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League of Legends e Valorant, tra gaming competitivo e fenomeni culturali

Carlo Barone di Riot Games ci racconta League of Legends e Valorant dal punto di vista competitivo e come fenomeni culturali.

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Avatar di Valentino Cinefra

a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

Pubblicato il 29/03/2021 alle 10:37

Se c’è una cosa con cui è immediato associare Riot Games ( oltre a League of Legends , ovviamente) è il mondo degli eSport. Nonostante oggi la scena sia attivissima, con una miriade di titoli di vario genere ad avere sviluppato un loro successo e una loro community, è indubbio che il MOBA di Riot sia rimasto in questi dieci anni tra i titoli sempre più giocati e seguiti su Twitch e nel mondo del videogioco competitivo in generale.

League of Legends è diventato per l’azienda una macchina da guerra, un brand fortissimo intorno al quale sono stati sviluppati un vero e proprio franchise di prodotti – e di iniziative a esso collegato – che cresce anno dopo anno. E non solo, perché da LoL sono nati anche dei videogiochi spin-off come il card game Legends of Runeterra, Ruined King: A League of Legends Story che uscirà nel corso dell’anno ed il misterioso Project L, picchiaduro con i campioni di Runeterra che è ancora in sviluppo.

Tutto questo grazie, anche, ai grandissimi eventi eSport che Riot Games ha organizzato che hanno reso LoL uno dei videogiochi sportivi più riconosciuti. Circuiti al quale si è aggiunto anche Valorant dallo scorso anno, lo shooter fortemente competitivo che rappresenta la prima, nuova IP dell’azienda.

A questo proposito la scorsa settimana vi abbiamo parlato di Circuito Tormenta, la nuova competizione amatoriale pensata da Riot Games per i suoi fan, con l’obiettivo di dare a tutti la possibilità di sfondare nel mondo eSport di League of Legends, Valorant e Wild Rift (che sto giocando tantissimo).

Uno scatto dai mondiali di League of Legends.

League of Legends, il professionismo "a portata di mano"

Un evento il cui obiettivo è molto ambizioso, come ci racconta Carlo Barone (Italian Brand Manager di Riot Games), che abbiamo raggiunto per un confronto:

“Stiamo cercando di dare continuità alle attività competitive a livello amatoriale e, soprattutto, un obiettivo da perseguire per chi volesse davvero 'puntare in alto' e la possibilità, a chi invece desiderasse solo divertirsi, di farlo in maniera più organizzata.”

Quello dell’eSport è un argomento che, in Italia, fa ancora fatica ad essere capito ed apprezzato pienamente, in fondo. C’è un certo scetticismo sul concetto di “sport” legato al “videogioco”, che si unisce ad una generale percezione del medium in maniera un po’ antiquata nonostante i passi avanti fatti in questo senso.

Come, uno tra gli ultimi, il Ministro delle Politiche Giovanili Fabiana Dadone (già di suo una figura molto atipica rispetto al classico, austero, membro delle istituzioni che tutti abbiamo in mente), che ha inaugurato il suo canale Twitch ospitando Riccardo “Reynor” Romiti, giovanissimo pluricampione di StarCraft II, per parlare proprio del mondo del gaming professionistico nel contesto italiano. Percorso che l’On. Dadone sta continuando sul suo canale, ospitando Kurolily, Pow3r, e molte altre figure importanti nel mondo del gaming.

Valorant è sempre rimasto apprezzatissimo tra gli appassionati, pur calando su Twitch.

Indubbiamente Twitch ha reso il mondo eSport accessibile a tutti. Se in passato i tornei erano relegati alle sale LAN, o alle prime fiere di settore dove erano presenti degli angolini pensati specificatamente per le piccole e medie competizioni, adesso tutto il mondo è letteralmente un palcoscenico.

Un’evoluzione che Barone ci racconta relativamente a League of Legends:

“Nel 2011 le finali dei Worlds di League of Legends si svolgevano al Dreamhack in Svezia, sui classici tavoli di legno con coperta nera da Lan… l’anno successivo, lo stesso evento riempiva il Gallen Center a Los Angeles, con tifo da stadio e da lì è stata una escalation di pubblico e di spettacolo. Ciò che ha determinato il cambiamento simile in un solo anno, tra il 2011 e il 2012, è stato proprio Twitch.”

Una piattaforma che ha rivoluzionato il mondo del gaming come un terremoto, e che sempre Barone ci confida essere “un aspetto rilevante” per quanto riguarda addirittura già la fase di sviluppo dei videogiochi di Riot Games. E un mondo, quello del gaming competitivo, che l’azienda ha fin da subito inserito come tema principale nel suo lavoro.

Curiosamente non sempre i giochi competitivi sono molto Twitch-friendly, anzi. Lo dimostra ad esempio Valorant, che nel tempo ha avuto un calo di interesse sulla piattaforma di streaming sicuramente fisiologico, pur risultando un gioco sempre abbastanza giocato ed apprezzato dalla community degli appassionati di shooter. In questo caso Barone conferma alcune delle nostre previsioni che facemmo nei dintorni della recensione, ovvero che Valorant potesse finire anche nelle mani di giocatori che si aspettavano un’esperienza di tipo diverso, più rilassata e meno impegnativa.

Legends of Runeterra ha lanciato il guanto di sfida ad Hearthstone.

Riot Games e Blizzard Entertainment, due percorsi simili ma non troppo

Ho voluto chiedere, un po’ maliziosamente ma neanche troppo, a Carlo Barone se, e quanto, il lavoro di Blizzard Entertainment negli anni abbia ispirato Riot Games nello sviluppo delle proprietà intellettuali interne, nell’espansione dei franchise e nella creazione di nuovi.

Specificando che con l’azienda di Irvine c’è in comune la “volontà di continuare a sfruttare ed espandere gli universi narrativi”, secondo il manager di Riot Games c’è stato un interesse da subito marcato per la componente competitiva del videogioco:

“Indubbiamente ci sono punti di contatto con il percorso che Riot Games sta facendo, ma anche tante divergenze, prima tra tutte il focus unidirezionale nella componente competitiva che per Blizzard, mi sento di dire, è arrivato più tardi nel loro percorso.”

In occasione del decennale dell’azienda, infatti, Riot Games ha comunicato una serie di annunci relativi proprio all’espansione del franchise di League of Legends attraverso nuovi progetti, i quali abbiamo citato poco sopra. In generale è interessante come l’azienda abbia sviluppato i suoi brand attraverso iniziative legate anche solo in maniera collaterale ai videogiochi ed al loro pubblico.

Guarda su

Basti pensare alla lavorazione delle K/DA, il fittizio gruppo K-Pop composto da alcune eroine di LoL, che in breve tempo è diventata una vera e propria meta-band ed un fenomeno culturale. Ma anche idee molto più semplici come le playlist del roster di Valorant presenti su Spotify, con tracce tematiche che rappresentano i veri gusti musicali del personaggio in questione.

Un percorso a cui Riot Games ha lavorato, in questi dieci anni, solo quando si è sentita pronta, e quando spinta dal giusto livello di passione:

“Quello che facciamo in Riot è dare voce alla passione che caratterizza tutti coloro che ci lavorano, cerchiamo di non porci limiti, di osare, ma di farlo con il giusto livello di umiltà e, soprattutto, di rispetto verso chi, alla fine, è il vero giudice delle nostre azioni, il giocatore.”

Nonostante possano piacere o non piacere i prodotti di Riot Games, ed io stesso non sono fan di tutto quello che la software house produce, è indubbio che ad oggi rappresenti una delle aziende in grado di generare i videogiochi più “pop” che esistano sul mercato. Quelli che attirano i giocatori occasionali, i non-giocatori, così come i giocatori più esigenti e infine coloro i quali puntano al professionismo.

A questo proposito siamo molto curiosi di scoprire come Project L, il picchiaduro, potrà impattare su una scena che ha estremo bisogno di diventare più popolare. I giochi di combattimento, nonostante le grandi licenze che possono portare in dote – come Dragon Ball FighterZ – sono da sempre caratterizzati da uno scoglio fortissimo in termini di apprendimento.

Project L, il picchiaduro con i personaggi di League of Legends, è ancora avvolto nel mistero.

Questo, pur essendo paradossalmente tra i videogiochi più seguiti nelle competizioni internazionali, come dimostra il grande successo di eventi come l’EVO anche tra giocatori occasionali. Project L ha l’obiettivo, secondo Riot Games, di essere infatti un picchiaduro entry-level. Qualcosa di ambizioso e progettualmente molto difficile da realizzare senza scadere nella totale mancanza di struttura ludica.

Attendiamo novità con una certa curiosità anche per l’altro grande progetto ancora avvolto dall’oscurità, ovvero l’MMO nel mondo di Runeterra che, per la combinazione tra popolarità del brand e del genere, potrebbe davvero scuotere gli equilibri finora retti solamente da World of Warcraft e, negli ultimi anni, Final Fantasy XIV ed il suo clamoroso ritorno come la proverbiale rinascita della (coda di) fenice.

Se siete giocatori di Valorant o League of Legends, probabilmente vi servirà un mouse da gaming per migliorare sensibilmente le vostre prestazioni in gioco!
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