Ritratto di un complottista: Psychonauts e la cospirazione del lattaio

20 anni dopo, l'action platform 3D di Double Fine Productions è ancora attuale

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a cura di Paolo Sirio

Ci sono giochi che sono così avanti nel tempo da ritrovarsi moderni, volenti o nolenti, a vent'anni di distanza dall’uscita originale o quasi: è questo il caso di Psychonauts, un titolo che insospettabilmente preconizza la figura del complottista perfetto in un modo non solo puntuale, ma valido ancora adesso che questo “personaggio” ha subito un’evoluzione drammatica mossa dagli eventi e dalla diffusione delle tecnologie.

A riprova del valore di questo gioco, un action platform tridimensionale ora disponibile su Xbox Game Pass, sta il fatto che quella del complottista non sia l’unica figura tracciata con dovizia di particolari e uno spassoso gusto per la satira; ce ne sono tante altre che, alla maniera di Tim Schafer, esibiscono i mali del nostro tempo, spesso sottolineandone sfaccettature sagaci che potrebbero essere sfuggite.

Dal momento che la fase evolutiva delle nostre esistenze avviata negli anni 2000 è tutt’altro che terminata, tanti di quei mali sono dominanti persino ora; rigiocare Psychonauts consente di scoprire da dove provengano e spalancare la bocca dallo stupore nel capire che nulla è cambiato, anzi, ogni cosa è peggiorata con l’accumularsi dei nodi mai sciolti davvero e l’accessibilità sempre maggiore ad informazioni che distorcono la realtà.

La cospirazione del lattaio

Nel livello The Milkman Conspiracy, entriamo nella testa di un postino che ha perso il senno (!) e passa il tempo ad appuntare teorie complottiste non troppo comprensibili su una parete all’ingresso di un manicomio. Come capita spesso nella realtà moderna, le teorie discutono dei massimi sistemi ma partono da aspetti apparentemente insignificanti, e in questo caso ruotano tutte intorno all’esistenza di un fantomatico lattaio.

Non è chiaro chi sia e a cosa serva questo lattaio, e del resto poco importa: una teoria complottista viene tirata su il più delle volte avendo come fine soltanto sé stessa e non la dimostrazione di qualcosa che, provato scientificamente, potrebbe costituire un passo in avanti per il genere umano. Tuttavia, questo ha una spiegazione in Psychonauts: siamo nel mondo mentale di Boyd Cooper, e il suo subconscio deviato vuole dare via libera alla personalità del lattaio in modo che appicchi un incendio presso il manicomio.

Questo mondo viene trattato con grande cura e coerenza dal creative director Schafer e dai suoi collaboratori: diversamente dagli altri livelli, ad esempio, non presenta Censori, ovvero le figure che servono a sopprimere i pensieri non voluti, poiché queste sono innescate soltanto nelle persone sane – cosa che, vuole dirci satiricamente il gioco, il complottista perfetto non è.

L’aspetto più ironico è che, alla fine, scopriamo che il lattaio esiste veramente nel mondo di Boyd ed è un personaggio venerato da una strana setta che vigila su di lui durante il suo misterioso sonno, tenendolo nascosto per ragioni altrettanto misteriose; questo è chiaramente un riferimento al fatto che certe teorie sono vere, ma soltanto nel mondo (e cioè nella testa) di chi le elabora e se ne autoconvince.

Ma, nel complesso, The Milkman Conspiracy è costruito – nel senso più puro del termine, in riferimento al suo design – intorno alla mentalità del cospirazionista: lo si può vedere sia nella forma con cui si presenta, sia nel tipo di nemico, particolarmente “pressante”, con cui ci ritroveremo ad avere a che fare, in uno dei viaggi mentali più intricati che vi capiterà di intraprendere in Psychonauts.

Sono due le caratteristiche ludiche che inquadrano la dimensione del complottista. In primis, lo scenario è completamente sconnesso: qui il titolo di Double Fine presenta dei momenti di contorsionismo tra piattaforme scollegate le une dalle altre su cui muoversi in equilibrio precario, tra un salto e l’altro, e ringhiere lungo le quali scivolare in stile Jet Set Radio o Sunset Overdrive.

Un ammiccamento abbastanza chiaro alle spiegazioni propinate da chi monta ad arte tesi che palesemente non stanno né in cielo né in terra (cavalcando quella paranoia raffigurata dagli occhietti che spuntano da tende e cassette postali), eppure esistono e trovano sempre proseliti disposte a darle ascolto, tenendole così in vita e alimentandole con un passaparola che coinvolge gradualmente più persone – ed ecco che arriviamo al secondo “tratto”.

Il mondo nella testa di Boyd è pieno zeppo di svitati, che si esprimono mettendo insieme frasi che il senso compiuto non sanno neppure dove abiti, uniti tutti da un minimo comune denominatore: sono super sospettosi e parlano con un linguaggio codificato comprensibile soltanto a chi fa parte di quella cerchia, e soprattutto la riconosce come proprio faro nella vita.

Fare parte di quella cerchia, o meglio fingere di farne parte, è qualcosa di estremamente semplice, però, e lo sappiamo dai resoconti di tanti buontemponi che si infiltrano nei gruppi Facebook giusto per scattare qualche foto e farsi una risata con gli amici alle spalle dei creduloni.

Nel gioco, questo è reso dalla possibilità di raccogliere oggetti che ci facciano riconoscere di volta in volta in una veste diversa, ora come manutentore delle fogne, adesso quale operatore delle linee telefoniche, e così via; non serve neppure un travestimento vero e proprio, basta tenere in mano un oggetto per avere il lasciapassare per aree che altrimenti ci sarebbero precluse, e ci vedrebbero “ingabbiati” con decine di domande sparate a raffica al povero (e ovviamente ignaro) Raz.

La genialità di Psychonauts

La genialità di un prodotto simile su cosa si misura? Con un titolo dal tratto maturo probabilmente “fare politica” è una semplice conseguenza, per quanto abbia detrattori spesso ascrivibili alla categoria sociale che abbiamo descritto finora: scrivi di una relazione, di come viene vista nel mondo contemporaneo, e immediatamente ti ritrovi a compiere una scelta tra il rappresentare e non rappresentare un certo modo di rapportarsi – che è appunto, in entrambe le circostanze, fare politica.

Il tipo di gioco realizzato da Schafer, invece, deve operare su un piano diverso, enormemente più sottile e per questo più complesso da far quadrare. In tanti, un po’ come capita con gli anime, scorgono una direzione artistica dal piglio infantile e derubricano immediatamente quel prodotto quale destinato ad una fascia d’età che non gli appartiene (e gli sviluppatori giapponesi, oltre che gli animatori, ne sanno qualcosa).

Il padre di Monkey Island – caso abbastanza raro nella scena non indie occidentale – è riuscito nel 2005 a veicolare, attraverso immagini dal disegno peculiare e in una fase in cui il videogioco cominciava ad essere ossessionato dal fotorealismo, messaggi di satira adulta e critica sociale nient’affatto assimilabile a quelli convogliati dagli altri platform che definivano il genere (pensiamo, per semplificazione, a Nintendo).

«Amavo il film Capricorn One quando ero bambino, sul falsificare l'atterraggio lunare. La sola idea che qualcuno pensasse [che fosse vero] era così divertente per me, allo stesso modo in cui alcuni pensano che i terrapiattisti sono divertenti adesso, ma lo trovo molto triste, perché è solo un sintomo di quanto spaventoso e fuorviante possa essere Internet», aveva spiegato il fondatore di Double Fine Productions in un'intervista a PC Gamer.

Nella fattispecie, il livello The Milkman Conspiracy è stato ispirato da un homeless di nome Doug che stazionava nei pressi degli uffici dello sviluppatore, che «certi giorni pensava che il governo stesse provando a fare cose con lui, e altri giorni no. Era interessante parlargli... provare ad entrare nella sua testa è stato di grande ispirazione per il livello. Lo vedo ancora girare nel quartiere».

Non è solo una questione di complottismi perché, per citare un altro caso noto, il livello immediatamente successivo – ambientato nel piano mentale del Teatro di Gloria – è incentrato sulla figura del critico Jacob, che gode nel vedere distrutte le opere che recensisce, al punto da spingere gli artisti a non salire più sul palcoscenico davanti ai suoi occhi.

Anche stavolta, tale figura non è soltanto scritta, ma il modo in cui è pensata ha conseguenze dirette sul gameplay: in uno scontro possiamo vedere che attacca, letteralmente, con le parole e punta a demolirci con le classiche definizioni stereotipate di chi non giudica per fornire un parere educato ma lo fa per esibire e alimentare il proprio ego.

E anche stavolta non possiamo che restare ammirati di fronte al fatto che Psychonauts sia ancora così attuale. Gran parte del merito va, come anticipavamo, ad una linea evolutiva che sta continuando a scorrere indisturbata dagli anni 2000 ad oggi e che, presumibilmente, non cambierà piano prima di un’altra era geologica, ma farsi trovare pronti e persino prefigurare gli effetti di cambiamenti sociali epocali a distanza di sedici anni è qualcosa di speciale.

In conclusione

Per restare in tema di cambiamenti ed evoluzioni, il nostro nuovo playthrough di Psychonauts è stato offerto da Xbox Cloud Gaming, per gli amici xCloud. Ci abbiamo giocato con un controller Kishi e possiamo confermare che, pur essendo in una fase di assestamento ancora in corso, questo è uno dei titoli – uno dei tipi di giochi – che più fa godere e intravedere il potenziale della piattaforma di gioco in streaming.

Essendo una produzione in origine per la prima Xbox, non si tratta di un prodotto particolarmente complesso da gestire a livello di frame rate, e questo ha delle conseguenze positive sulla qualità dell’esperienza: nonostante sia consigliata una rete wireless in 5GHz, nella versione Android, ne abbiamo fruito addirittura su una connessione in 2.4GHz senza interruzioni di sorta.

Tra questo aspetto tutt’altro che secondario – ovvero giocarci su uno smartphone mentre si è stesi sul divano – e una maturità forse dimenticata del capitolo originale, adesso possiamo dirlo: siamo entrati in clima hype per Psychonauts 2, in uscita il 25 agosto su PC, PlayStation e Xbox.

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