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Il boom delle guide: siamo diventati tutti incapaci o siamo solo pigri?

Ora si può accedere a delle guide addirittura mentre si gioca, ma la domanda è: perché le usiamo e cosa tolgono al coinvolgimento?

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Avatar di Stefania Sperandio

a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

Pubblicato il 23/12/2024 alle 13:45

Le guide e le soluzioni per i videogiochi sono sempre esistite. Partiamo da questa premessa. Quando ero bambina, ad esempio, amavo collezionare le guide strategiche ufficiali dei miei franchise preferiti, ma ricordo che anche le riviste cartacee che seguivo avevano spesso inserti con strategie e soluzioni per i giochi più popolari.

Con la diffusione capillare del web, e l'approccio immediato che oggi offre internet, le guide cartacee sono diventate roba per "collezionisti", mentre siti come il nostro hanno sempre ottimi riscontri quando propongono soluzioni per battere quel boss, trovare la migliore arma o capire come aprire la porta chiusa in questo o quel gioco.

Non solo: oggi ci sono le video-guide, che permettono praticamente di copiare passo passo quanto fatto da un altro giocatore, magari per superare un punto dove si era rimasti bloccati senza doverci ragionare troppo su.

Posto che anche chi vi scrive usa le guide, e che non esiste un modo giusto o uno sbagliato di videogiocare (niente patentini da verigiocatori™, per favore), quello che mi sono domandata è: perché lo facciamo? Perché, mentre siamo coinvolti in un gioco, ci "buttiamo fuori" dall'esperienza per cercare una guida che ci permetta di bypassare una difficoltà a cervello spento?

È questione di frustrazione e quindi di cattivo design? È questione del poco tempo a disposizione per giocare e che, quindi, non si vuole buttarlo a rimanere piantati davanti a una chiave che proprio non riusciamo a scovare? O è una questione di pigrizia per cui detestiamo quando il gioco ci chiede di trovare un modo di superare una difficoltà che sia diverso dallo sfoderare la forza contro un boss?

Forse, sono un po' tutte queste cose insieme...

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Le guide in-game

Facciamo un piccolo passo indietro, sul perché mi sia venuta in mente questa riflessione. Qualche settimana fa, sulle nostre pagine abbiamo parlato di una nuova feature sperimentale introdotta da Microsoft per gli utenti Windows: tramite la Game Bar di Xbox, infatti, è possibile accedere a Edge Game Assist, una barra che permette di cercare delle guide e di vedere i video in sovrimpressione proprio mentre si gioca.

In pratica, un layer che si sovrappone a quello del gioco e che, nell'esempio mostrato, permette al giocatore di capire come muoversi in Hellblade II per proseguire.

Se, da un lato, questo è ottimo per evitare la frustrazione o anche solo per rendere ogni gioco più accessibile (se arrivare a una guida è più agevole, più persone possono giocare senza difficoltà), dall'altro mi sono domandata cosa comporti in termini di coinvolgimento e immedesimazione nel mondo di gioco – il sapere che in ogni momento puoi fare un click e vedere una video guida direttamente sopra il tuo gameplay.

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È una feature che fa il paio con un'altra che avevano già visto anche gli utenti PlayStation, legata all'abbonamento PlayStation Plus e che permetteva di accedere a delle rapide video guide per capire come ottenere questo o quel Trofeo – integrate direttamente nella dashboard di PS5.

Insomma, se i produttori integrano queste proposte (o se molti siti danno sempre più spazio alla parte di guide strategiche), il motivo è chiaro e semplice: creo un'offerta perché c'è un'ampia domanda che me la richiede.

Il quesito, però, rimane lo stesso iniziale: ci stiamo togliendo e perdendo qualcosa, a giocare così?

Cosa comporta per il coinvolgimento?

Probabilmente avete sentito parlare del concetto del cerchio magico. Formulata dallo studioso Johan Huizinga nel suo Homo Ludens, è un'espressione che indica l'ambito relativo al giocare e all'attività ludica.

In pratica, quando siamo dentro un gioco siamo anche all'interno di un "cerchio magico", dove le regole normali sono sospese in favore di quelle di gioco – che accettiamo, affinché possa esistere l'attività ludica.

Il giocatore di golf sa che sarebbe più facile prendere in mano la pallina e gettarla nella buca: non lo fa perché accetta le regole del gioco. Noi videogiocatori, invece, lo facciamo?
Vi faccio un esempio molto chiaro: ogni giocatore di golf sa che sarebbe un milione di volte più facile prendere in mano la pallina, camminare fino alla buca e gettarcela dentro. Nel cerchio magico, però, accetta le regole del gioco: deve fare buca colpendo la pallina con le mazze a sua disposizione, nel minor numero di tiri possibili.

Il coinvolgimento, l'essere dentro il cerchio, fa in modo che il gioco possa esistere – accettando le regole che determinano quell'attività ludica.

Vale per qualsiasi gioco: non ci sono né guardie né ladri quando giochiamo a guardie e ladri – ma nell'ambiente di gioco accettiamo che ci siano –, o magari strappare palla a un calciatore avversario sarebbe molto più facile portandogliela via con le mani anziché con i piedi.

Questo vale anche per i videogiochi: quando siamo coinvolti in un videogioco, siamo nel suo cerchio magico e accettiamo le sue regole e il suo mondo. Sappiamo che in Final Fantasy si può riportare in vita un alleato morto in battaglia usando una Coda di Fenice, sappiamo che se ci schiantiamo in un gioco di MotoGP possiamo usare il rewind per riprovare ed evitare l'incidente: norme che determinano l'attività ludica e che non esistono, all'infuori del cerchio ludico.

Immagine id 721
Quando sono dentro il gioco, so che posso usare una funzione di rewind per rimediare agli errori: è una regola che fa parte dell'ambiente ludico.

Il dubbio, ora, sarà più chiaro: quando interrompiamo un'esperienza di gioco, ne saltiamo letteralmente fuori e ci mettiamo a cercare una guida per superare un ostacolo, siamo come il giocatore di golf che fa buca usando le mani? Stiamo in qualche modo bypassando quanto il gioco ci sta offrendo?

Quando vivo un videogame, esisto su due piani (e mezzo): il mondo reale, quello in cui sono seduta a giocare; il mondo di gioco, nel quale sono proiettata e dove vesto i panni del mio personaggio; e la via di mezzo, quella in cui sono sia Stefania da questa parte dello schermo che il mio Dovahkiin in Skyrim.

Pensare, però, che teniamo sempre un orecchio teso alla possibilità di uscire in qualsiasi momento dal gioco, per andare a cercare una guida che "cancelli" quella parte sfidante, o ci dia anche solo delle indicazioni alle quali non siamo arrivati da soli, probabilmente sbilancia i piani in favore di quello del mondo reale: quanto sei coinvolto e stai prendendo per buono quello che l'universo ludico ti propone, se sei pronto a scattare in favore del «non ho capito, cerco una guida»? 

Quando mi blocco in Alan Wake 2 perché non capisco a quale scenario narrativo devo passare per modificare l'ambientazione, tra le possibilità offerte dal gioco, e finisco per cercare una video guida da seguire, sono molto più Stefania-che-si-è-bloccata, che non Alan lo scrittore maledetto che deve uscire dalla metropolitana. Ma ho davvero giocato quella parte, così? O l'ho semplicemente superata – che non è la stessa cosa?

Ma perché lo facciamo?

Come dicevo in apertura, secondo me non c'è una risposta univoca. E, lo rimarco di nuovo, non c'è un modo sbagliato di giocare: ognuno vive un gioco nel modo che lo mette più a suo agio e che gli restituisce ciò che cercava da quell'esperienza, non è di questo che stiamo parlando.

Ma ho davvero giocato quella parte, così? O l'ho semplicemente superata?
Nell'esempio che citavo per Alan Wake 2 – che è reale –, io cercai una guida perché non ho tanto tempo per giocare per piacere e, dopo un'ora a vagare a vuoto nello scenario della metropolitana senza capire come modificare l'ambientazione per proseguire, gettai le armi e mi affidai a un video. Si potrebbe dire che sia stato un insieme di frustrazione e consapevolezza, di «avevo un'ora e mezza per giocare e la sto passando a girare a vuoto».

I motivi però possono essere effettivamente dei più svariati e, come dicevo, essendo personali non ce ne sono di più validi di altri: parlandovi di questo argomento in video, molti nostri lettori nei commenti hanno sottolineato di cercare le guide, ad esempio, per enigmi che trovano frustranti o mal progettati.

Anche questo in effetti è un punto: quando la difficoltà di un puzzle appare sbilanciata, o contro intuitiva rispetto al resto dell'opera, per evitare di rimanere bloccati (o di lanciare il gioco dalla finestra) si può finire per ricorrere a una guida. Si è come il giocatore di golf che usa le mani, in parte è vero, ma un videogioco non è una sfida agonistica a chi si frustra più tardi, dopotutto.

Altro caso interessante è quello dei completisti/cacciatori di Trofei (o Achievement): in quel caso, sappiamo che spesso i giochi sono disseminati di obiettivi così assurdi che sarebbe difficile completarli davvero tutti senza una guida.

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In Assassin's Creed II si dovevano collezionare delle piume sparse per tutte le ambientazioni.

Soprattutto quando coinvolgono collezionabili (piume di Assassin's Creed II, sto pensando a voi) che, pur con un occhio di falco, sarebbe difficile scovare tutti quanti in modo naturale, nel normale fluire dell'esperienza di gioco.

In effetti, in quel caso il ricorso a una guida non è poi nemmeno così drammatico rispetto al coinvolgimento – che in parte può essersi già allentato, rispetto al completamento di obiettivi principali che sono un po' più a fuoco con l'universo ludico e la sua narrazione: spesso, infatti, questo tipo di sfide già di suo non si incastra bene con l'avanzamento ideale del gioco (Ezio va per tutti i tetti di Firenze, Monteriggioni e il resto degli scenari cercando delle piume magari anche mentre lo inseguono orde di nemici, davvero?).

Ci facciamo un danno da soli?

Il dubbio iniziale, insomma, è sempre lì: ci sono tante sfumature per cui si può pensare di ricorrere o non ricorrere a una guida. E posso citare decine di casi in cui, a mio avviso, degli enigmi erano progettati malissimo e in un certo senso spingevano verso l'ausilio di una video guida esterna: giochiamo per svagarci, divertirci (qualsiasi sia la sfumatura che fate rientrare sotto questo enorme cappello), distrarci, e non per incazzarci perché quella runa in Hellblade II con FSR attivo su un PC handheld è sgranata e quindi indistinguibile dallo sfondo (true story).

La sensazione però è che, bypassando alcune sezioni, ci si perda parte dell'esperienza di gioco, un po' boicottandosi da soli. La nostra esperienza con Resident Evil 2 o 3, ai tempi dell'uscita originale, sarebbe rimasta uguale se avessimo potuto trovare in due click una video guida di cui copiare tutti i gesti, a cervello spento, anziché ragionare su questa o quella chiave? E quella con gli intricati primi Tomb Raider?

Di certo no. Non so dire se sarebbe stata migliore o peggiore – di certo, sarebbe stata diversa.

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E se all'epoca avessimo avuto delle video guide da copiare pedissequamente?

La mia sensazione, pur da persona che se ha poco tempo per giocare non disdegna di ricorrere a una guida quando arriva allo sfinimento, è che "arrendersi" troppo presto, aggirando quella che per l'opera doveva essere una fase di ragionamento, depotenzi il gioco. È come comprare un libro e saltarne dei capitoli per arrivare alla fine, perdendosi la crescita dei personaggi. E la propria.

Forse, è un avere meno pazienza perché a volte giochiamo qualcosa per FOMO più che per il piacere di giocarlo. Più per dire di averlo giocato, e mettere la spunta su "√ finito", che non per esperirlo e godercelo davvero.

È per questo che mi chiedo se non ci stiamo boicottando da soli, come quello che si iscrive al costoso corso di golf per poi imbucare la palla con le mani, voltarsi e dire agli altri «visto? Buca!».

In un settore dove sempre più spesso addirittura le persone guardano i giochi anziché giocarci, la domanda allora si fa più ampia: ci piace videogiocare o vogliamo solo appuntarci sul petto le medaglie dei giochi finiti? 

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