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Il futuro di PlayStation e Xbox potrebbe essere un addio ai tripla A?

Licenziamenti e profonde ristrutturazioni cambieranno i metodi produttivi e gestionali del settore, costretto a reinventarsi per rimanere sostenibile.

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Pubblicato il 05/03/2024 alle 11:25 - Aggiornato il 08/03/2024 alle 13:03

Il terremoto dei licenziamenti che sta colpendo il settore non è solo una questione di costi esorbitanti legati ai progetti tripla A, ma è soprattutto causato da elevati livelli di incompetenza dirigenziale, da persone non adeguate a ricoprire i ruoli a cui sono state assegnate.

Tra gestioni circensi di budget, fantasiose e inarrivabili proiezioni di vendita, finestre di lancio da suicidio annunciato, forsennati inseguimenti di tendenze già in netto calo di gradimento e progetti nati morti ancora prima di venire alla luce, il campionario degli errori è talmente nutrito da essere ben oltre ogni imbarazzo.

Appurato che non esiste l'assunto secondo cui la crescita continua possa coincidere con profitti dalla maggiorazione tendente all'infinito – come evidentemente hanno dimostrato di credere i publisher più rinomati, prima di sbattere il grugno –, era lecito aspettarsi un violento schianto contro questo solido muro di illusioni create da aziende che hanno perso ogni contatto con la realtà. 

Sebbene non sia esente da queste problematiche, seppur in maniera decisamente minore, se dovessimo indicare una delle aziende più virtuose tra le big risulta piuttosto semplice puntare un dito benevolo verso Nintendo: costi relativamente contenuti, nessuna rincorsa tecnologica fine a se stessa, artigianalità al potere, rischi controllati e una gestione che sembra sfuggire da una certa schizofrenia che sta rovinando un settore davvero sin troppo saturo di uscite.

Un futuro con meno rischi?

Ecco, se dovessimo trovare una delle cause collaterali a quanto già detto, questa ricadrebbe proprio su una produzione ipertrofica e senza sosta, che vede uscite continue che solo in parte possono incontrare il favore del pubblico. E anche qualora lo incontrassero, raramente questo coinciderebbe con possibilità economiche tali da consentir loro l'esborso di centinaia e centinaia di euro al mese.

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Se consideriamo che persino un certo Horizon: Forbidden West (lo trovate su Amazon) ha subito suo malgrado l'ingombrante presenza di un colosso come Elden Ring, figuriamoci che impatto devastante ha avuto tutto ciò su produzioni medie e piccole, già di per sé in lotta continua per poter emergere e trovare piccoli momenti di gloria.

Ricordate quando quei dirigenti che evidentemente vivevano sulla Luna si meravigliarono del fatto che Tomb Raider non vendette abbastanza, nonostante fosse di un altro genere e in fondo così diverso da un altro big che uscì nello stesso periodo? Mi piace pensare che quello sia stato l'emblema dell'inizio della catastrofe annunciata.

Oggi, la situazione è peggiorata in modo evidente e probabilmente irreversibile, coi grandi nomi che si prendono la scena e tutti gli altri che devono pesantemente ridimensionarsi o che finiscono puntualmente a gambe all'aria, dando vita a ondate di licenziamenti e profonde ristrutturazioni. Basterebbe leggere la lettera di un ex dipendente Naughty Dog per capire anche quale impatto psicologico ha tutto ciò sui lavoratori.

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Naughty Dog sembrava intoccabile, ma anche al suo interno si stanno verificando alcuni importanti riassetti.

Si poteva erroneamente pensare che in fondo le grandi aziende non sarebbero state mai colpite, poiché la forte situazione finanziaria consentiva loro di non subire troppi contraccolpi. Come però insegna la storia, e come è stato dimostrato dai recenti licenziamenti che hanno toccato colossi come Sony e Microsoft, nessuno è più al sicuro.

Si prospetta dunque una rivoluzione del settore che deve rivedere profondamente budget, metodi di produzione e gestionali, portando a ridimensionamenti che potrebbero dare una frenata alla corsa tecnologica ma che al contempo potrebbero finalmente far fioccare nuove idee. Ce ne sarebbe bisogno, visto che per finanziare i progetti più grossi si ricorre sistematicamente a remastered, remake e giochi live service.

Eppure proprio questi ultimi si stanno rivelando dei continui buchi nell'acqua, certificando come l'interesse (e il tempo a disposizione dei giocatori, che non possono giocare a decine di GaaS alla volta) sia ai minimi storici e come mancando queste fonti di sostentamento si debbano battere vie alternative.

Gli investimenti controllati saranno ben presto la norma, e questo porterà inevitabilmente a progetti dalle dimensioni più contenute, che possano essere più rapidamente profittevoli per le aziende senza dover puntare a obiettivi difficilmente raggiungibili.

Questo significa che non vedremo più i grandi colossal a cui ci ha abituato Sony? Che i progetti dai costi faraonici spariranno del tutto? Assolutamente no, ma è inevitabile che saranno sempre di meno e che le grandi aziende preferiranno destinare gli investimenti sui nomi di grande richiamo su cui si va tendenzialmente sul sicuro.

Al contempo, le nuove IP di potenziale successo dovranno partire dal basso, conquistarsi il proprio successo con maggiore fatica e rivelarsi poi "adatte" per eventuali seguiti che meriteranno budget maggiori.

Più grande e bello da vedere o più piccolo ma con idee vincenti?

All'interno di questa bagarre si vanno a inserire delle strategie di crescita che si sono rivelate completamente insensate. Guardando a Embracer, per esempio, risulta sbalorditivo come siano riusciti ad acquistare e acquistare per poi buttare via, vendere, ridimensionare e non combinare nulla di rilevante rispetto a quanto preventivato.

A questa bulimia senza controllo si affianca una totale assenza di visione, una gestione delle aziende e dei team di sviluppo senza capo né coda e una scarsa contezza delle dinamiche di mercato, che mutano a grande velocità e non attendono di certo cicli di sviluppo che fanno arrivare in ritardo coloro che vogliono agganciarsi all'ultimo vagone del trend del momento.

Non tutte le aziende hanno la forza o la capacità di poter creare delle nuove tendenze, questo va detto, pertanto è più facile vedere decine di emuli senza arte né parte che provano a salire (spesso cadendo rovinosamente) sul grande carrozzone del momento.

Oggi, la situazione è peggiorata in modo evidente e forse irreversibile, coi grandi nomi che si prendono la scena e tutti gli altri che devono pesantemente ridimensionarsi o che finiscono a gambe all'aria, dando vita a ondate di licenziamenti e profonde ristrutturazioni.

Aziende come Koei Tecmo o Ubisoft sono proprio l'esempio di una reiterazione continua che non sempre paga, e non è un mistero come molti utenti e addetti ai lavori guardino con nostalgia ai tempi in cui si sperimentava di più e con progetti più piccoli ma di grande creatività (come Rayman e Child of Light, giusto per nominarne un paio).

Certo, alla luce delle vendite e considerando soltanto i freddi numeri, una delle soluzioni percorribili sarebbe la classica via di mezzo: progetti che possiamo definire doppia A che però hanno dietro team di grandi esperti che hanno deciso di fare un passo indietro per ragioni di sostenibilità.

Questo rinnovamento non avverrà però in tempi brevi e ancora tante altre teste cadranno, prima di capire fino in fondo che ci sono sin troppi errori di fondo in questa corsa forsennata verso il baratro. Il modello attuale sarà ancora la norma per diversi anni, perché per diverse aziende risulta ancora profittevole e le IP da loro immesse sul mercato sono state dei grandi successi. 

Diversificare l'offerta è però una necessità impellente per tutti perché, come ormai noto, basta anche solo un gioco che va male per rimettere in discussione gli equilibri e gli assetti di una realtà che si ritrova d'improvviso costretta a ripianare le perdite coi progetti successivi, con tanto di proverbiale spada di Damocle che pende sulle teste dei dipendenti e mosse disperate, per rimpinguare i conti, che producono gli effetti ormai ben noti.

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Tanti giochi passati in sordina hanno avuto una seconda vita grazie a Game Pass, che rappresenta uno dei modelli sostenibili dell'industria.

In conclusione

La situazione non di certo rosea che sta attraversando il settore non deve indurre in errore e far pensare che l'industria dei videogiochi sia a un passo dal tracollo. Si tratta esattamente del contrario, per quanto tutto ciò possa sembrare di primo acchito paradossale. Lo scorso anno si è registrato un nuovo record di vendite, l'indotto è granitico e i numeri sono semplicemente impressionanti.

Semmai, è la scomposta e aggressiva rincorsa all'oro che sta delineando in modo chiaro tutta la situazione. La volontà di replicare i successi altrui sta facendo alzare sempre più l'asticella dei budget e in sin troppi si sono lanciati all'avventura senza avere gli strumenti (economici, gestionali) o il talento per rendere irrinunciabile la propria offerta ludica.

Se a risaltare più all'occhio sono le riorganizzazioni dei grandi dell'industria, quasi del tutto invisibile è invece ciò che succede nel sottobosco indie o in aziende di medie dimensioni. Lì, la situazione è davvero catastrofica, con progetti che non riescono a svettare, che sono schiacciati dai giochi più rilevanti o che non riescono nemmeno a emergere.

L'industria è una macchina mangia-carne che si trasforma in continuazione, dove non esiste solidità per chi ci lavora e dove sempre più spesso ci si ritrova a lavorare su progetti che tutti (tranne i miopi dirigenti) sanno benissimo quanto è rumoroso il tonfo che faranno.

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