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Pro
- Promesse mantenute in termini di vicinanza al primo gioco.
- Parkour e combat system evoluti.
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Contro
- Alcune parti ancora un po' sbilanciate.
- Si notano dei palesi riempitivi di cui si poteva fare a meno.
Il Verdetto di SpazioGames
Informazioni sul prodotto

- Sviluppatore: Techland
- Produttore: Techland
- Piattaforme: PC , PS5 , XSX
- Generi: Azione , Gioco di Ruolo
- Data di uscita: TBA
Dying Light: The Beast segna un punto di svolta nella direzione artistica e narrativa del franchise, rappresentando non solo un'espansione concettuale dell'universo originale, ma anche un deciso ritorno alle atmosfere cupe, claustrofobiche e disperate che avevano reso il primo capitolo un cult tra gli appassionati di action horror in prima persona.
Se Dying Light 2 (ecco la nostra recensione) aveva scelto la strada dell'apertura e della verticalità esasperata in ambientazioni urbane vaste e soleggiate, The Beast abbandona volutamente quei toni, preferendo scenari rurali, boschivi e paludosi.
La scelta in questione - senz'altro azzeccata - è in grado di restituire quella tensione costante, quel senso di pericolo immanente e quell’angoscia viscerale che solo la natura selvaggia, abbandonata dall’uomo e reclamata dal virus riesce a evocare con tanta efficacia.
La domanda fondamentale che si staranno ponendo gli estimatori della serie, a questo punto, è inevitabilmente una: Dying Light: The Beast riesce ad appaiarsi al primo capitolo, facendo dimenticare la corda tirata un po' troppo nel secondo gioco?
Dying Light: The Beast è ciò che serviva alla saga?
Il cuore del gioco è tornato a essere Kyle Crane, protagonista del primo titolo che fa il suo ritorno in scena dopo un destino rimasto volutamente ambiguo.
La sua trasformazione in qualcosa di non più interamente umano è la base tematica su cui si costruisce l’intera esperienza: un essere in bilico tra due mondi, incapace di tornare indietro ma ancora legato a brandelli della propria umanità.
Questo dualismo diventa motore non solo narrativo, ma anche ludico. Il giocatore sperimenta il mondo sia come sopravvissuto, fragile ma ingegnoso, che come “bestia”, potente ma instabile, in quello che è a tutti gli effetti un equilibrio pericoloso che rende ogni scontro e ogni decisione carica di tensione.
La scrittura non è di certo priva di cliché, ma tutto sommato riesce a mantenere un tono coerente, maturo e coinvolgente, evitando il melodramma e restando ancorata a tematiche più intime come la perdita, l'identità e il senso di colpa, pur non offrendo chissà quale grado di introspezione.
Senza scendere troppo in dettagli, e considerando che il vero fulcro d'interesse per Dying Light: The Beast è l'equilibrio dei suoi sistemi di gioco, è bene specificare sin da subito che ancora una volta le fondamenta vengono poggiate sul parkour e sul combattimento corpo a corpo, due elementi che hanno sempre definito l’identità della serie e che in questo nuovo capitolo vengono rifiniti in modo significativo.
Il movimento attraverso l’ambiente risulta più fluido e reattivo grazie a un sistema di animazioni migliorato, a un’ottimizzazione della fisica del personaggio e a un redesign degli ambienti che, pur essendo meno verticali, presentano una grande varietà di ostacoli, salti e passaggi alternativi.
La sensazione di libertà rimane dunque intatta, anche se declinata in modo diverso: non si scala più un grattacielo per sfuggire a un’orda, ma si scivola nel fango, ci si arrampica su rami spezzati, si saltano barriere naturali nella speranza di non essere notati e ci si produce in funambolismi che danno sempre grande soddisfazione.
Anche la varietà delle situazioni non può che essere un altro punto di forza: il gioco alterna con intelligenza momenti di esplorazione rilassata a sequenze di puro terrore nelle aree al chiuso, inseguimenti, imboscate improvvise e boss fight dall'impatto visivo e ludico importante. E questo decreta la capacità del team di sviluppo di saper offrire al giocatore un titolo che non si fossilizza su azioni banali e telefonate.
Cosa c'è di diverso?
Il sistema di combattimento è stato ripensato in modo più profondo. Le armi, sebbene ancora basate sul crafting, appaiono più bilanciate, con un feedback migliorato e una maggiore enfasi sulla fisicità degli impatti. Il sistema di danni contestuali è stato evoluto e adesso, soprattutto su un PC di fascia alta (unica versione da noi provata), colpire un nemico in punti diversi produce effetti differenti e di grande credibilità, offrendo alla vista momenti splatter non indifferenti.
Le creature infette non sono più semplici bersagli da abbattere, ma vere e proprie minacce strategiche che agiscono in branco, si adattano all’ambiente e sfruttano ogni occasione per colpire. Di notte, come noto, la tensione sale vertiginosamente: il ciclo giorno-notte, marchio di fabbrica della serie, trova qui una delle sue espressioni migliori, con variazioni non solo estetiche, ma comportamentali.
Le creature diventano più aggressive, rapide e spietate, obbligando il giocatore a cambiare radicalmente approccio e costringendolo a sgattaiolare via o fuggire al più presto da situazioni che appaiono sin da subito complesse da gestire.
A tal proposito, viene in soccorso del giocatore proprio la nuova modalità bestia, che rappresenta uno degli elementi più interessanti e riusciti del titolo. Non si tratta solo di una trasformazione temporanea o di una semplice abilità attivabile: è un vero e proprio secondo stile di gioco, con dinamiche proprie, potenzialità differenti e una gestione del rischio intrinseca.
Usare i poteri della bestia consente di ribaltare le sorti di uno scontro in modo spettacolare, soprattutto contro gli avversari più ostici, ma ogni utilizzo avvicina Kyle sempre di più alla perdita della propria umanità. Questa tensione tra potere e controllo è cruciale per l’intera esperienza di gioco. Le missioni principali sfruttano questa dualità, mettendo spesso il giocatore di fronte a scelte morali e tattiche che hanno un impatto tangibile sullo svolgimento della storia e sulle reazioni degli NPC.
Anche le missioni secondarie, pur non sempre eccellenti, offrono una buona varietà e talvolta sorprendono per la qualità della scrittura, riuscendo a costruire piccoli archi narrativi che ampliano il contesto e danno profondità al mondo di gioco. Alcune sono palesemente dei riempitivi o delle attività di poco conto, ma questo è inevitabilmente lo scotto da pagare per un titolo che aderisce giocoforza a questa struttura.
Uno dei pochi aspetti criticabili del gioco è il bilanciamento della difficoltà in alcuni punti, ma le patch in arrivo dovrebbero sistemare gran parte delle criticità. Alcuni picchi sembrano poco calibrati, soprattutto quando il giocatore non ha ancora accesso a un arsenale sufficientemente ampio o a poteri significativi.
La mappa, pur ben realizzata, può risultare dispersiva in alcune sezioni, con zone meno ispirate rispetto ad altre. Alcuni elementi secondari - come incarichi ripetitivi o missioni di raccolta - restano legati a vecchie dinamiche ormai datate e faticano a trovare un reale interesse, specie nel contesto di una storia principale così densa e focalizzata.
In termini di contenuti, Dying Light: The Beast offre un pacchetto generoso. La campagna principale può essere completata in meno di venti ore, ma esplorando tutte le missioni secondarie, segreti e attività extra, il computo totale aumenta in modo importante. Questo dato, unito alla presenza della co-op, a un buon livello di rigiocabilità e a un sistema di sfide giornaliere, conferma la volontà del team di sviluppo di offrire un’esperienza longeva e completa.
Anche il supporto post-lancio, se sarà in linea con quello visto in passato, promette aggiornamenti costanti. Non male per un gioco che è partito idealmente dall'essere un DLC fino a diventare col tempo un'opera compiuta di tutt'altre dimensioni.
Visivamente, il gioco è notevole. Non parliamo di un salto generazionale, ma di un’evoluzione decisa rispetto agli standard precedenti. I modelli dei personaggi sono dettagliati, le texture ambientali curate, l’illuminazione dinamica è particolarmente efficace e riesce a dare carattere e atmosfera a ogni zona della mappa.
L’utilizzo delle luci naturali nelle foreste o dei riflessi sulle superfici bagnate crea ambienti vivi e credibili, mentre il design delle creature raggiunge nuove vette di inquietudine. Le animazioni facciali non sono perfette, ma si attestano su un buon livello, e il framerate regge bene anche nei momenti più concitati.
Ribadiamo, naturalmente, che si tratta solo ed esclusivamente della versione PC e che l'opera è stata provata su un sistema che monta una 5080 custom. Al netto dell'impatto visivo e dello scarto che intercorre con hardware meno performanti, va comunque ammesso che appare un titolo molto pulito e con rarissimi singhiozzi.