Giocare Horizon: Zero Dawn dopo il 2020 è stato disturbante

L'ineluttabile necessità di ammettere che nemmeno l'ingegno umano può risolvere tutto. Anzi, spesso complica solo le cose – spiegato bene. Da un videogioco.

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a cura di Stefania Sperandio

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Quando ci approcciamo a un libro, un film, una serie TV, un videogioco – qualsiasi mezzo possa veicolare una storia – ci sono cose che cerchiamo e altre che non cerchiamo. Ci sono molti appassionati, ad esempio, che cercano il disagio e la tensione dell'horror per le riflessioni che il genere è in grado di ispirare, momenti disturbanti che si imprimono nella memoria e fanno mettere in discussione delle certezze.

Altri cercano esperienze più di pancia: momenti emozionanti e personaggi a cui affezionarsi. Altri ancora, ad esempio, vagano per le storie cercando di vivere degli spunti di riflessione, del cibo per il cervello. Quando mi sono approcciata a Horizon: Zero Dawn, che mi era rimasto nel backlog dal 2017 dopo averci giocato al massimo un paio d'ore e averlo visto sommerso da incombenze più urgenti, non sapevo bene dove piazzarlo, in tutto questo.

Di solito, i grandi AAA cercano di strizzare l'occhio un po' a tutti: difficili la ricercatezza, gli spunti, i collegamenti, se non sai sfaccettarli bene, perché rischi di suonare verboso, pesante, complesso, a chi magari cercava qualcosa di più disimpegnato e che potrebbe rappresentare la tua fetta di pubblico più grande.

Lo avevo inquadrato così. E in un certo senso lo è. Almeno tanto quanto non lo è. Perché, tutto mi sarei aspettata, ma non che il viaggio di Aloy e soprattutto di chi è venuto prima di lei mi lasciasse addosso un profondo senso di disagio. Ed è per questo che è stata un'esperienza bellissima e ricca di spunti di riflessione. Anche e soprattutto dopo aver vissuto il 2020. E, in un certo senso, anche il 2021.

Attenzione: questo articolo contiene enormi spoiler dalle vicende di Horizon: Zero Dawn. Se non avete completato il gioco, vi raccomandiamo di interrompere qui la lettura.

L'umanità che supera il limite

Aloy è una reietta. Non sa bene perché, quando è bambina. Sa che gli altri bimbi della sua tribù, i Nora, la trattano come un'emarginata, e fanno lo stesso le loro madri – colonne fondanti della società in cui vivono – e i loro padri. Il motivo si scopre poco dopo: Aloy è senza madre. Nessuno sa chi l'abbia generata e, in una società matriarcale come quella dei Nora, si tratta di un vero e proprio abominio.

Spinta dalla volontà di scoprire il suo passato, nel viaggio che vive all'interno di Zero Dawn, Aloy si trova a tu per tu non solo con le sue origini, ma con quelle dell'umanità così com'è oggi. Ed è in questo che Horizon si rivela straordinariamente bravo e tenace.

Il mondo creato da Guerrilla Games – protagonista di un videogioco che presta il fianco ad alcuni difetti nel design delle quest e nel combat system con gli umani, senz'altro – è straordinariamente intrigante. Scheletri di città decadute un millennio prima si atteggiano a testimoni giganti e muti di un passato che i Nora, i Carja, i Banuk e nessuna tra tutte le altre tribù del mondo potrebbero mai svelare. Chiamano gli umani che sono venuti prima di loro "i Precursori" – e di loro non sanno niente.

Sanno che qualcosa di terribile è accaduto, abbastanza terribile da ritenere sconsacrati, empi e pericolosi i luoghi che rimandano ai Precursori: misteriosi bunker, attrezzature elettroniche, anche dispositivi indossabili di realtà aumentata conosciuti come focus.

Tra gli abitanti del mondo di Horizon, serpeggia l'inquietante consapevolezza che gli umani, forse superando un certo limite, siano decaduti. Che abbiano sfidato gli dei e per questo siano stati puniti. Motivo per cui il modo giusto di vivere sia "questo", diverso per ogni tribù: chi vuole il contatto con la natura, chi venera il sole, chi una voce cibernetica che arriva dal ventre della montagna e che ha identificato come una dea Madre.

Aloy lo scopre, quel limite che gli umani hanno superato. Personalmente, forse per aver letto troppi romanzi distopici, vivo con addosso la sensazione che l'occupazione umana sulla Terra sia destinata a raggiungere un picco di serenità e fulgore massimo, salvo poi cominciare a regredire. E, sempre personalmente, penso che quel picco massimo sia stato già superato e che da qualche decennio stiamo vivendo la fase di regresso. Un concetto che in Zero Dawn è espresso benissimo e che mi ha lasciato addosso per molte ore, fino alla mattina successiva a una determinata sequenza, un profondo senso di disagio.

La distopia di un gioco non horror che riesce a farti paura

Succede che, dalle parti del 2060, lo sviluppo tecnologico della cibernetica e della robotica è diventato una costante della vita quotidiana. La FARO Industries è la compagnia egemone per la produzione di questi dispositivi e, come accade con tutte le tecnologie, le sue scoperte e i suoi ingegneri vengono anche reinventati per l'utilizzo per scopi bellici. In quella che è una distopia fantascientifica, la guerra nella Terra dei prossimi anni Sessanta è combattuta tra robot. Non è un problema, finché tutto rimane sotto controllo.

È solo a un certo punto che il signor Ted Faro (notate l'assonanza con "The Pharaoh", "Faraone", ndr), proprietario della compagnia, si rende conto di una piccola ingenuità. I robot che ha prodotto in massa si riproducono senza che la cosa possa venire controllata, indipendentemente dagli umani. Agiscono per conto loro e qualsiasi backdoor che tenti di prenderne il controllo e arginarli non dà frutto. Considerando che questi robot si cibano di biosfera – ossia, sono in cima con ampio distacco alla catena alimentare, che comprende anche gli umani – l'emergenza è evidente.

L'ingenuità del signor Faro è pensare di riuscire ancora a risolverla. Convoca la brillante Elisabet Sobeck per chiederle di trovare una soluzione, dopotutto è una delle menti più geniali di sempre: gli umani trovano sempre una soluzione a tutto. Ma questa volta no. L'unica soluzione trovata dalla dottoressa Sobeck è che non c'è nessuna soluzione. Non c'è un tasto di annullamento, non c'è una retromarcia. Qualcosa è andato terribilmente storto e bisogna tenerselo. E, questa volta, tenerselo significa veder finire la vita così come la si conosceva. E, da lì a poco, la vita e basta.

Quando qualcuno scherzosamente (o almeno spero) chiedeva a Hideo Kojima se egli fosse o no una sorta di indovino, per aver anticipato alcuni dei temi imminenti della nostra società in Metal Gear Solid 2 e Metal Gear Solid 4 prima e in Death Stranding poi, l'autore giapponese rispose in modo particolarmente intrigante: non c'è bisogno di nessuna palla di vetro o di avere arti divinatorie, perché «il futuro si raggiunge per accumulo».

È anche il caso del futuro raccontato da Horizon: Zero Dawn. La monetizzazione di un business che crea apparecchiature da guerra così potenti da poter spazzare via la vita fa crollare l'umanità intera appena mette un piede in fallo. Imprevedibile? Assolutamente no. Bastava avere l'accortezza di interrogarsi su tutte le sfumature possibili, anziché sul reddito netto della FARO Industries a fronte del nuovo business.

La risposta degli umani al disastro messo in piedi dalla FARO è accettare che non ci sia niente da fare. Ovviamente, non si può dire una cosa del genere: ciò che serve per riuscire ad alzarsi ogni mattina e fare qualcosa per sé e per gli altri, anche in una situazione come quella, è la speranza.

Gli alti ufficiali e la Difesa degli Stati Uniti – il Paese preso come riferimento da Horizon – mentono ai civili. Li reclutano e organizzano un'operazione convincendoli che serva a guadagnare tempo per avere nuove armi pronte a respingere i robot e salvare l'umanità. Sono bugie: questa volta l'umanità non si salva.

Il loro sacrificio, invece, serve solo a far guadagnare tempo al progetto Zero Dawn, che prova a piegare quelle tecnologie che hanno distrutto gli esseri umani non a loro favore, ma della vita in sé. Un tentativo disperato, con le IA, di dare un futuro al pianeta Terra con cui gli umani devono solo e semplicemente scusarsi, prima di togliere il disturbo. E un tentativo di disperato di preservare quanto gli umani hanno costruito fino ad allora: arte, conoscenza, bellezza e ingegno che non possono finire nell'oblio.

In estrema sintesi, insomma, il piano degli Stati Uniti è provare a far continuare la vita anche dopo l'estinzione, perché l'estinzione ci sarà. Non ci sono delle scappatoie. I rifugi dove gli scienziati si chiudono a lavorare a questo progetto, consci di avere un timer sopra la testa, sono pieni di psicologi. Chi non ce la fa ad andare avanti ad aspettare la morte può chiedere l'eutanasia.

Ogni documento svelato da Aloy nella pancia della Terra in cui queste persone si sono rifugiate cercando di far andare avanti il seme della vita è un carico di angoscia e ansia. Ogni persona reagisce in modo diverso: c'è il cinico e c'è chi si sente paralizzato. Chi impazzisce per la sua insignificanza, chi è claustrofobico perché non sa come vivere senza più vedere il sole, anche se per poche settimane, e chi vuole almeno provare a fare la differenza per scusarsi con i possibili umani di domani, se il progetto Zero Dawn avrà successo.

«Non riuscivo a dirlo, ma... facciamola finita. Scelgo l'eutanasia, non voglio avere una parte in tutto questo, voglio solo che finisca», dice la dottoressa Susanne Alpert in una registrazione nel gioco, rinunciando al mondo nuovo fatto di ignoti e di paure che Zero Dawn cerca di costruire. «Non fate sentire giudicate le persone che dovessero scegliere l'eutanasia», raccomanda il manuale per gli psicologi che è possibile recuperare in una base del gioco. E ancora: «le persone che condurrete qui stanno per affrontare un forte shock psicologico». Avrebbero scoperto, infatti, che Zero Dawn non era affatto un piano per salvare tutti: morirete, e presto. Solo, proviamo a usare questo tempo per fare qualcosa di utile.

Mentre esploravo queste aree, sospiravo per prepararmi a ogni nuovo documento che trovavo e dovevo leggere o ascoltare: le testimonianze delle persone che sapevano di non avere scappatoie erano laceranti e opprimenti. Il respiro di Aloy che scopriva cosa fosse accaduto e la voce rotta della sua doppiatrice, la meravigliosamente brava Ashly Burch, facevano il resto.

In questo, Guerrilla è stata sorprendente brava, al di là di ogni più rosea aspettativa: Horizon: Zero Dawn non è forte nel suo intreccio nel presente, abbastanza scolastico e lineare, quanto nel modo in cui la vicenda personale di Aloy si incrocia con chi è venuto prima. Il gioco fa un uso narrativo della lore del mondo che è una vera e propria perla.

Non è la lotta di Aloy contro Ade a farvi andare avanti, o la voglia di vendicare Rost, no: è il suo essere speciale, il suo legame forte con Elisabet, il fatto che in mezzo alle tribù con cui condivide il mondo, Aloy sia di fatto un Precursore, ma mille anni dopo. Una che non può credere ai loro dei e alle loro superstizioni, perché non c'è niente di divino nel modo in cui gli umani sono stati spazzati via: hanno fatto tutto da soli. E, nella loro stupidità, si sono portati dietro anche le vite incolpevoli degli altri. Gli animali della Terra ora, sono in larga parte macchine che tentano di emulare e perpetuare ciò che un tempo era carne e ossa. Per gli umani del Tremila è normale: sono sempre state lì. Per quelli del Duemila, è una distopia agghiacciante.

Horizon: Zero Dawn e l'accettare di non avere risposte

Non sono una scienziata, o un medico. Nemmeno alla lontana. Ho studiato tutt'altro e quando, nel 2020, si diffondevano le notizie di un virus che stava piagando la Cina, la mia opinione era quella del personale sanitario, qualunque fosse: se la medicina dice che non è niente, allora non è niente. Se la medicina dice che è grave, allora significa che è grave. So che molti altri, come me, hanno questo stesso approccio: non sono competente abbastanza da avere un'opinione in merito, ma credo fortemente nelle tecnologie che abbiamo sviluppato. Abbiamo fatto tanta strada, magari ci vorrà qualche settimana ma «una soluzione si trova». Non mi aspettavo niente di particolarmente drastico, mi aspettavo solo quello: «una soluzione si trova», sarebbe stata trovata senza sconvolgimenti.

Poi ci siamo trovati chiusi in casa da lì a poco. Ci sono persone che non vediamo da non sappiamo più nemmeno quanto tempo, perché anche quando sono state riallargate le maglie degli spostamenti, ti fai più di una remora ad andartene troppo in giro – non si sa mai. Abbiamo imparato nel 2020, e questa volta nella realtà, che non c'è sempre una soluzione per continuare la vita così come la si conosce. A volte la vita così come la si conosce deve piegarsi a cose più grandi di lei, anche in modo macroscopico come in questo periodo storico. E, per la mia generazione e anche diverse prima, fino a risalire a chi ha vissuto i conflitti mondiali, questo era difficile anche solo da concepire.

Lo era allo stesso modo per gli umani di Horizon: Zero Dawn, ambientato a una quarantina d'anni da ora. La notte che ho passato a giocare dentro quei bunker, tra quei documenti, mi ha rimesso addosso le sensazioni di piccolezza e incertezza che il 2020 ha "regalato" ai bipedi più intelligenti del pianeta, o presunti tali. Chiaramente, al di là degli accorgimenti che abbiamo dovuto applicare alla nostra vita, non c'è niente di paragonabile tra quanto accade in Zero Dawn e quanto è accaduto lo scorso anno – in qualche modo, noialtri abbiamo trovato un modo per arginare via via il problema, anche se non avevamo risposte pronte da dargli quando si è presentato e ci siamo trincerati dietro ad appuntamenti nazionali con provvedimenti restrittivi annunciati in diretta TV. In comune ci sono le sensazioni, semplicemente, riportate a galla e che non mi aspettavo sarebbero riemerse con Horizon.

Ci sono cose fuori dal nostro controllo, dalla misura d'uomo: Ted Faro lo ha capito troppo tardi e ne è stato così terrorizzato da aver deciso di cancellare in modo violento il progetto che voleva perpetuare anche la cultura, la conoscenza, raggiunta fino ad allora: per lui, era la conoscenza aver ucciso la vita. Non la presunzione: l'essere arrivati a conoscere troppo, saper inventare troppo. Gli umani che conoscono troppo e sanno inventare troppo, per Faro, sono un pericolo.

Diceva Pascal che, resisi conto in qualche modo della loro inadeguatezza a rispondere ai grandi dubbi esistenziali, gli esseri umani si dedichino al divertissement: «gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l'ignoranza, hanno deciso di non pensarci per rendersi felici» (vedi B. Pascal, Pensieri, 1670).

Abbiamo una mente troppo sfaccettata, siamo troppo cerebrali, per concederci il tempo di ragionare su quanto siamo piccoli ma sfacciati, su quanto illusoria sia l'idea di padroneggiare un universo di cui non conosciamo niente e in cui siamo semplicemente parcheggiati per un po'. Così, ci teniamo occupati con le attività più disparate.

Molti di noi, ad esempio, si tengono occupati con i videogiochi. Per poi tornare al punto di partenza quando quel divertissement gli ricorda il perché c'è bisogno di divertissement. Un cortocircuito di imposta consapevolezza a cui, proprio come i Precursori in quei bunker, prima o poi devi far fronte.

E questa è una cosa che Horizon, pur in tutto il suo voler piacere a un pubblico grande ed eterogeneo, fa straordinariamente bene, raccontando di una distopia esistenziale a misura d'uomo che ha perso la misura d'uomo, ma facendolo a partire dall'individuo: è così che il messaggio passa più forte. Ed è così che, quella notte di una manciata di giorni fa, un videogioco apparentemente innocente con un'eroina coraggiosa a cui ci si lega subito, peraltro accessibile gratis, mi ha tenuta sveglia e mi ha fatto sentire un po' più umana.

Se volete godervi al massimo Horizon: Zero Dawn approfittando della retrocompatibilità di PS5, vi raccomandiamo di dotarvi di ottime cuffie per apprezzare il comparto sonoro.