo da cinque pollici, sa di cosa parlo. Sa cosa significava davvero avere una PlayStation in tasca. E sa che quel sogno non è mai morto del tutto. È solo rimasto in attesa del momento giusto per tornare.
Quel momento, oggi, è arrivato. La domanda finale quindi è una soltanto: Sony avrà il coraggio di coglierlo?