Da Paperino ad Assassin's Creed: la rivoluzione di Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo

Ripercorriamo temi, segreti e significati anche accademici dietro Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo, il ritorno del Principe e “padre” di Assassin’s Creed

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Quando è uscito nell’ormai lontano 2003 nessuno (neanche i suoi stessi creatori) poteva immaginare l’impatto che avrebbe avuto su pubblico e addetti ai lavori. Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo è stato un videogioco che si è reso artefice di una vera e propria rivoluzione silenziosa.

Dopo aver ripercorso in tre parti (le trovate qui, qui e qui), tutta la storia videoludica del Principe con La Sabbia e la Fiamma, oggi torniamo proprio a quel Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo per indagarne temi, segreti e significati accademici.

https://www.youtube.com/watch?v=mvPWTE60Bx0

Il Principe e Paperino

Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo non è nato sotto una buona stella. Dopo gli esordi e i successi negli anni Ottanta, la creatura di Jordan Mechner era passata a fine anni Novanta nella terza dimensione. Una forzatura di cui, per quanto “richiesta” dal contesto storico, ci si rese conto troppo tardi. Il poco entusiasmo ricevuto convinse il pubblico a tornare ai fasti degli episodi 2D della saga, facendo finta che il 3D non fosse mai stato tentato. A inizio anni Duemila, quindi, il brand non era ancora morto e sepolto, ma comunque c’era poca voglia di rimetterci mano. Tutto ciò fino al 2001, quando subentrò Ubisoft. A seguito della buonissima accoglienza di Michael Ancel e del suo Beyond Good & Evil, la casa francese voleva continuare ad osare.

Per il ritorno del Principe venne riutilizzato proprio il Jade Engine (motore grafico di Beyond Good & Evil), e venne sviluppato dallo studio di Montreal in parallelo al primo Splinter Cell. A dirigere quello che sarebbe divenuto il PoP Team c’era Patrice Désilets, futuro padre del primo Assassin’s Creed. La meccanica principale del riavvolgere il tempo per rimediare a un salto finito male o al venire soverchiati dai nemici venne in mente a Désilets da un’esperienza personale: negli anni precedenti aveva infatti lavorato a Donald Duck Goin’ Quackers (conosciuto da noi come Paperino Operazione Papero): il fatto che tale gioco lo obbligasse a ripetere interi livelli per un salto sbagliato gli fece venire in mente l’idea di poter “rimediare” ai propri errori.

Le ambizioni di Jordan Mechner

L’entusiasmo per il lavoro su questo reboot-sequel dell’originale Prince of Persia coinvolse anche Jordan Mechner. Quest’ultimo per la sua creatura aveva ambizioni enormi, come il fatto di scrivere una trama molto articolata, dove a seconda delle azioni del giocatore sarebbe cambiato anche il flusso del gioco (azione, enigmi, manipolazione temporale).

Alla fine comunque si optò per qualcosa di molto più semplice, con la liberazione delle Sabbie e la costruzione dialogica del rapporto tra il Principe e Farah. Fin qui nulla di nuovo, anche per il momento in cui il gioco venne pubblicato. Il motivo per cui Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo riesce tuttora ad andare oltre la sua epoca sta nella sua costruzione narrativa e contestuale, che sfiora ambiti semiotici e accademici.

Molti credono che il tempo sia come un fiume, che scorre lento in un’unica direzione. Io l’ho visto e posso assicurarti che… si sbagliano. Il Tempo è un mare in tempesta. Forse ti chiederai chi sono, e perché io parli così. Siediti, e ti racconterò la storia più incredibile che tu abbia mai sentito.

(Il Principe nel filmato introduttivo)

L’introduzione di Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo gioca con il significato stesso degli strati testuali, inscenando uno sfondamento della quarta parete (in cui sembra che il Principe parli direttamente al giocatore dall’altra parte dello schermo) poi genialmente composto nel finale. All’interno di questa costruzione trova posto naturale anche la performance del giocatore: egli infatti gestisce l’azione, dai salti ai combattimenti, e i suoi errori (e morti) vengono identificati come sue “intromissioni” nel racconto del Principe. Per esempio se mettiamo in pausa l’azione, ogni tanto il protagonista chiederà se può andare avanti a raccontare (e quindi con il gioco); oppure se si muore egli ci correggerà gentilmente, con frasi come “No, non è successo neanche questo; posso ricominciare?”

Comunque non c’è bisogno di arrivare fino alla conclusione del gioco per apprezzare l’arguzia delle trovate sceneggiative e di game design che Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo è in grado di sfoggiare anche a più di diciotto anni dalla pubblicazione. Tra il Principe e Farah abbondano i dialoghi in cui il protagonista si sente come “controllato” da un’entità esterna oppure fa dei monologhi prima di realizzare di stare “parlando da solo” come i folli.

Farah: Senti questa: “che può fare la ragione contro il potere dell’amore? L’amore è vita, quindi se vuoi vivere, muori amando; muori amando, se vuoi rimanere vivo.Principe: E cosa vorrebbe dire?Farah: Pensavo ti piacesse.Principe: Se vuoi essere utile, prova a cercare un libro che ci spieghi come uscire di qui!Farah: Non è mica un gioco, sai?Principe: Gioco? Lei crede che sia un gioco!

(Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo, dialogo tra il Principe e Farah nella biblioteca)

Prince of Persia Le Sabbie del Tempo e il doppio eroe

L’abitudine di inserire riferimenti culturali all’interno delle sue creazioni è sempre stata una delle caratteristiche più riconoscibili dei videogiochi diretti da Patrice Désilets. Tuttavia Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo nasconde un ulteriore doppio riferimento, tanto ignorato quanto è alla luce del sole. Due le occasioni in cui si manifesta: durante il prologo, nei pensieri del Principe durante la sua prima battaglia, e a metà avventura, quando lui e Farah raggiungono i bagni del palazzo di Azad. In entrambe queste occasioni il principe cita un certo Rostam.

Non si tratta di un nome casuale: Rostam è uno degli eroi più celebri del folklore persiano. Nella sua figura si ritrovano parallelismi con molte altre personalità anche occidentali. Rostam infatti viene dipinto come un uomo dalla forza sovrumana, e che esattamente come il nostro Herakles/Ercole compì alcune “fatiche” – sette per la precisione. Oltre al paragone con la Grecia, Rostam viene inoltre associato a Surena, il generale dei persiani (allora Parti) che vinse l’esercito romano di Marco Licinio Crasso nella Battaglia di Carrhae nel 53 a.C.. Nel gioco comunque il Principe ricorda Rostam per via della sua forza: quando Farah gli chiede se può sfondare un muro pericolante con la spada, lui risponde “Chi credi che io sia, Rostam?”

Certo si tratta solo di un piccolo riferimento, ma niente ci impedisce di pensare che possa essere stato proprio Jordan Mechner a volerlo inserire, in modo da colorare il gioco di qualche significato in più. Quello che sembrerebbe un indizio a favore di tale teoria si trova sul sito ufficiale di Mechner: qui nel 2009 egli ammise di aver scelto “Dastan” come nome per il Principe nell’omonimo film sulle Sabbie perché significa “ingannatore” (trickster), e di aver scoperto solo successivamente che “dastan” era anche uno degli appellativi proprio di Rostam.

Il doppiaggio italiano del gioco comunque pronuncia il nome dell’eroe persiano come “Rastan”. Curiosamente però è un’ulteriore citazione: Rastan Saga è infatti un franchise videoludico di Taito, uscito a fine anni Ottanta in tre episodi. Un videogioco arcade a scorrimento ad ambientazione fantasy, chiaramente ispirato a Conan il Barbaro. 

Il Principe accademico

Probabilmente una delle lamentele più diffuse riguardo Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo sta nella sua scarsa longevità. Conoscendolo, infatti, il gioco non dura che cinque ore scarse, un quantitativo che in effetti è troppo limitato, oggi come ieri. Sebbene ciò sia oggettivamente vero, non bisogna neanche lasciarsi andare a questa idea dei videogiochi “un tanto al chilo”. Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo cerca infatti la rigiocabilità e un’esplorazione che è soprattutto narrativa, alla ricerca delle arguzie semantiche e di dialoghi inediti tra il Principe e Farah.

Tuttavia la concezione semiotica e dei significati non si ferma ai dialoghi. Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo è infatti uno dei primi videogiochi della sua generazione a cercare di fonderli con l’azione stessa. Una logica che funziona di contrasti, e che parte dalle azioni più basilari: il bere acqua per ripristinare la salute contrasta semanticamente con le Sabbie che invece tutto corrodono e inaridiscono. Ma i significati non si fermano qui: le Creature di Sabbia sono alla fine degli “zombi”, ma a renderli inquietanti non è più il loro scontato (e volendo un po’ ridicolo) mugolare claudicante, ma i loro sussurri. Persino gli enigmi ambientali, tra cui quello famoso dei quattro perni per attivare il sistema di difesa di Azad, vive di contrasti semantici: l’unico modo per proseguire è risolverlo, di fatto “auto-complicandosi” la vita per tutto il resto del gioco.

Ugualmente la questione del vestiario acquisisce sentori sia simbolici che ideali. Con il passare delle ore di gioco infatti la maglia e l’armatura del Principe si deteriorano sempre di più, fino a distruggersi del tutto e trasformarlo così come lo vediamo sulla copertina del gioco. Le interpretazioni in questo senso sono diverse: c’è chi ha ipotizzato che tale distruzione simboleggi la crescente entropia che il protagonista si trova ad affrontare. Ma c’è anche la possibilità che la perdita del vestiario simboleggi l’esperienza acquisita del Principe, che una volta persa l’armatura mostra le vistose cicatrici che gli hanno lasciato le tante battaglie a cui è sopravvissuto.

Prince of Persia e il grifone dimenticato

Il destino di Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo è stato abbastanza curioso: abbiamo visto come lo sviluppo sia stato sia travagliato che gravato dal fatto di dover risollevare un brand fino a quel momento con un brutto rapporto con le tre dimensioni. Di conseguenza le idee accennate e poi scartate sono state molteplici; per fortuna però molti di questi retroscena sono stati documentati, anche in vie se vogliamo “diverse” dai soliti dietro le quinte (comunque presenti).

Nel 2002 la celeberrima trasmissione di Discovery How It’s Made (da noi conosciuta con il titolo Com’è Fatto) impiegò il gioco come “esempio” per appunto parlare del processo di sviluppo di un videogioco di quegli anni (sesta generazione). Lo spezzone è tuttora rintracciabile su YouTube, caricato sul canale ufficiale di Discovery UK.

Osservando attentamente il servizio è possibile vedere alcuni step intermedi del percorso creativo dietro al gioco: è infatti evidente come inizialmente il Principe avrebbe dovuto avere una sorta di “infezione” rilucente al braccio sinistro, forse un artificio per indicare il suo aver assorbito il potere delle Sabbie. Curiosamente questo concetto di “contaminazione” sarebbe stato in qualche modo riutilizzato in I Due Troni, come “punto di ingresso” per il Principe Oscuro, doppio malvagio del protagonista.

Tuttavia sempre dal servizio di Com’è Fatto emerge un altro elemento più interessante: un boss scartato. Nel filmato infatti viene inquadrato brevemente il “flow” del gioco, costituito da una serie di post-it che indicano le varie fasi dell’azione. A un certo punto è chiaramente visibile un foglio abbastanza grande con scritto “Boss Griffon #2”. Dai pochi indizi e voci che circolano in Rete, infatti, questo fantomatico grifone avrebbe dovuto fungere da boss intermedio, da affrontare a più riprese nel corso dell’avventura.

Si tratta tutto sommato di una conclusione logica: Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo ha infatti solo due boss, uno all’inizio dopo il prologo e quello finale – il che lascia intendere che l’impiego del grifone come avversario ricorrente abbia fatto davvero molta strada prima di essere scartato. Talmente tanta che quando alla fine fu accantonato non c’era più tempo per sostituirlo con altro. Per lui venne addirittura composta una traccia musicale dal titolo inequivocabile: Attack of the Sand Griffins. Per quanto tale brano ce l’abbia fatta a comparire nell’edizione definitiva, è utilizzato in un contesto “differente”: è la traccia di quando il Principe combatte le creature di sabbia volatili.

Conclusione: la gloria è come la sabbia

Sono passati più di diciotto anni da quando Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo è arrivato sugli scaffali, eppure siamo ancora qui a parlarne. Probabilmente i veterani del gioco lo sapranno già, ma è sorprendente quanto questo “vecchietto” del gaming abbia ancora da insegnare. Lo fa per la sua natura di videogioco d’autore doppio: Jordan Mechner e Patrice Désilets si sono in qualche modo “coordinati”, iniziando a giocare con quella quarta parete che poi Patrice avrebbe portato a compimento con Assassin’s Creed.

La piccola grande rivoluzione di Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo sta tutta qui: nel giocare con la quarta parete, per parlare direttamente con la persona dall’altra parte dello schermo. Forse uno dei primi videogiochi autenticamente “semiotici”, capace di giocare con gli strati del medium per trasmettere un messaggio sottile ma presente. Onore e gloria sono una trappola per stolti: in quel mare in tempesta che è il Tempo, l’unico porto sicuro sono le buone azioni.

Se volete andare alla riscoperta della Trilogia delle Sabbie del Principe, potete farlo con la HD Collection disponibile su PlayStation 3. Se invece volete "misurarvi" con il controverso film delle Sabbie, lo trovate disponibile in Blu-Ray!