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Square Enix è in crisi e l'effetto Final Fantasy non basta più

Square Enix sta affrontando una delle più grandi crisi della sua storia in un periodo di enormi cambiamenti dell'industria: parliamone.

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a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 10/05/2024 alle 11:45

Ci sono tanti fattori che hanno portato a questa situazione terribile. 

I 140 milioni di dollari di perdite fatti registrare da Square Enix non devono essere solo visti come una crisi legata al grande periodo d'incertezza dell'industria che sta sconvolgendo sviluppatori, aziende, corporazioni e tutto ciò che ruota attorno al settore.

Come ormai noto, il costo medio per lo sviluppo e il marketing dei videogiochi è elevatissimo ed è sempre più complicato rientrare dai costi, persino per chi ha sforato il premio di miglior gioco dell'anno del 2023 come un certo Alan Wake 2.

Proprio visto quest'ultimo caso emblematico, se siete tra coloro che hanno pronta in tasca la soluzione, ossia "Dateci la qualità", si capisce come non sia la bellezza la vera chiave di volta per avere successo né tanto meno per fare breccia nei cuori di giocatori a cui la qualità di fatto interessa ben poco.

Si tratta di un dato statistico, non ci rimanete male. Altrimenti i giochi belli non avrebbero questi problemi, no? E invece li hanno, così come li hanno gran parte dei titoli che si ritrovano all'interno di una tritacarne che risparmia davvero pochi fortunati.

E sottolineo fortunati, anziché usare il termine meritevoli.

A Square Enix serve un cambio di rotta totale

Siamo in un periodo di grandi riorganizzazione per tutti: tra notizie di licenziamenti settimanali e talvolta addirittura giornalieri, modifiche interne ai dipartimenti, cambi di capi azienda, ricollocamenti, acquisizioni e accorpamenti selvaggi, l'impressione è che nemmeno gli alti dirigenti sappiano esattamente come uscire fuori da questa situazione che pare aggravarsi di continuo.

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Il miglior Final Fantasy dell'era moderna, ma le vendite non decollano.

Davanti alle nuove sfide, al cambio di esigenze e alla inesorabile trasformazione del mercato, le aziende in grado di resistere non solo a livello economico, ma soprattutto per quanto concerne le risposte date in termini numerici (guadagni, vendite, bilanci e conti in ordine) stanno diventando sempre meno.

Se per un colosso come Microsoft si tratta – detto in maniera brutale – di normali azioni post acquisizione che avvengono in sostanzialmente tutti i settori che coinvolgono corporazioni di simili dimensioni, per Square Enix il discorso è piuttosto diverso. 

D'altra parte, i problemi non sono di certo iniziati negli ultimi anni. Al contrario, la decade di gestione Matsuda ha lasciato il segno in maniera indelebile, con decisioni talvolta forti e perentorie, ma sin troppo spesso rivolte verso direzioni francamente inspiegabili e del tutto ingiustificabili.

Final Fantasy è diventato qualcosa di estremamente divisivo, i cui contorni sono oggi sbiaditi e non più immediatamente riconoscibili.

Final Fantasy non basta più e non è più la gallina dalle uova d'oro di tanti anni fa. La serie è cambiata sin troppi e i fan storici si sentono traditi dal cambio di rotta. Alcuni provano a farsi piacere le novità, altri ancora credono sul serio che siano giuste, mentre i nuovi arrivati non sanno nemmeno cosa significhi passare intere giornate tra esplorazioni, menù e lunghi combattimenti a turni.

E in fondo sta bene così a tutti e al contempo non va bene a nessuno, perché Final Fantasy è diventato qualcosa di estremamente divisivo, qualcosa i cui contorni sono diventati sbiaditi e non più immediatamente riconoscibili. La serie principale non riesce più a eguagliare i fasti del passato e c'è sempre la sensazione che il nuovo corso viva di incertezze che lasciano titubare in egual misura critica e pubblico. 

Il paradosso è rappresentato da Final Fantasy 7 Rebirth (lo trovate su Amazon): un gran gioco, un gran Final Fantasy degno di questo nome (seppur con scelte narrative controverse e inaccettabili) che però vende meno del precedente pur essendo un prodotto migliore. E allora "qual è il segreto del successo?", si potrebbe giustamente chiedere un dirigente d'azienda in piena confusione.

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Vogliamo Bravely Default 3 al più presto.

Takashi Kiryu e l'accentramento in Giappone

Matsuda di carte in tavole ne ha cambiate parecchie, di scelte controverse ne ha fatte tante, e ha fatto anche tanti tentativi che persino a un comune uomo della strada apparivano sbagliati già sul nascere. Dalla foga dei battle royale ai live service, dalla voglia di inseguire le tendenze sempre troppo in ritardo, fino ad arrivare alla folle tabella di marcia delle uscite, l'ultimo lustro è stato un vero e proprio disastro i cui danni si contano ancora oggi.

Non bastassero i grandi flop rappresentati da giochi costati una fortuna, le perdite globali a fronte di vendite davvero basse, a tutto ciò si è aggiunto quello che potremmo definire una sorta di involontario auto-sabotaggio che ha sostanzialmente fatto fuori dei giochi che si sono fatti concorrenza tra di loro.

Ciò che è successo nel 2022 è qualcosa che non trova davvero spiegazioni logiche: in un paio di mesi sono usciti dei jrpg di medie dimensioni che si sono tutti accavallati, costringendo i giocatori a fare una cernita. Il risultato? Non sono andati bene, ovviamente. E questo "giustificherebbe" anche il fatto che tutto sommato sia giusto mantenere per questi giochi la dimensione in cui si trovano, evitando investimenti.

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Un buon gioco con tanti errori di valutazione a monte.

Vedere le serie Valkyrie e Star Ocean così maltrattate è stato un colpo al cuore, va detto. Ma adesso è arrivato il cambio tanto sperato, e l'uomo della provvidenza – così pare – potrebbe essere proprio Takashi Kiryu, che con un colpo di spugna ha deciso di cancellare parecchi progetti in corso d'opera, essere molto più selettivo per i prossimi lavori dell'azienda e accentrare il più possibile lo sviluppo internamente.

I tre pilastri della rinascita di Square Enix sono questi, secondo Kiryu, ma emergono inevitabilmente alcuni dubbi. Di quali progetti stiamo parlando esattamente? Si vuole puntare sulla qualità e sui grandi nomi oppure si vogliono seguire le tendenze con un solo gioco per volta?

Non sono domande di poco conto, perché c'è un'interdipendenza che non è da sottovalutare in alcun modo. Far accendere il semaforo verde a più progetti alla volta diventa più complicato, se si dà priorità (soprattutto economica) a giochi live service che dovrebbero servire per dare un sostentamento costante nel tempo.

Sappiamo però che quelli creati da Square Enix, e in generale quasi tutti i giochi della stessa tipologia, stanno andando malissimo. Diventa dunque lecito chiedersi se anche Square Enix voglia ripartire un po' dal basso, tornando ai giochi più piccoli, magari come i vecchi jrpg della gloriosa Squaresoft. 

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La nuova filosofia di Square Enix, almeno sulla carta, somiglia molto a quella della nuova Capcom.

Ecco, in un'ottica globale dove si punta a giochi di dimensioni più ridotte, il vecchio portfolio di Squaresoft ed Enix può finalmente essere rispolverato per dargli nuovo lustro, riportando i valori di un tempo e mescolandoli con alcune delle meccaniche più moderne.

L'ultimo esperimento ha funzionato, e anche se le vendite non sono ancora al top, potrebbe essere il primo di una lunga sfilza di esempio che potrebbero invertire la rotta.

Oggi Square Enix ha bisogno di far dimenticare al più presto i fallimenti del recente passato e agire come sta facendo Capcom, come quando dopo la crisi del Sol Levante degli anni 2000 decise di tagliare i subappalti esteri e accentrare tutto quanto.

Negli anni 2000 si trovò sull'orlo del baratro ma, quando iniziò a concentrarsi sui fatidici "pochi ma buoni", la musica cambiò totalmente.

Oggi, in netta controtendenza col momento nero del mercato, Capcom fa registrare l'ennesimo anno da record. La strategia di Square Enix, almeno idealmente, non sembra essere molto diversa ma, per far sì che tutto torni come una volta, è essenziale che si smetta di guardare al modus operandi occidentale e che anche le filosofia torni a essere pienamente giapponese.

D'altra parte, le aziende più in salute sono proprio quelle nipponiche, ancora in grado di resistere a una tempesta che sta mietendo vittime illustri.

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