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Pro
- Fedeltà all’originale.
- Qualità tecnica eccellente.
- Più fruibile per i nuovi giocatori.
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Contro
- Manca il guizzo creativo di Kojima.
- Alcune meccaniche e animazioni risentono del design di vent’anni fa.
Il Verdetto di SpazioGames
Delta non osa, non spinge, non sorprende. È un invito, più che una dichiarazione: ai nuovi giocatori apre una porta dorata verso un mito, ai veterani offre solo un riflesso nitido di ciò che già conoscono. Bello, sì, ma con la consapevolezza che la leggenda appartiene a un’altra epoca.
Informazioni sul prodotto

- Sviluppatore: Konami, Virtuos
- Produttore: Konami
- Piattaforme: PS5 , XSX , PC
- Generi: Stealth game
- Data di uscita: 28 agosto 2025
Ci sono saghe che travalicano la definizione di semplici videogiochi. Hanno plasmato il medium, lo hanno trascinato in territori narrativi e concettuali che, all’epoca, sembravano proibiti. Metal Gear Solid è una di queste.
Hideo Kojima, con la sua ossessione per il cinema, le spy-story e il commento meta-ludico, ha partorito esperienze che hanno marchiato a fuoco intere generazioni. E poi c’è Snake Eater, l’episodio che più di tutti ha saputo unire l’anima del blockbuster a quella del survival, con una potenza evocativa che ancora oggi fa tremare i polsi.
Perciò, quando Konami ha annunciato Metal Gear Solid Delta: Snake Eater (che trovate su Amazon), remake senza Kojima, senza il vecchio team, con promesse di rilancio ma anche col fantasma ingombrante dell’operazione commerciale, molti hanno trattenuto il respiro.
La domanda vera, quella che aleggia dall’inizio, è semplice e brutale: serviva davvero un remake di Metal Gear Solid 3?
La missione virtuosa
Delta prova a rispondere con una doppia anima. Da un lato si presenta come un’operazione filologica, che non osa toccare il cuore del gioco, la sceneggiatura, i dialoghi, i ritmi, la regia delle cutscene.
Dall’altro lato, però, si piega alle logiche moderne, rifacendosi il trucco con l’Unreal Engine 5, con texture iper-realistiche, foliage rigoglioso e sistemi di illuminazione next-gen. Il risultato è, come spesso accade con questi ibridi, affascinante e spiazzante.
Entrare nella giungla di Delta è come rivivere un sogno che si ricordava nitidamente, ma che ora si presenta con dettagli mai visti prima. Le foglie vibrano al passaggio di Snake, la pioggia si posa sui vestiti, il fango sporca la mimetica e il volto del protagonista.
È un ritorno a Groznyj Grad che non ha nulla da invidiare a certi standard tripla A contemporanei. Eppure, per chi ha giocato l’originale su PlayStation 2, questa operazione ha un retrogusto quasi straniante, come vedere un vecchio amico sottoposto a chirurgia estetica: bello, sì, ma forse un po’ artefatto.
È un ritorno alla purezza, in un’epoca dove il videogioco mainstream ha spesso paura di lasciare il giocatore solo con se stesso. Però, non si può negare, alcune rigidità oggi pesano. I movimenti di Snake non hanno la fluidità che un pubblico moderno si aspetta, le hitbox non sempre convincono, e certe animazioni, pur aggiornate, sembrano rimaste ancorate a un’epoca diversa.
Konami ha giocato una partita furba: mantenere intatto tutto ciò che è sacro, smussando appena gli angoli. Le cure e il survival sono stati resi più accessibili e veloci, con interfacce moderne che aiutano a non perdersi tra menu macchinosi. Anche la gestione dell’inventario ha subito una svecchiata, rendendo meno frustrante equipaggiare oggetti e cambiare armi. Ma non aspettatevi rivoluzioni: Delta è più una riverniciatura che un restauro radicale.
Il cuore del gioco resta la storia, e qui la fedeltà è quasi religiosa. Naked Snake, The Boss, il legame indissolubile tra maestro e allievo, l’ombra della Guerra Fredda, le domande su cosa significhi obbedire, tradire, sopravvivere: tutto è lì, con la stessa forza di allora.
I dialoghi iconici sono riproposti senza modifiche, la colonna sonora rimane intatta, persino le voci originali sono state recuperate. È un’operazione che trasuda rispetto per il materiale di partenza, ma che inevitabilmente si condanna a un paragone impietoso: nel 2004 questa storia era rivoluzionaria, nel 2025 resta potente, ma meno dirompente. Per chi l’ha già vissuta, l’effetto wow lascia spazio a una nostalgia malinconica.
E qui sorge il vero nodo: a chi parla Delta? Ai veterani della saga, che hanno già consumato l’originale in lungo e in largo, offre un tuffo nel passato rifinito con grafica scintillante. Ai nuovi giocatori, invece, propone un’esperienza che può risultare tanto affascinante quanto ostica.
Perché la lentezza, i silenzi, la necessità di ragionare e osservare, non sono più pane quotidiano per una generazione cresciuta a pane e battle royale. Delta diventa così una sorta di porta d’ingresso, una versione deluxe del mito, che però non osa adattarsi troppo per paura di tradire.
Il comparto tecnico, come detto, è sontuoso. Unreal Engine 5 regala panorami mozzafiato, texture degne di un film Pixar iperrealista e dettagli che sfiorano l’ossessione. Il motion capture dà vita a espressioni facciali incredibilmente fedeli, capaci di trasmettere emozioni sottili. Tuttavia, non tutto è oro: in alcune sezioni la resa dei modelli appare troppo plastica, e qualche glitch qua e là tradisce la fretta di un progetto che, in fondo, doveva convincere più il mercato che i puristi.
A livello di audio, invece, Delta è una gioia. Le musiche di Harry Gregson-Williams continuano a inchiodare allo schermo, e gli effetti sonori (dalle foglie che scricchiolano al rumore sordo dei colpi) sono riprodotti con una precisione quasi maniacale. La scelta di riproporre le voci originali è stata rischiosa ma azzeccata: il timbro di David Hayter rimane insostituibile, e anche se il lip-sync non è sempre perfetto, il carico emotivo è intatto.
Il serpente cambia pelle
Ciò che manca, inevitabilmente, è l’anima di Kojima. Nonostante la fedeltà millimetrica, si percepisce un vuoto. Manca quel tocco folle, quell’irriverenza che si manifestava in dettagli fuori contesto, in trovate di game design che spiazzavano e rompevano la quarta parete. Delta è impeccabile, sì, ma anche prevedibile. È come un film restaurato in 4K che però non sorprende più nessuno. Ti ricorda perché lo amavi, ma non ti fa amare qualcosa di nuovo.
Eppure, sarebbe ingiusto stroncarlo. Perché Metal Gear Solid 3 rimane un capolavoro, e Delta, pur senza inventarsi nulla, lo ripropone in una veste che permette a chi non c’era di viverlo con occhi moderni.
È un remake rispettoso, elegante, mai eccessivo. Ma è anche un remake che non osa, che non rischia, che preferisce la sicurezza dell’operazione di facciata alla possibilità di rielaborare davvero un mito. Per questo resta a metà strada: bello, avvolgente, ma incapace di sostituire l’originale.
Alla fine, Delta è come un vinile rimasterizzato in digitale: i puristi continueranno a preferire il suono sporco e graffiato del vecchio disco, mentre i nuovi arrivati potranno godersi una versione più pulita e accessibile.
Non diventerà il nuovo punto di riferimento, ma può diventare la scintilla che spingerà una nuova generazione a scoprire la saga e, magari, a innamorarsene come accadde a noi.
Insomma, giocare a Delta è stato come aprire un album di fotografie: riconosci ogni scatto, ricordi ogni emozione, ma senti che qualcosa è cambiato. Konami ha fatto il compitino, confezionando un remake visivamente impressionante, tecnicamente solido e rispettoso del materiale originale.
Ma l’assenza di quel guizzo, di quella follia visionaria che solo Kojima sapeva donare, pesa. Non è un delitto, non è un fallimento, anzi: Delta è un gioco che merita di essere giocato, soprattutto da chi non ha mai sfiorato il classico del 2004.
Forse ci troviamo davanti a un nuovo inizio per la saga, oltre che a un’operazione di conservazione. Ma un Metal Gear senza Kojima si sente. Ed è proprio in quella mancanza che risiede il limite invalicabile di un remake che non vuole (o non può) diventare leggenda.