Dragon Age The Veilguard | Recensione - C'era una volta il dark fantasy
Una nuova, controversa direzione per Dragon Age, che con The Veilguard abbandona il dark fantasy per sposare toni decisamente più leggeri. Pagherà?
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a cura di Gianluca Arena
Senior Editor
In sintesi
- Una nuova direzione per un franchise fermo da dieci anni.
- Buon combat system.
- Getta a mare molti dei punti di forza del franchise.
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: BioWare
- Produttore: Electronic Arts
- Distributore: Electronic Arts
- Testato su: PS5
- Piattaforme: PC , XSX , PS5
- Generi: Gioco di Ruolo
- Data di uscita: 31 ottobre 2024
Ci siamo presi tutto il tempo necessario per sviscerare Dragon Age The Veilguard, consci che, per i motivi che saranno sicuramente noti ai nostri lettori, questi ultimi avrebbero preferito l'esaustività e la completezza in luogo della tempestività, che ci era comunque stata preclusa.
E, dobbiamo ammetterlo, si è trattato di una delle recensioni più difficili dell'anno per noi, per una serie di motivi che parranno chiari quando sarete arrivati in fondo alla nostra disamina.
Siamo d'altronde dinanzi ad uno dei titoli più attesi ma anche più vituperati dell'ultimo biennio, capace di dividere la critica ed il pubblico come pochi altri hanno fatto in tempi recenti. Se siete curiosi come lo eravamo noi quando abbiamo ricevuto il codice per questa recensione, non dovete fare altro che continuare a leggerla.
Chi lascia la strada vecchia per la nuova...
Dragon Age The Veilguard riprende il filo narrativo intessuto da Inquisition ormai dieci anni or sono, raccontando una storia intimamente connessa a quella del suo predecessore, che avviene pochi mesi dopo la conclusione degli eventi in esso narrati.
Ci guarderemo bene dallo sconfinare in territorio spoiler – ma, per quanti non avessero giocato Inquisition, un bello story recap potrebbe essere necessario.
Varric rappresenta il personaggio che più di ogni altro incarna questo ideale fil rouge, visto che, dopo aver vestito i panni del gregario nel titolo precedente, ascende qui al ruolo di primo comprimario, essendo proprio lui a mettere su una squadra che si occupi di ritrovare Solas, potente mago elfico nonché un altro dei membri del party del giocatore in Inquisition.
Per motivi inizialmente poco chiari, Solas aveva nascosto la sua vera identità ai suoi precedenti compagni di viaggio e al resto del mondo, e adesso sembra intenzionato a rompere il velo che separa il reame dei mortali dal mondo dei demoni, azione che farebbe sprofondare tutto il Thedas nel caos più completo.
Sin dai primi istanti di gioco, dopo un tutorial estremamente esaustivo, la storia è permeata dalla sensazione che un vecchio amico rappresenti il nuovo villain, solo per scoprire, già tre o quattro ore dopo, che non tutto è come sembra.
Il giocatore impersonerà Rook, un personaggio che non ha alcun background apparente e che, come tale, può essere plasmato a piacimento non solo nell'aspetto fisico ma anche nei tratti della sua personalità, tra scelte più o meno incisive nei dialoghi e durante alcuni snodi narrativi fondamentali.
Questo risultato è stato ottenuto con una serie di scelte impattanti sui dialoghi, sulle opzioni che il giocatore può intraprendere durante di essi, sulle animazioni facciali dei personaggi e finanche sulle prove recitative del cast di doppiatori, sulle quali torneremo nella sezione dedicata.
La nuova direzione intrapresa non solo cozza drammaticamente con tutto quello che il franchise era stato fin qui, riallacciando una debole continuità tematica con il solo Inquisition, ma mal si addice agli argomenti trattati, a nostro avviso, e al contesto, che parla di un reame sull'orlo della catastrofe.
I momenti in cui i personaggi sembrano prendersi sul serio vengono giustapposti con altri di segno completamente opposto, in cui, alternativamente, o si discute di insignificanti minuzie o di argomenti importanti, come l'autodeterminazione o l'orientamento sessuale, ma in maniera sbrigativa e totalmente fuori contesto.
L'impressione che emerge con forza già dopo una manciata di ore è che l'inserimento di molte delle questioni su cui vertono soprattutto le storie dei companion sia forzato, quasi come se fosse necessario farlo per spuntare una casella in una ipotetica lista, senza che ci sia niente di "sentito" e valorizzato davvero.
La sensazione generale che la scrittura restituisce è allora quella di uno zibaldone mal miscelato, dove si prova a proiettare delle tematiche pregnanti del mondo reale in uno scenario fantasy che le rigetta, perché, semplicemente, non era stato inizialmente pensato per quello. Come la panna nella carbonara, per intenderci.
Se le nuove leve troveranno meno evidente questa scollatura, i giocatori di vecchia data ed i fan più oltranzisti di Bioware ne rimarranno colpiti come da un treno in corsa, e, come nel nostro caso, annegheranno nella perplessità. Bisogna dare atto tanto al team di sviluppo quanto al publisher per il coraggio dimostrato, perché cambiare in maniera così radicale la direzione di un franchise che è sul mercato da tre lustri non dev'essere stata una decisione facile da prendere – ma ci duole riportare che il risultato finale non solo non migliora l'esperienza di gioco, ma finisce con il renderla insipida e senza capo né coda.
Al netto di queste problematiche, la storia, e in un certo qual modo anche il gameplay, denunciano anche una certa linearità, figlia della visione creativa di Bioware, che non ha voluto diluire eccessivamente la narrazione pur non lesinando sui contenuti secondari.
Per i giocatori che avranno la pazienza di cercare tra le quest opzionali, tra tanto piattume, qualche barlume della Bioware che fu si paleserà, nella forma di uno o due archi narrativi più interessanti.
Il rapporto con Davrin e quello con Solas, in particolare, scevri da abbellimenti e da derive eccessivamente "pop", dimostrano che qualcosa della riconosciuta abilità nella scrittura dei dialoghi del team canadese è sopravvissuto al tempo e alle nuove direzioni impresse al franchise.
Proprio per questo, nonostante The Veilguard rappresenti una prova piuttosto incolore, conserviamo una piccola fiammella di speranza per il futuro, che Mass Effect Andromeda e Anthem stavano per spegnere del tutto.
Finché si combatte va bene, ma il resto...
Se c'è una cosa che invece ci ha convinto, e che ha in un certo qual modo salvato Dragon Age The Veilguard da un'insufficienza, è il combat system: detto che ormai delle meccaniche tipiche dei giochi di ruolo è rimasto davvero poco, visto che siamo dinanzi ad un gioco d'azione fatto e finito, i miglioramenti rispetto a Inquisition sono evidenti in diversi campi, dalla rapidità d'esecuzione alla precisione nella risposta ai comandi, passando per la spettacolarità generale, degna di un action game character-based.
Come da tradizione del franchise, il giocatore ha il controllo diretto di uno solo dei tre membri del party schierabili, ma può richiamare in tempo reale fino a tre abilità per ciascuno degli altri due in caso di bisogno.
Ogni abilità ha un tempo di cooldown variabile, e generalmente accorciabile tramite specifiche skill o oggetti particolari, ed il controllo del personaggio è diretto ed immediato, con un feeling dei colpi reattivo e pesante, lontano dalla goffaggine (lo amavamo, ma va ammesso) di Dragon Age Origins.
Per quanto anche il sistema di combattimento non sia esente da pecche in termini assoluti, se è vero che tende ad essere piuttosto ripetitivo e che la varietà dei nemici che saremo chiamati a combattere rimane piuttosto limitata per una produzione di questo tipo, siamo comunque dinanzi ad uno degli aspetti migliori (se non il migliore in assoluto) del pacchetto, complici anche delle scelte di accessibilità davvero ampie.
Dal menu dedicato alla difficoltà, infatti, è possibile impostare un gran numero di parametri specifici, come la lunghezza delle barre della vita dei nemici, quanti danni questi infliggono e quanti il giocatore ne infliggerà a loro, la precisione e la frequenza del puntamento automatico per le magie e così via.
Tra tante cose discutibili, questa è una di quelle che ci piacerebbe rivedere non solo nei prossimi episodi del franchise ma, più in generale, in tanti titoli similari.
Duole constatare, come anticipato, che però l'anima da gioco di ruolo è andata assottigliandosi sempre più, non solo durante i combattimenti, ma anche per quanto concerne la libertà lasciata al giocatore nella scelta dell'equipaggiamento e nelle build.
Ognuno dei sette compagni che potremo arruolare riveste un ruolo predefinito senza che il giocatore possa in alcun modo influire né sulla sua crescita né sull'acquisizione di nuove abilità, lasciando il solo protagonista come un vero e proprio foglio bianco, al quale, dal ventesimo livello in poi, saranno concesse tre diverse specializzazioni.
Questa scelta si traduce in combattimenti piuttosto stereotipati, seppur meccanicamente validi, senza guizzi particolari e senza che il giocatore si senta davvero il principale attore sulla scena: più che le sue scelte, a determinare la vittoria o la sconfitta sono il tempismo e la giusta abilità utilizzata contro il giusto nemico.
Parimenti, siamo rimasti piuttosto delusi dal loot system: se Dragon Age Origins era un gioco che faceva della ripulitura dei dungeon e delle missioni facoltative dei preziosi serbatoi di armi ed equipaggiamento raro con cui leccarsi i baffi, The Veilguard ricompensa il giocatore che esplora le mappe con maggiore dovizia con pezzi di equipaggiamenti perlopiù sorpassati, che potrebbero rivelarsi utili solo qualora venissero ripetutamente potenziati alla forgia presente nel Faro, il ritrovo del gruppo.
Non potendo poi disfarsene, questi andranno ad ingolfare presto il menu dell'equipaggiamento, rappresentando una delle più grosse occasioni perdute della produzione, da punto di forza che era.
Controverse, per quanto progettate con un level design certosino, anche le mappe di gioco: la scelta di non unirle in un overworld totale, pure già vista in passato, significa che Dragon Age The Veilguard non si apre mai davvero al giocatore, trincerando l'esplorazione delle aree sbloccate dietro caricamenti piuttosto brevi ma anche molto frequenti, che potrebbero facilmente venire a noia dopo quaranta e passa ore di gioco.
Inappuntabile ma controverso
Come il suo predecessore, Dragon Age The Veilguard gira su Frostbite Engine, uno dei motori più potenti sul mercato, anche se ovviamente la versione che muove questo sequel è un'evoluzione di quella vista all'opera nel 2014.
Ci sono alti e bassi, ma nel complesso, tenendo anche conto del lunghissimo periodo di gestazione e delle numerose problematiche cui il prodotto è andato incontro in fase di realizzazione, il risultato complessivo è più che buono, con parecchi scorci di grande impatto e performance generalmente buone.
Ma andiamo con ordine: se i capelli dei personaggi e le loro movenze rappresentano uno dei fiori all'occhiello della produzione, ci sono tanti altri piccoli elementi che concorrono alla creazione di un'immagine pulita, ad una messa in scena di livello probabilmente non alla pari con le produzioni first party più scintillanti su PS5 (da God of War a The Last of Us, passando per Horizon: Forbidden West) ma comunque degna di nota.
Ci riferiamo ai numerosi particellari durante le battaglie, che impattano solo in minima parte sul frame rate target, o sulla bontà dell'implementazione del ray tracing, evidente e puntuale qualora si scelga la modalità grafica che privilegia l'aspetto visivo, soprattutto durante le scene notturne o in presenza di specchi d'acqua.
A proposito di modalità grafiche, nella versione per l'ammiraglia Sony da noi testata sono presenti i due consueti preset, uno che privilegia la grafica, con target a 30 fps e risoluzione nativa di 1080p (upscalati con FSR 2 fino a 4k), ed uno che favorisce invece le prestazioni, con un target di 60 fps a scapito della risoluzione, che si abbassa a 720p (portati a 1440p sempre con FSR 2).
Nonostante la forte componente di azione, allora, questo potrebbe essere uno di quei rari casi in cui i 30 fps su console rappresentano una soluzione davvero percorribile.
Eppure, se a livello tecnico c'è poco da lamentarsi, da parte nostra, e ci rendiamo conto che questa sia una valutazione profondamente personale, non siamo proprio riusciti a digerire la direzione artistica, che porta alle estreme conseguenze il taglio fumettoso e quasi cartoonesco dei volti, delle proporzioni, del look di gran parte del cast di personaggi principali che già si era notato in Inquisition.
Come abbiamo ampiamente anticipato nella prima parte di questa recensione, dell'anima oscura e disperata di Dragon Age Origins (e, in misura minore, del secondo capitolo) non rimane più nemmeno l'ombra, con la serie che sembra aver preso definitivamente una strada ed un taglio molto più "giovanili".
Se la direzione artistica del primo, indimenticabile capitolo era annoverabile nel sottogenere del dark fantasy, Dragon Age The Veilguard non riuscirebbe a rientrarci nemmeno con uno sforzo titanico, com'era d'altronde evidente sin dai primi trailer di annuncio.
In buona parte questo discorso si traspone anche al comparto sonoro, come accennavamo in apertura di questo pezzo: buono per quanto riguarda le musiche e la colonna sonora, firmata a quattro mani da Hans Zimmer e Lorne Balfe, il reparto audio è assai meno convincente per quanto concerne il doppiaggio, con diverse scelte delle voci che ci hanno lasciati perplessi (a partire da quella del protagonista di sesso maschile) e qualche accento inspiegabilmente più forte di altri.
Le prove recitative sono in linea con la direzione che il team di sviluppo ha impresso al franchise, ma mancano di pathos in alcuni momenti di una certa gravità e non convincono mai completamente nei momenti di maggiore rilassatezza.
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Voto Recensione di Dragon Age The Veilguard | Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Sistema di combattimento veloce e ben strutturato.
-
Buona prova del Frostbite Engine.
Contro
-
Direzione artistica confusionaria.
-
Scrittura inconsistente.
-
Del gioco di ruolo non è rimasto quasi nulla.
-
Fraintende l'essenza di Dragon Age.