Dragon's Dogma 2 sembra composto da due metà arrivate da epoche diverse

Dragon's Dogma 2 sembra costruito da due metà con filosofie diverse, tra quella moderna che valorizza l'esplorazione e quella rimasta ferma a Skyrim.

Immagine di Dragon's Dogma 2 sembra composto da due metà arrivate da epoche diverse
Avatar

a cura di Silvio Mazzitelli

Redattore

Lanciare un cinghiale in faccia a un minotauro, sfuggire a tutta velocità da un golem di pietra solo per ritrovarsi davanti un grifone che vi piomba addosso all’improvviso, entrare in una caverna dimenticata per trovare un’arma leggendaria: in Dragon’s Dogma 2 (se ve la siete persa ecco la recensione) si respira a pieni polmoni il senso dell’avventura ogni qualvolta si decide di avventurarsi nelle sue terre selvagge, e tanto meglio se non si ha una meta precisa in mente.

Il nuovo titolo di Capcom vuole essere la quintessenza del fantasy, già dal suo incipit, che vede un normale popolano trasformarsi in un eroe pronto a sfidare un drago visto dal mondo come una calamità. In sintesi, l’eterna lotta tra uomo e drago alla base del fantasy più puro, sin dai tempi di Dungeon & Dragons, da cui, tra l’altro il gioco prende molto spunto.

Ho passato oltre 100 ore tra Vermund e Battahl, non contando il fatto che appena prima dell’uscita di questo secondo capitolo avevo rigiocato completamente Dragon’s Dogma: Dark Arisen per rinfrescarmi la memoria. Una vera e propria full immersion nel mondo creato da Hideaki Itsuno e dal suo team: gli sviluppatori hanno plasmato un’esperienza diversa rispetto a quelle di molti altri action RPG open world, guidati dalla visione autoriale del director di Capcom che, in tutti gli anni che sono intercorsi tra il primo capitolo e il secondo, non è mai cambiata.

L’originale Dragon’s Dogma era stato purtroppo afflitto da molti problemi durante lo sviluppo, tra un budget risicato, tempistiche non sufficienti e una tecnologia non ancora all’altezza del sogno di action RPG che Itsuno aveva in testa sin dai primi anni 2000.

Lo stesso director aveva riferito più volte di non essere soddisfatto di quella prima versione di Dragon’s Dogma e di voler provare a realizzare un nuovo capitolo più fedele alle sue idee e, quando finalmente ha annunciato l’arrivo del seguito, le mie aspettative sono schizzate alle stelle – complice il fatto che Capcom negli ultimi anni abbia realizzato solo titoli che vanno dal buono fino al capolavoro.

Eppure, tralasciando le sterili polemiche delle microtransazioni (completamente ignorabili e presenti da tempo in molti altri titoli Capcom, cosa che però non aveva mai portato ad alzare questo polverone improvviso), Dragon’s Dogma 2 mi è sì piaciuto molto, ma allo stesso tempo mi ha deluso, soprattutto perché non è stato quel grande salto in avanti che mi aspettavo in ogni aspetto del gioco, anzi: l’aver giocato a Dark Arisen subito prima mi ha fatto notare come in alcuni elementi il titolo sia rimasto praticamente a dodici anni fa.

Insomma, Dragon's Dogma 2 è un gioco formato dalla fusione di due metà molto diverse tra loro: una al passo con i tempi e una rimasta cementata nel passato.

La metà del futuro: un open world unico e affascinante

Come avevo già fatto notare descrivendo alcune peripezie vissute nel mio provato, il punto forte di Dragon’s Dogma 2 è senza alcun dubbio l’esplorazione, in cui si sa dove si parte, ma non dove si arriva.

Ho perso il conto delle volte che, deciso ad andare verso una meta, mi sono ritrovato ore dopo dal lato completamente opposto della mappa, catturato dalla voglia di esplorare un nuovo angolo di mondo dopo svariati imprevisti intercorsi.

Quando Itsuno diceva di voler creare un gioco in cui l’esplorazione non facesse venire voglia di usare il fast travel ero scettico, specialmente perché temevo potesse ripetere gli errori del primissimo capitolo.

L'esplorazione è talmente assuefacente che ho perso il conto delle volte che, deciso ad andare verso una meta, mi sono ritrovato ore dopo dal lato completamente opposto della mappa.
Il primo Dragon’s Dogma era infatti atroce da questo punto di vista: con un solo telecristallo disponibile, era un backtracking della morte continuo, dove le ore si accumulavano mentre ci si ritrovava a ripetere sempre gli stessi percorsi con i soliti nemici da affrontare. Il problema è stato poi in gran parte risolto in Dark Arisen, con l’aggiunta di molti più telecristalli, ma la staticità della mappa, che non aveva le variabili di questo secondo capitolo, pesava comunque durante l’esplorazione.

In Dragon’s Dogma 2 (se interessati, lo potete recuperare su Amazon) il team ha fatto un lavoro lodevole, creando un mondo così vario e imprevedibile che, esplorandolo, non ci si annoia mai, almeno fino a quando non si sarà ormai visto tutto – cosa che avverrà solo dopo decine e decine di ore.

Io stesso, che di solito nei giochi di questo tipo abuso del fast travel per non perdere tempo a ripercorrere strade già battute, mi sono stupito delle volte in cui ho preferito tornare in città a piedi piuttosto che usare una pietra per il teletrasporto.

Il mondo di Dragon’s Dogma 2 ha fascino, è innegabile. Sa incuriosire i giocatori, spingendoli a non lasciare nemmeno un centimetro della mappa inesplorato e solitamente premiandoli con valide ricompense.

Ogni nuova caverna incontrata mi dava quella piacevole sensazione di scoperta mista a curiosità per cui ero smanioso di vedere cosa avrei trovato: una nuova arma o armatura, un tremendo boss da affrontare in uno scontro epico, tanti soldi o magari solo quintali di pesce marcio. Qualunque fosse l’esito, alla fine tornavo alla luce del sole (o, spesso, della luna) soddisfatto e pronto a scoprire altri luoghi unici.

Il combattimento è senza alcun dubbio uno dei motivi per cui l'esplorazione in Dragon’s Dogma 2 è così coinvolgente. Le battaglie sono sempre divertenti e la presenza di ben dieci diverse classi – che è possibile cambiare quando si vuole senza nessun malus o limitazione – riesce a dare al gioco una marcia in più, per cui è difficile annoiarsi. Anche quando si è ormai completamente padroni di una classe, è possibile cambiarla con un'altra per sperimentare un approccio completamente diverso agli scontri.

Certo il gioco, anche in questi due punti di eccellenza, non è completamente esente da difetti. Tornando alle battaglie, le ho trovate sin troppo facili, una volta che si arriva a livelli medio-alti: basta avere un team di pedine ben costruito per disintegrare qualsiasi boss in pochi attimi e, dopo il livello 40, non ci sarà quasi nulla in grado di impensierire il giocatore.

Anche l’originale Dragon’s Dogma da un certo punto in poi diventava estremamente facile, ma la soglia era più alta e bisognava impegnarsi a farmare livelli ed equipaggiamento per arrivare a diventare inarrestabili. Qui invece si diventa troppo forti senza nemmeno provarci, a meno di rushare la storia – cosa che, in questo tipo di esperienze, non ha molto senso.

Nel titolo originale questa mancanza aveva poi portato all’uscita di Dark Arisen, che con Bitterblack Isle riusciva a offrire un certo tasso di sfida anche a livelli molto alti. Il primo Dragon’s Dogma, inoltre, restituiva la selezione della difficoltà, cosa assente in questo capitolo. Vedremo dunque se ci toccherà assistere a un’eventuale espansione anche in Dragon’s Dogma 2.

Altra cosa che mi ha fatto storcere il naso è stata una certa mancanza di varietà nei nemici, soprattutto tra quelli minori, che sono i più facili da incontrare. Quanti di voi si sono stancati di eliminare gli ennesimi goblin, sempre lì pronti a saltar fuori come conigli anche dopo che ne avete uccisi a migliaia?

Inoltre le interazioni ambientali tanto sbandierate nei primi trailer, in cui era possibile far saltare le dighe o tagliare i ponti per sconfiggere i nemici, sono ridotte all’osso e non così fondamentali nell'economia del gioco – tanto che poi, tornando al problema della facilità, si fa prima a picchiare un ciclope alla vecchia maniera piuttosto che tentare di portarlo su un ponte o di distruggere una diga (io tra l’altro ne avrò viste tre distruttibili in tutto il mondo di gioco).

Nonostante questo, è innegabile che Dragon’s Dogma 2 sia riuscito a creare un proprio mondo dotato di una certa unicità rispetto ai vari open world degli ultimi anni.

Il titolo non si piega per adattarsi alle strutture trite e ritrite in stile “lista della spesa” à la Ubisoft, per intenderci – cosa che molti altri giochi fanno – ma prova a piegare le regole dell’open world per soddisfare la visione autoriale del team di sviluppo, riuscendo così a proporre un mondo aperto diverso dalla massa, proprio come hanno già fatto alcuni mostri sacri come Elden Ring e Zelda.

Vorrei dire che il gioco può vantare anche un’ambientazione che riesce a immergere il giocatore nelle sue atmosfere fantasy e nella sua lore, ma non posso, per via di quella freccia nel ginocchio che mi ha colpito ormai quindici anni fa.

La metà rimasta nel passato: una lore da freccia nel ginocchio

Ogni videogioco costruito su un mondo che vuole dare l’illusione di essere vivo ha lo scopo di immergere il giocatore nella sua atmosfera per farlo sentire parte di quel mondo. In Dragon’s Dogma 2 il massimo dell’immersione è quando una pedina cade a caso in uno specchio d’acqua e viene fatta sparire dagli abyssus con tante imprecazioni, soprattutto se era una di quelle assoldate spendendo fior fior di Cristalli della Faglia.

Non importa che in Dragon’s Dogma 2 esistano un migliaio di PNG diversi se poi hanno tutti le stesse quattro o cinque frasi intercambiabili.
Se c’è una parte che mi ha profondamente deluso di Dragon’s Dogma 2 è quella legata alla lore e alla costruzione del mondo di gioco, anche solamente pensando alla coerenza narrativa delle varie quest e a come i vari personaggi reagiscono alle nostre azioni.

Per farvi un esempio concreto: ci sono diverse missioni in cui bisogna infiltrarsi nel castello di Vernworth di notte per rubare documenti o incontrare dei personaggi. Situazione di massima tensione, per cui in teoria bisognerebbe studiare un piano per infiltrarsi stando attenti a non essere scoperti dalle guardie.

In realtà mi sono ritrovato a correre e saltellare allegramente per le sale del castello con le guardie che mi ignoravano totalmente. Una volta sono entrato per sbaglio nella stanza della regina, con lei presente, e pensavo di essere fregato: mi sono avvicinato a parlarle e mi ha detto qualcosa tipo «cosa ci fai qui?» per poi restare totalmente immobile a ignorarmi. Una situazione paradossale e ridicola in cui potevo persino prenderla in braccio e portarla via lanciandola da una finestra senza nessun rischio di essere scoperto e gettato in prigione.

La cosa assurda è che in Dark Arisen certi aspetti erano curati meglio. Ad esempio, provando a infiltrarci di notte in un castello, notavamo che le guardie erano molto più vigili e, se scoperti, si finiva direttamente in prigione senza possibilità di salvezza.

Senza contare che, sempre nel primo capitolo, la memoria dei PNG circa le nostre azioni era spesso meglio gestita. Nulla di trascendentale, ma se aiutavamo un personaggio in una quest, poi nei dialoghi successivi avrebbe citato la cosa.

In Dragon’s Dogma 2 quasi tutti i personaggi resettano la memoria dopo aver avuto a che fare con noi: ci è capitato di aver salvato la vita a diversi personaggi che, dopo averci ringraziato, se interpellati nuovamente tramite il comando “parla”, ci rispondevano male o ci trattavano da perfetti sconosciuti, del tipo «ma tu chi sei? Che vuoi da me?». Una tendenza a quanto pare comune ai giochi recenti, dato che accadeva lo stesso anche in Starfield.

A volte si incrociano soldati con cui si sono affrontate battaglie epiche contro grifoni o persino draghi minori e, dopo la sudata vittoria, invece di avere una parola di ringraziamento o d’intesa ci guardano in cagnesco dicendoci di rigare dritto. L’effetto è lo stesso di Skyrim, dove, anche se salvi il mondo, basta rubare una forchetta o uccidere un pollo per sbaglio per essere trattato come la peggior feccia criminale; solo che Skyrim è un gioco del 2011.

Non importa dunque che in Dragon’s Dogma 2 esistano un migliaio di PNG tutti con un aspetto diverso, se poi, che siano dei contadini, dei soldati, dei nobili o dei bambini, hanno tutti le stesse quattro o cinque frasi intercambiabili. Tutto questo uccide la sensazione del giocatore di trovarsi in un mondo fantasy che esiste indipendentemente da lui.

Anche nelle quest, seppur in molti casi ci siano varie opzioni per arrivare alla soluzione, spesso non sono offerte abbastanza informazioni per capire quali siano le alternative valide, ma ancor più spesso le possibilità di interazione con l’ambiente e con i PNG sono così poche che si riducono a soluzioni grottesche – come quando si è accusati di un crimine e uno dei modi di scagionarsi è quello di saltare addosso all’ipotetico colpevole, invece che cercare indizi e intavolare un dialogo per convincere le guardie della propria innocenza.

Certo, Dragon’s Dogma 2 non è Baldur’s Gate 3 e non vuole esserlo, ma non può nemmeno rimanere fermo a quindici anni fa, per quanto riguarda questi aspetti.

Anche il sistema delle pedine è ancora una volta un grande spreco, dato che queste, nonostante il background interessante, sono sfruttate male e il loro unico scopo è in pratica quello di combattere a fianco dell’Arisen. I dialoghi con loro sono da esaurimento nervoso, dopo che per decine di ore le si sente ripetere sempre le stesse frasi, così come è da esaurimento il loro inspiegabile feticismo verso le scale. Se dopo cento ore sento ancora una volta la mia pedina dirmi che dalla combinazione di diversi oggetti si possono ricavarne di nuovi, penso che la lancerò nel magma...

Inoltre, nonostante alcune funzioni interessanti, come la possibilità di farsi indicare la via di una quest principale oppure di una grotta o di uno scrigno disperso nell’open world, le pedine sono spesso imprecise, oltre che fastidiose.

Se è impostata una quest come primaria, ad esempio, ci sono sempre delle pedine che continuano a propormi di accompagnarmi all’obiettivo, anche se mi sto facendo bellamente i fatti miei esplorando. Provo allora a richiamarla, dicendo che non mi interessa, ma dopo pochi minuti si ripropone nuovamente di accompagnarmi, diventando a tratti esasperante.

Se invece mi devono indicare una grotta o uno scrigno, provo sempre a seguirle, soprattutto se ci sono in ballo caverne o tesori da me non ancora trovati, ma ho perso il conto delle volte in cui è bastato un combattimento per far dimenticare alla pedina il suo compito. Non apriamo poi il discorso suicidi, dato che ormai vivo con l’ansia ogni qualvolta mi avvicino all’acqua o a un precipizio.

Questa superficialità della gestione dei PNG e delle quest si riflette poi sulla narrativa principale, che, tolti alcuni guizzi interessanti sul finale, è costituita per gran parte del tempo da missioni principali indistinguibili da quelle secondarie – e stavolta non è un complimento alle secondarie, come lo sarebbe per un The Witcher 3: Wild Hunt.

Un'opera sola, due metà

Alla fine, Dragon’s Dogma 2 (se volete è disponibile su Amazon) è un progetto strano che, come accennato all’inizio di quest’articolo, appare composto da due metà che sembrano essere uscite da due epoche diverse e poi assemblate a forza.

La prima, quella della struttura dell’open world, moderna e ben fatta; la seconda, quella più puramente narrativa e d’interazione con il mondo e gli altri personaggi, vecchia di almeno quindici anni.

Non posso sapere se l’idea originale che aveva avuto Itsuno ormai anni or sono sia diventata nel corso del tempo troppo obsoleta o se fosse talmente ambiziosa che anche le tecnologie attuali non sono bastate a renderla realtà come voleva. Però, per me è chiaro che la parte rimasta nel passato limita enormemente un gioco che poteva aspirare a diventare un capolavoro.

La cosa più interessante che alla fine ho capito dall’esperienza avuta con Dragon’s Dogma 2, e che la struttura del gioco mette in evidenza, è quale dovrebbe essere il prossimo passo evolutivo per i titoli open world – che ormai, per migliorarsi, non hanno più bisogno di essere ancor più estesi o più ricchi di attività.

Ciò che manca veramente nei titoli di questo tipo è il sentirsi davvero immersi in un mondo vivo che esiste a prescindere dalla nostra presenza, dove ogni interazione con un personaggio può portare a evoluzioni uniche e diverse, dove ogni scelta compiuta ha delle conseguenze e dove è possibile avere sempre varie opzioni per risolvere una stessa situazione, potendo anche pensare fuori dagli schemi. 

L’interattività con l’intero ecosistema di un mondo, che spazia da ambientazioni a PNG, è ciò che meno si è evoluto negli open world degli ultimi anni, ma è anche l’unico punto che meriterebbe veramente di essere preso in esame dalle produzioni future, così che si possa finalmente arrivare a una vera evoluzione di una struttura di gioco rimasta legata a formule ormai vetuste troppo a lungo.