I servizi in abbonamento? «Meravigliosi e terrificanti», per il publisher di Tunic

I servizi in abbonamento come Xbox Game Pass e PlayStation Plus vivono di due anime, secondo la CEO del publisher FINJI. E questo potrebbe avere un impatto sugli indie e i progetti più piccoli, secondo la sua analisi.

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

Un tema caldo dell'universo videoludico, in questo periodo, è senz'altro rappresentato dai servizi in abbonamento. Se, in passato, bisognava necessariamente comprare i singoli giochi ai loro prezzi di listino, oggi è possibile pagare un abbonamento mensile per accedere a una libreria di giochi selezionati on demand ogni volta che si vuole – che in alcuni casi includono anche uscite del day-one.

Sono i modelli di business portati avanti da Xbox Game Pass (e PC Game Pass) e PlayStation Plus ma, secondo FINJI, hanno una doppia anima, risultando sia «meravigliosi che terrificanti».

A riferirlo, intervistata da GamesIndustry.biz, è stata Bekah Saltsman, CEO del publisher di Tunic (che venne lanciato su Game Pass, come ricorderete). Secondo la dirigente, infatti, i recenti cambiamenti al modello di business nell'industria dei videogiochi potrebbero creare un'industria dove i piccoli giochi indipendenti non sono più necessari.

Secondo Saltsman:

«Per via delle costrizioni e del consolidamento dell'industria negli ultimi due anni, e vedendo come molte compagni sono semplicemente possedute dai servizi in abbonamento, la mia preoccupazione è che – poiché le librerie sono così ampie e le compagnie sono molto prolifiche, con la loro user base – non avranno bisogno di noi».

Secondo la CEO, in passato importanti investimenti nel mondo dei giochi più piccoli arrivavano al lancio di nuovi hardware, ma ora sono già passati due anni dal debutto delle nuove console e quella fiamma sta già rallentando.

Vedere come influiranno invece i servizi in abbonamento nel business, in futuro, rimane un mistero, perché «cominceranno a succedere delle cose strane».

La preoccupazione di Saltsman è che compagnie più piccole di FINJI – che è nota anche per successi come ChicoryNight in the Woods – possano avere difficoltà a sostenersi, se l'unico modello di riferimento diventerà quello degli abbonamenti. A meno, certo, di non contare su team veramente piccoli:

«I budget saranno sufficienti, con i costi più alti necessari per realizzare i videogiochi, per consentire agli indie di continuare a realizzare delle belle cose?

Se convertiamo il pubblico che compra in pubblico che si abbona, significa che dovremo affidarci alle quote degli abbonamenti. E, in generale, gli acquisti dati dagli abbonamenti non ripagano per tutti gli anni di sviluppo affrontati da un team – a meno che il team non sia davvero piccolo».

Ecco perché FINJI ha una visione bivalente dei servizi in abbonamento e la CEO non lo nasconde – pensando ai team più piccoli.

Nelle sue parole:

«Gli abbonamenti sono sia meravigliosi che terrificanti contemporaneamente e potrebbero andare in entrambe le direzioni.

Mi preoccupo soprattutto per i team indie più piccoli, che magari potrebbero non avere un appoggio iniziale come creatori e potrebbero finire con il non avere lo spazio e il denaro per creare più di un gioco».

In sintesi, insomma, la sua paura è che i progetti indie che rimangono fuori dagli abbonamenti rischino di avere un pubblico davvero ridotto rispetto a quelli inclusi. Il risultato è che potrebbe diventare difficile giustificare i budget necessari a sviluppare un nuovo progetto – e, mancando il denaro per finanziarle, sarebbe inutile avere delle buone idee, perché un gioco non si compirebbe.

Quelli che scelgono quali giochi devono entrare in un abbonamento, dopotutto, analizzano dei dati: se pensano che quel gioco non sia valevole di una inclusione, rimarrà fuori dai servizi in abbonamento. E in un mondo dove senza gli abbonamenti rischi di raggiungere meno persone, potrebbe diventare un problema.

Come spiegato da Saltsman:

«Non possiamo ignorare il fatto che si tratti di grosse compagnie che sono gestite da persone che osservano dei fogli di calcolo.

Sono sempre preoccupata in merito a cosa le persone fanno su molteplici livelli, guardando dei fogli di calcolo, e in merito a cosa questo significa per team grossi come il mio o anche più piccolo.

Noi non facciamo i numeri dei grossi team. Anche Tunic, che ha avuto grandi numeri in tutto il mondo, non ha numeri per competere».

Secondo la CEO, insomma, per ora non ci sono ancora regole universali che diano a tutti delle certezze. Ciò nonostante, molti giochi di FINJI sono arrivati nei servizi in abbonamento, perché l'opportunità è stata ritenuta positiva.

La sua speranza per il futuro, però, è chiara, qualsiasi sia la via per arrivarci – con gli abbonamenti o no:

«Tutto quello che voglio è che le persone giochino giochi strambi e fantastici, perché se il design dei giochi è troppo costretto, se cerchi solo di piacere alla maggioranza, ti stai perdendo tanto, nella nostra forma d'arte.

Il mio desiderio è che si continui a pagare per il lavoro che i team fanno, in un modo che non li danneggi».

Di recente, anche Arkane Austin aveva parlato dei servizi in abbonamento, ammettendo di trovare piuttosto spaventoso il pubblico potenziale che il loro Redfall potrebbe raggiungere – debuttando su Game Pass dal day-one (potete abbonarvi in sconto su Instant Gaming, se volete attenderlo al varco).

In precedenza, invece, Obsidian aveva espresso il suo entusiasmo per Game Pass, sottolineando come un progetto come Pentiment, fuori da un servizio in abbonamento, non potrebbe esistere, perché sarebbe difficile convincere le persone ad avvicinarsi a qualcosa di così strano e unico.

Uno spunto su cui, ricorderete, abbiamo proposto anche una nostra riflessione. Vedremo, ora, come si muoverà il mercato in futuro. L'unica certezza è che, forte della volontà di Microsoft che li ha resi la base del suo modello di business, gli abbonamenti sono diventati un punto chiave del mercato.