Phantom Liberty non è il riscatto di Cyberpunk 2077: è una liberazione

Il nuovo finale di Cyberpunk 2077 rimette finalmente i toni di Night City nelle giuste sfumature, grazie a Phantom Liberty.

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a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

Questo articolo contiene spoiler relativi alla trama di Cyberpunk 2077 e Phantom Liberty. Vi consigliamo di proseguire la lettura solo se avete completato il gioco base e la sua espansione. Oppure se volete leggere un’analisi narrativa e gli spoiler non vi fanno paura, choom.

Si è parlato e detto tanto di Cyberpunk 2077, anche se c’è ancora quel vecchio problema delle recensioni, ma solo raramente si è parlato di quelli che sono stati i veri problemi della produzione di CD Projekt Red.

Sì, Cyberpunk 2077 è stato venduto in maniera del tutto scorretta sulle console old-gen. Sì, anche sulle console next-gen (ora current) non ha funzionato comunque benissimo fino alle patch successive. Sì, la parte GDR sostanzialmente non esiste, tra scelte di storia praticamente ininfluenti se non in un paio di occasioni e un sistema di crescita del personaggio che prima della patch 2.0 era confusionario e rotto.

Ma il vero problema di Cyberpunk 2077 è stato, prima di tutto, relativo alla scrittura.

Barcamenandosi tra alcuni momenti altissimi, tanti medi e ancora più mediocri se non deboli, le scorribande di V all’interno di Night City non sempre hanno avuto lo spessore narrativo che il Cyberpunk di Mike Pondsmith avrebbe meritato. Come scrivevo qualche anno fa, il titolo di CD Projekt Red si è perso nei dettagli sacrificando il quadro complessivo in più di un’occasione.

La main quest, quella del Relic e di Johnny Silverhand per intenderci, vive di suggestioni fortissime e molto potenti, che non sono state sostenute da una trama capace di restituire al meglio il potenziale dei personaggi che hanno vissuto a Night City insieme ai giocatori. Tutto confluisce in una serie di finali che sembrano raffazzonati rispetto alle galvanizzanti premesse iniziali, con un prologo in compagnia del personaggio di Jackie Welles che rimane ancora oggi un gancio fortissimo per entrare nel mondo di Cyberpunk 2077.

Questi problemi, completamente narrativi, sono stati eclissati da quelli relativi al lancio, dalle compilation dei bug che hanno infestato il web, dalle minacce e da tutto ciò che di brutto (e in parte meritato) ha dovuto subire CD Projekt Red e la sua produzione.

Per questo Phantom Liberty è stato etichettato fin da subito come un’occasione di riscatto. Ma CD Projekt Red non ha mai avuto realmente bisogno di un riscatto perché Cyberpunk 2077 ha venduto tantissimo al di là delle polemiche.

Il team polacco, soprattutto quei creativi fan del gioco di ruolo originale (che ora è ) che hanno lavorato per convincere Mike Pondsmith ad ottenere la licenza di Cyberpunk, aveva bisogno di poter dire la propria.

Allontanando l’ingombrante presenza di Keanu Reeves, il cui star power rende impossibile mettere in scena un personaggio realmente negativo come Johnny Silverhand sarebbe dovuto essere, finalmente CD Projekt Red ha avuto l’occasione di raccontare il mondo di Pondsmith con il giusto tenore.

Occasione che il team ha colto con il “vero” finale di Phantom Liberty, che ha risolto i veri problemi di Cyberpunk 2077.

«You play grown up games, you face grown up consequences.»

Phantom Liberty propone un totale di quattro finali. Due sono delle varianti, pur molto significative, di un unico percorso, mentre uno di questi è quello che riscrive di fatto il finale dell’intera trama di Cyberpunk 2077. Il secondo finale va infatti a sovrapporsi alla sequenza che viene innescata con il “punto di non ritorno” rappresentato dall’incontro con Hanako Arasaka, nella storia originale.

In questo finale V consegna Songbird alla FIA, tentando una riappacificazione con Solomon Reed, il personaggio interpretato da Idris Elba. In questo modo V riesce a strappare un accordo alla FIA: un’operazione chirurgica per rimuovere il costrutto di Johnny Silverhand, che gli potrebbe salvare la vita, in cambio di Songbird.

Dal momento in cui Johnny Silverhand infierisce su V chiedendole come intende spendere i suoi 30 denari per aver venduto Songbird inizia, di fatto, la sequenza di eventi che porta a quello che potremmo definire il “true ending” di Cyberpunk 2077.

Mentre Reed è ormai definitivamente distrutto psicologicamente e chiede al giocatore, e quindi a sé stesso, se la questione di Songbird potesse essere gestita in maniera migliore, V lascia Night City abbandonando tutto e tutti per andare a Langley per farsi operare.

Durante il viaggio c’è un emozionante discorso finale tra Johnny Silverhand e V, in cui al personaggio interpretato da Keanu Reeves viene data una ulteriore sfumatura che finora era stata solo accennata.

Nel corso delle missioni principali e secondarie di Phantom Liberty si iniziano ad avere delle avvisaglie del fatto che il rocker comincia ad essere pentito delle sue azioni passate e, mentre inizia a scomparire per sempre come effetto dei sedativi, chiede se almeno V potrà mai perdonarlo.

A questo punto V è sottoposto all’operazione chirurgica che va a buon fine, ma ad un caro prezzo.

Con una costruzione fenomenale in termini di regia e messa in scena, un incravattato Reed sgancia una serie di bombe nella psiche già devastata di V.

Il Relic è stato rimosso con successo, ma i danni fatti dal software hanno costretto i medici a rimuovere ogni impianto e il mercenario non ha più la mente e il fisico adatti per poterne installare di altri. Inoltre, dopo l’operazione, V è stato in coma per due anni.

È il 2079, e mentre Reed ha accettato un lavoro da scrivania dalla FIA, V è sopravvissuto ma ha perso tutto il suo cromo. In un mondo dove cane mangia cane, il mercenario ora è tornato ad essere la nullità che era all’inizio.

In questo frangente è possibile chiamare alcuni degli amici di V, a seconda delle missioni secondarie che il giocatore ha completato prima del finale, ma sono tutti andati avanti in un modo o nell’altro in questi due anni in cui era scomparso. L’unico che dice a V di tornare a Night City è Viktor, il bisturi che promette al protagonista di trovare un modo per reinstallare il cromo senza problemi.

V torna a Night City, che è cambiata molto in questi due anni. La Militech (la forza militare degli NUSA) ha ripreso il controllo della città, costringendo la Arasaka alla ritirata e facendo crollare definitivamente lo shogunato della corporazione. Il suo vecchio appartamento non c’è più e anche Viktor si è venduto ad una corporazione, perché la vecchia bottega esoterica di Misty è ora un negozio della Zetatech.

In un crescendo di malinconia, cinismo e disperazione, anche Viktor conferma che V non può installare più nessun cyberware all’interno del suo corpo. Nella mestizia più totale, V abbandona la clinica mentre una mercenaria ferita della Zetatech entra per farsi ricucire da un bisturi: un eco dal passato che infierisce sulla vita che V non potrà più avere.

Subito fuori dalla clinica V è aggredito da due delinquenti qualunque, contro i quali non ha speranze visto che non ha più nessun cyberware ad aiutarlo. Prima della disperazione finale arriva Misty, anche lei profondamente cambiata, che ha per il mercenario alcune ultime parole di conforto. V ora deve sostanzialmente fare i conti con la propria nuova vita, e realizzare che ora dovrà essere “solo una comparsa” di Night City.

Magari inizierà una carriera come fixer, forse troverà una sua ragion d’essere, o più probabilmente finirà come una delle tante vittime collaterali che i giocatori hanno visto nelle decine di ore che hanno preceduto il finale di Cyberpunk 2077. Una prospettiva ben lontana da quella gloriosa di cui parlava con Dexter Deshawn nel prologo di cui sopra.

Con un lieve sottotesto metanarrativo per cui il protagonista di un videogioco ora si trasforma in uno dei tanti personaggi clone che compaiono sullo sfondo, V si disperde nella folla come una persona qualunque.

Sul filo del rasoio, finalmente

Questo è ciò che rende unico il Cyberpunk di Mike Pondsmith: il cinismo e il totale senso di impotenza in una società allo sfascio che si nasconde dietro ai mohawk, i neon e i fucili di grosso calibro. La sensazione di aver già perso la partita perché il punteggio è stato deciso da persone che hanno già scelto la fossa in cui buttare il nostro cadavere.

Ciò che rende unico Cyberpunk: il cinismo e il totale senso di impotenza dietro ai mohawk, i neon e i fucili di grosso calibro.

Ogni cosa ha un prezzo, anche la vittoria. Quando si festeggia lo si fa annegando la disperazione in un bicchiere di uno scadente alcolico semi-sintetico, annebbiando la mente con droghe devastanti, sfogando i bassi istinti per non sentire che sgradevole rumore fa il silenzio quando si rimane da soli.

Songbird non c’è più, Reed è finito dietro ad una scrivania con i rimorsi nel cassetto, Johnny Silverhand è solo nome che le generazioni dimenticheranno col tempo, e V ora è alla stregua di un pedone che verrà investito da una manovra azzardata dell’auto del prossimo edgerunner che vuole farsi un nome a Night City.

Questa è la potenza di Cyberpunk. Spesso solamente sfiorata nell’avventura originale, ritrovata in pieno in Phantom Liberty.

Questo non cancella gli errori fatti dal management con il lancio del gioco originale, che dovranno essere sempre un monito per il futuro. Ma, alla luce dei prossimi progetti tra cui il live-action recentemente annunciato, questa è una consapevolezza che da giocatori può solo che instillare fiducia nel futuro del team.

CD Projekt Red non aveva bisogno di un riscatto, ma di una liberazione.

Come la povera Songbird ha tentato di volare sulla Luna fino all’ultimo per salvarsi, la speranza è che ora CD Projekt Red sia finalmente libera di raccontare davvero quello che vuole.