Da Yakuza a Like a Dragon: dai travagliati albori al successo di una saga unica

Yakuza è una saga incredibilmente intensa, che è riuscita dopo numerosi tentativi a conquistare anche il pubblico internazionale. Vi raccontiamo i motivi del suo successo.

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a cura di Silvio Mazzitelli

Redattore

Uno dei protagonisti del Tokyo Game Show di qualche tempo fa è stato indubbiamente il Ryu Ga Gotoku Studio, con i suoi annunci legati al futuro della serie Yakuza, o meglio, di quella che diventerà da ora in poi Like a Dragon, nuovo nome della saga. Per chi si fosse perso le nostre notizie settimane fa, durante la prestigiosa fiera nipponica, infatti, sono stati annunciati ben tre nuovi progetti: la remastered di Like a Dragon: Isshin, titolo spin-off della serie ambientato nel periodo del Bakumatsu giapponese di fine ‘800 (uscito in origine nel 2014 in Giappone ma mai arrivato in Occidente); Like a Dragon 8, il nuovo capitolo della storia principale; Like a Dragon Gaiden: The Man Who Erased His Name, altro spin-off, nonché prequel del futuro capitolo, in cui sono narrate le vicende del protagonista storico, Kazuma Kiryu, a partire dalla fine del sesto capitolo fino alle motivazioni che lo riporteranno in scena nell'ottavo.

La serie di Yakuza ha una lunga storia alle sue spalle, con un passato travagliato in Occidente riscattato solamente negli ultimi anni. Una cosa è certa: Yakuza (o Like a Dragon, se preferite), rappresenta una di quelle saghe videoludiche che non ci si deve perdere, per l’incredibile unicità del suo gameplay e, soprattutto, della sua narrativa, che nel complesso è un inno alla moderna cultura giapponese in ogni sua sfumatura.

Approfittiamo dei lavori in corso sui nuovi progetti per ripercorrerla con voi.

La genesi del Drago di Dojima

La storia di Yakuza iniziò nel 2005 con l’uscita del primo capitolo su PlayStation 2. L’idea venne a Toshihiro Nagoshi, la mente dietro la saga, che volle puntare su un argomento poco trattato dai videogiochi giapponesi ma molto popolare in altri media, come film e manga, ovvero il mondo della criminalità nipponica.

Il progetto conobbe degli intoppi ai suoi albori: ai piani alti di Sega non piaceva l’idea, dato che secondo la loro opinione un titolo simile era vendibile solo a un ristretto gruppo di pubblico maschile, ma, su insistenza di Nagoshi, il progetto venne approvato.

L’idea alla base era quella di trasformare in un videogioco i popolari film sulla criminalità nipponica, filone di grande successo in Giappone ormai da decenni. L'immagine idolizzata dello Yakuza ha infatti sempre esercitato un fascino unico sul popolo giapponese, così ligio alle regole, in quanto questa figura rappresenta il perfetto archetipo dell’antieroe, che vive solo secondo le sue regole, ma che al contempo è sempre onorevole verso il prossimo e pronto a battersi contro le ingiustizie.

D’altronde la stessa criminalità giapponese funziona in maniera molto diversa da quella del resto del mondo: in Giappone i diversi clan sono registrati come se fossero un’azienda, liberi di agire finché non ci sono le prove di attività illecite. La Yakuza, soprattutto in passato, era tollerata dal governo e dal popolo perché considerata un male minore, necessario per tenere sotto controllo le realtà dove nemmeno la polizia poteva arrivare, limitando così lo sviluppo di una criminalità incontrollata.

Le origini di quest’organizzazione si perdono nella notte dei tempi, ma secondo alcune teorie le prime bande erano formate da ex samurai, riuniti in gruppi poiché era diventato illegale portare con sé la propria spada. Questi divennero dei veri e propri vigilanti di quartiere e spesso anche guardie del corpo di personaggi facoltosi. Perciò la Yakuza, storicamente, è sempre stata caratterizzata da un codice che ricorda alla lontana quello del Bushido ed è per questo che nell’immaginario nipponico i suoi membri sono sempre stati visti come figure nobili, anche se tra luci e ombre. Ovviamente la realtà è ben diversa, benché sia possibile che in questa teoria delle origini ci sia qualcosa di vero – ma questo è un altro discorso.

I valori attribuiti all’archetipo dello Yakuza sono ben incarnati dal protagonista della serie, chiamato Kazuma Kiryu ma conosciuto anche con il fiero nome di Drago di Dojima, pronto a sacrificarsi per i suoi compagni e la sua amata tanto da farsi dieci anni di prigione pur essendo innocente, come ci viene detto nell’incipit del primo capitolo. Kiryu è in effetti diventato un personaggio simbolo non solo della saga, ma in generale del mondo videoludico, complici anche diversi meme nati nel corso degli anni.

Il suo carisma e i suoi valori lo hanno reso molto amato dal pubblico, e il titolo giapponese dalla saga, ossia quel Ryu Ga Gotoku tradotto in Like a Dragon, è una perfetta espressione della forza e della nobiltà d’animo del protagonista (ma, più in generale, di tutte le figure fittizie appartenenti al sottobosco criminale del Giappone videoludico creato da Sega).

Il titolo ottenne dunque un grande successo in patria, infatti fu visto un po’ come il successore spirituale di Shenmue, ma al contempo anche come qualcosa di unico nel panorama videoludico dell’epoca, grazie a una struttura in cui convivevano una trama complessa e articolata e un mondo di gioco molto ben costruito e pieno di attività. Il seguito non tardò ad arrivare: infatti, nel 2006 uscì Yakuza 2, sempre su PlayStation 2, e da lì in avanti Nagoshi e il suo team diventarono molto prolifici, tanto che in 17 anni di storia (escludendo i titoli annunciati, ma non ancora usciti) sono stati realizzati sette capitoli principali (potete recuperare l'ultimo a un prezzo scontato su Amazon) più il prequel Yakuza 0, due spin-off ambientati nel Giappone feudale, due capitoli per PSP (mai arrivati in Occidente) e persino uno spin-off a tema apocalisse zombie, chiamato da noi Yakuza Dead Souls.

A questi vanno poi aggiunti anche i due capitoli di Judgment, entrambi spin-off ambientati sempre a Kamurocho, ma con personaggi e storie molto diverse, e Fist of the North Star: Lost Paradise, un titolo dedicato al famoso anime e manga Hokuto no Ken, rivisitato con il sistema di gioco tipico della serie.

In Occidente, invece, il discorso è stato diverso. Yakuza ha fatto fatica a decollare nei suoi anni d'esordio, nonostante il primo capitolo per PS2 avesse persino i testi tradotti in italiano. Il problema fu la campagna marketing dell’epoca che, anche se non in maniera ufficiale, presentava il gioco come se fosse un GTA ambientato in Giappone. Nulla di più lontano dalla realtà, date le molteplici differenze tra i due titoli.

Sega stessa probabilmente non credette mai nel successo commerciale di un titolo così tipicamente giapponese, tanto che alcuni capitoli, oltre ad arrivare con anni di ritardo nel nostro continente, a volte avevano anche contenuti tagliati, – come successe con il terzo episodio, in cui vennero eliminati alcuni elementi legati agli hostess club. Anche il nome dato alla serie in Occidente, Yakuza, fu probabilmente frutto di una strategia di marketing finalizzata a rendere la saga più appetibile per il pubblico oltreoceano, ma su questo punto torneremo più avanti.

Con il tempo, fortunatamente, l’amore per la serie si accese come un fuoco, divampando tra pochi appassionati per poi raggiungere un pubblico sempre maggiore, tanto da esplodere negli ultimi anni e giustificare l’arrivo dei nuovi capitoli in contemporanea con l'Oriente (così come è stato per Lost Judgment).

La titubanza di Sega si rivelò dunque errata, tanto da voler riproporre ora un capitolo come Like a Dragon: Isshin, che ormai sembrava destinato a non arrivare mai da noi, investendo persino nel rimodellarlo con una nuova veste grafica e un aggiornamento del gameplay. Ma quali sono i motivi che hanno reso così popolare la saga di Yakuza in tutto il mondo?

Storie di uomini d’onore e uomini con il pannolino

I motivi del successo di Yakuza sono davvero tanti – d’altronde si tratta di videogiochi realizzati bene sotto ogni aspetto, dalla narrativa al gameplay. Lasciamo la narrativa per ultima (il meglio si tiene alla fine!) e concentriamoci sul resto. Tutti i capitoli di Yakuza offrono un ottimo mix tra un gameplay unico, che unisce un sistema di combattimento action con elementi che ricordano molto i vecchi picchiaduro a scorrimento, e una divertente esplorazione, che permette di scoprire sempre cose nuove, siano queste un minigioco inedito o un’attività secondaria.

L’esplorazione è infatti uno dei punti forti della serie, nonostante si utilizzino da anni le stesse mappe, in particolare Kamurocho. Chi ha giocato gran parte dei capitoli principali ormai saprà a memoria dove si trovano ogni Poppo (i minimarket del gioco), ogni sala giochi o l’utilissimo banco dei pegni, questo ancor prima di iniziare a giocare a un nuovo capitolo. L'iconico quartiere della serie è ispirato a Kabukicho, area di Shinjuku che, anche se non in rapporto di scala 1 a 1, somiglia tantissimo a quella vista nei titoli di Sega.

La cosa affascinante è che le ambientazioni di Yakuza sono estremamente realistiche, tanto che chi ha avuto il piacere di visitare il Giappone almeno una volta proverà un grande senso di nostalgia nel vedere i distributori di bibite per la strada, con marche reali di vere bevande nipponiche, i vicoletti caratteristici di Tokyo o il Don Quijotte (con il reale jingle del negozio che suona a rotazione) dove si trova qualunque cosa a prezzi bassissimi. Aggirarsi per le mappe degli Yakuza ambientati in epoca moderna è quasi come fare un tour virtuale del Giappone, dato il realismo che vi si può trovare.

A questo si aggiungono un’infinità di attività secondarie, tra sidequest e minigiochi di ogni genere possibile. Tra pesca, baseball, qualsiasi tipo di gioco d’azzardo orientale e occidentale, le sale giochi dove si possono giocare i veri vecchi titoli arcade di Sega (negli ultimi capitoli è possibile giocare persino a Virtua Fighter 5) e moltissimo altro, si possono perdere decine e decine di ore anche senza dedicarsi minimamente la storia principale.

Per non contare la possibilità di visitare negozi e ristoranti realmente esistenti in Giappone, dove ordinare le tipiche pietanze nipponiche, tanto che alcune catene sono effettivamente sponsorizzate all’interno del gioco.

Il combattimento poi sa sempre divertire, anche se non risulta essere l’aspetto migliore della lunga saga. Il combat system classico è sempre stato semplice da imparare e senza grossi tecnicismi o manovre complesse, propendendo verso quella spettacolarità che soltanto una motocicletta spaccata sulla schiena di uno sgherro di una gang rivale o il prendere a cazzotti in faccia una tigre può dare. E questi sono alcuni degli esempi più sobri di cosa si possa fare nei combattimenti di Yakuza.

Le Heat Action, ossia azioni contestuali eseguibili solitamente in base alla posizione del nemico nell’ambiente o all’utilizzo di un’arma o un oggetto, sono il marchio di fabbrica della serie. È grazie a queste mosse speciali che i combattimenti hanno quella marcia in più che le semplici combo di calci e pugni non riescono a dare.

Negli anni il sistema di combattimento si è anche evoluto in versioni migliorate e più varie, ad esempio con la possibilità di cambiare tipologia di combattimento, per variare le mosse o per sfruttare diversi personaggi, ognuno con il proprio stile, fino ad arrivare al settimo capitolo, che ha sconvolto il canone classico della serie diventando un vero e proprio RPG con combattimenti a turni.

Passiamo ora all’aspetto più riuscito di ogni capitolo della saga, ossia la narrativa. La bellezza delle storie raccontate in Yakuza sta nel riuscire ad amalgamare con una naturalezza inspiegabile una trama seria e spesso drammatica, con tradimenti, colpi di scena e morti che segnano il giocatore, a scene in cui ci ritroviamo ad avere a che fare con un capoclan vestito da neonato sorpreso nel bel mezzo di una sua fantasia sessuale con un’infermiera, maniaci nudi intenti a rubare biancheria intima, o persino un pollo che diventa il gestore di un ristorante. Sì, se non avete ancora giocato alla saga vi siete persi delle scene di rara follia.

Il bello è che ogni titolo riesce a far convivere entrambe le sue anime, normalmente impossibili da conciliare, lasciando la serietà e la complessità della trama alla storia principale, per poi impazzire e darsi alla follia nelle missioni secondarie, così che questi due tipi di narrativa agli antipodi non si incontrino mai e non appaiano strettamente collegati.

Il Ryu Ga Gotoku Studio ha bravissimi scrittori che riescono a inventarsi sempre storie di alto livello; certo, ci sono naturalmente alti e bassi tra i tanti titoli della saga, ma anche le trame meno riuscite sono comunque ben scritte e risultano di molto superiori a tanti altri titoli che hanno persino vinto di recente il GOTY alla narrativa.

Alcuni capitoli in particolare, da questo punto di vista, sono davvero di altissimo livello, come Yakuza 2 o anche il 4 e il 6, senza contare lo spin-off Judgment: il primo capitolo, dalla narrativa più simile a un film poliziesco, è un vero gioiello per l’evoluzione degli eventi e i colpi di scena presenti, ma anche il secondo (che potrete trovare su Amazon a un prezzo davvero basso) ha una trama molto matura e dai temi attuali, anche se risulta leggermente inferiore al primo.

La forza della narrativa è poi in larga parte merito dei personaggi. Kazuma Kiryu è, come già detto, un personaggio iconico e a lui si aggiungono altri comprimari ormai divenuti storici, come il folle Goro Majima, l’affascinante Shun Akiyama o la timida ma responsabile Haruka Sawamura. A questi si affiancano poi antagonisti di un certo spessore, come il Drago del Kansai Ryuji Goda o il vecchio amico fraterno di Kiryu, Akira Nishiyama. Impossibile giocare alla serie senza amarne i protagonisti, specialmente quando capirete di cosa è capace Majima.

Il futuro di Yakuza è Like a Dragon

Lo scorso anno, il padre e producer principale della serie Toshihiro Nagoshi ha abbandonato Sega per passare a NetEase e fondare il suo studio privato. Yakuza ha dunque perso il suo creatore, ma dopo aver visto lo show e i progetti futuri mostrati al Tokyo Game Show, i fan hanno capito che la serie è rimasta in buone mani.

La saga, ormai conosciuta come Like a Dragon, è sempre riuscita a rinnovarsi anche quando sembrava ormai troppo stagnante sia nel gameplay che nelle trame da raccontare. Non è un caso che Yakuza: Like a Dragon, il settimo capitolo, abbia sconvolto il canone dei titoli precedenti: la storia di Kiryu non aveva più nulla da raccontare, dopo oltre sei capitoli, e il combat system iniziava a stancare.

Così il team di sviluppo ha deciso di non attaccarsi ai motivi del successo dei precedenti episodi in maniera esasperante, ma ha voluto fare una scommessa che pochi altri avrebbero fatto, stravolgendo il sistema di combattimento e cambiando il protagonista principale. Inutile dire che la scelta ha ripagato, tanto che a molti fan il nuovo Yakuza è piaciuto forse ancor di più di quelli precedenti.

La storia di Ichiban Kasuga (se non l'avete ancora giocata la trovate scontata su Amazon) ha conquistato i cuori di molti sin da subito, soprattutto perché in questo caso sembra che gli sviluppatori abbiano deciso di togliere il limitatore alla loro follia. Vi basti infatti sapere che i combattimenti in stile RPG a turni sono ora più esilaranti che mai, tra un job system ispirato a Dragon Quest, ma con i lavori del mondo reale con persino il barbone, la idol o la dominatrice, e la possibilità di evocazioni assurde, come delle aragoste imbestialite o dei sudati e pelosi lottatori di sumo. Senza contare il registro dei nemici che è possibile affrontare per le strade nipponiche, proposti come se fossero dei Pokémon.

Con queste premesse non si possono che attendere con un certo hype le follie che ci aspetteranno nell’ottavo episodio, che diventerà ufficialmente Like a Dragon 8, e negli altri spin-off. Il cambio di nome, come spiegato dal nuovo producer Masayoshi Yokoyama, è dovuto al fatto che la serie non ha più come tematica centrale la Yakuza.

Scelta più che legittima e indubbiamente sensata, ma pensiamo che il motivo sia anche un po’ il fatto che la saga ormai è talmente affermata anche in Occidente da non aver più bisogno di appellarsi a quel nome affibbiatole probabilmente per motivi di marketing quasi vent’anni fa. Like a Dragon è cresciuto e, come indica il suo stesso nome, è ora in grado di muoversi con le sue gambe senza temere censure o adattamenti per il pubblico europeo e americano, mostrandosi per quello che è veramente, ossia un titolo che ostenta con orgoglio e passione l’anima nipponica che lo pervade in ogni singolo aspetto, in tutte le sue molteplici sfaccettature.