In un mondo di videogiochi competitivi, sii quello che vuole farci cooperare

I giochi di Fares come It Takes Two hanno creato esperienze in cooperativa uniche nel mondo dei videogiochi, che sia questa la strada da seguire per un genere che portiamo nel cuore fin da Metal Slug?

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a cura di Silvio Mazzitelli

Redattore

Oggi è un bel giorno per chi ama i videogiochi. Escono infatti due titoli molto attesi, ossia Monster Hunter Rise e It Takes Two. Se avete letto le recensioni di entrambi qui su SpazioGames, saprete già che stiamo parlando di due giochi di grande qualità e che, per quanto siano molto distanti tra loro come genere, hanno un importante aspetto che li accomuna come esperienza di gioco: la cooperativa.

Monster Hunter è uno di quei titoli che deve gran parte del suo successo alla possibilità di essere giocato in cooperativa, questo ben prima dell’uscita di World, capitolo che ha sdoganato la serie e l’ha fatta uscire dalla sua nicchia. In Giappone Monster Hunter è sempre stato adorato, specialmente su console portatili come PSP e 3DS, e quando le funzionalità online non erano ancora presenti, spesso i giocatori nipponici si trovavano anche casualmente, in giro o sui mezzi pubblici, per giocarlo insieme.

Monster Hunter è indubbiamente una delle serie più importanti tra quelle giocabili in cooperativa, tanto che perde molto del suo fascino se giocata solamente in single player. Bisogna ammettere però che il concetto di cooperativa alla base del titolo è estremamente semplice: si tratta infatti di quattro giocatori che si uniscono per sconfiggere mostri di volta in volta sempre più forti con l'avanzare del gioco. Non fraintendetemi, chi vi scrive è un grandissimo appassionato della serie Capcom e non vede l’ora di iniziare ad andare a caccia su Rise.

Bisogna però ammettere che, guardando a It Takes Two e al precedente lavoro del visionario Josef Fares, A Way Out, l’ex regista, insieme al suo studio Hazelight, sta cercando di creare qualcosa di nuovo nel panorama dei giochi in cooperativa, qualcosa che non ha paura di osare e di sperimentare, andando oltre rispetto a molti altri titoli che si sono fermati in lidi più sicuri.

Da qui sorge dunque la domanda: perché prima dell’arrivo di Fares non si è mai osato di più con i giochi in cooperativa?

Videogiochi in cooperativa: un’evoluzione necessaria

Quando si parla di titoli multiplayer, in sostanza il mercato è sempre stato dominato da titoli basati sul PvP, in cui i giocatori, in un modo o nell’altro, si affrontano per decidere chi è il migliore. I titoli con la modalità co-op sono sempre stati in minoranza, anche se comunque sempre presenti. La maggior parte di questi però ha sempre visto i giocatori unirsi tra loro per affrontare un nemico comune.

In passato, ad esempio, quando il multiplayer online non esisteva e le sale giochi erano un punto di ritrovo di molti appassionati, spopolavano i picchiaduro a scorrimento, come Street of Rage o Double Dragon, in cui due giocatori potevano collaborare per sconfiggere ondate di nemici sempre più forti. Altri generi con la stessa filosofia che andavano forte all’epoca erano gli sparatutto su rotaia come Time Crisis o gli sparatutto arcade come Contra o Metal Slug.

Al giorno d’oggi la modalità cooperativa si è fortunatamente insediata in altri generi, basti pensare a Left 4 Dead, Destiny, Borderlands o Diablo, per fare qualche esempio noto. La filosofia di fondo rimane però sempre quella di “noi contro il mondo” e non sono tantissime le eccezioni a questa formula. Tra i titoli che hanno provato a fare qualcosa di diverso non posso non citare Portal 2: l’avventura di Valve è ancora oggi una delle esperienze più divertenti da giocare con un amico.

Anche Sea of Thieves è qualcosa di unico nel panorama dei titoli giocabili in cooperativa, grazie alla libertà d’azione che lascia ai giocatori. Ci sono poi i titoli Nintendo, che hanno sempre fatto scuola anche in questo campo con esperienze alternative come Super Mario Party e i platform co-op come Super Mario 3D World e Animal Crossing, per citare alcuni significativi esempi.

I titoli nominati sono tutti giochi in cooperativa con un focus legato al gameplay. Quando è arrivato A Way Out, Fares ha mostrato che può esistere anche altro in questo genere, un titolo che può coinvolgere i giocatori anche nella narrazione oltre che nelle fasi di gameplay. Già con il suo primo titolo, Brothers: A Tale of two Sons, Fares aveva dimostrato di riuscire a coinvolgere il giocatore in una storia diversa dalle altre grazie alla possibilità di controllare i due fratelli protagonisti in contemporanea. Il titolo era un po’ un prototipo dei futuri giochi in cooperativa ormai marchio di fabbrica del director, anche se la modalità cooperativa vera e propria arrivò soltanto nella versione per Nintendo Switch.

Per evitare fraintendimenti, non esiste un tipo di cooperativa migliore di un’altra ovviamente, ci sono giocatori che prediligono titoli nello stile di Left 4 Dead o di Monster Hunter e altri che preferiscono un titolo più rilassato o coinvolgente a livello narrativo. Se però all’interno di un genere esistono le possibilità di creare qualcosa di nuovo e interessante, perché non esplorarle? Maggiori sono le opzioni di scelta e migliore sarà il mercato videoludico.

Una strada ancora da esplorare

Se pensiamo a quanto fatto da Fares prima con A Way Out e ora con It Takes Two, entrambi con pubblicazione EA Originals, sembra quasi un miracolo che il primo titolo abbia venduto oltre tre milioni di copie. Nessuno avrebbe scommesso su un titolo senza nessuna modalità single player e con un pass che permette a un amico di giocare senza possederne lui stesso una copia. Eppure A Way Out è andato benissimo, contro ogni aspettativa, segno che il pubblico non disdegna affatto questo tipo di esperienze.

Per quanto molti sedicenti esperti dicano che i videogiochi facciano male ai rapporti sociali, è evidente a chi conosce un minimo il mondo videoludico che non sia affatto così. Basti vedere quanto nell’ultimo anno il videogioco abbia aiutato tante persone, permettendo loro di giocare insieme quando non potevano incontrarsi. Alla fine giocare insieme a un videogioco non è né meno né più divertente del giocare a calcetto con gli amici, perché ognuno di noi sceglie come meglio passare il tempo insieme alle persone care.

Fares in diverse interviste (a proposito, avete letto e guardato la nostra?) dice che i suoi titoli, nel loro genere, sono i migliori perché nessun altro ha ancora fatto qualcosa di simile e in effetti non gli si può dare torto. Pensate dunque a quante altre possibilità possono esserci per i titoli in cui la cooperativa non è semplicemente un’aggiunta ma il fulcro dell’esperienza: un titolo della mole di Skyrim potrebbe diventare un’avventura fantasy da vivere insieme a un party di amici, ognuno con il suo ruolo specifico e dove si possa decidere insieme come affrontare ogni scelta e missione.

In passato titoli come Neverwinter Nights di Bioware e il recente Divinity: Original Sin 2 hanno inserito delle modalità simili, anche se l’avventura era pensata maggiormente per single player. In aggiunta era stato anche inserito un editor con cui creare le proprie avventure personali. Sarebbe bello creare un titolo che sia una sorta di D&D virtuale con un editor semplice e veloce che permetta di creare le proprie avventure da zero e viverle con i propri amici.

Un titolo à la No Man’s Sky potrebbe diventare un’avventura spaziale dove esplorare nuovi mondi insieme a un equipaggio intero e non più in solitaria, mentre si segue una storia principale. Stesso concetto si potrebbe applicare a un gioco piratesco o d'avventura à la Tomb Raider. Persino un titolo tratto da un anime o da un fumetto potrebbe essere giocato in questo modo: prendendo come esempio Dragon Ball, ogni persona potrebbe scegliere un personaggio e vivere la storia dal suo punto di vista mentre gioca con gli altri; potrebbe anche capitare di assistere a un torneo Tenkaichi e di fare il tifo per un amico mentre combatte, o persino di finire per sfidarlo.

Certo, queste sono idee ipotetiche e bisognerebbe poi tradurle sul lato tecnico, ma sono sufficienti per capire quanto ancora possa evolvere il genere dei titoli pensati principalmente per la cooperativa.  Quanto fatto finora è solo l’inizio di un cammino che ha un'enorme potenzialità da esprimere e che pochi hanno osato intraprendere per i rischi che effettivamente esso comporta. Solo Hazelight sembra essersi decisa a percorrere questa via, incurante dei rischi e speranzosa che qualcun altro segua i suoi passi.

Lo stesso Fares, già dopo l’uscita di A Way Out, aveva espresso il desiderio che altre software house potessero ispirarsi allo stile del suo gioco per creare nuove esperienze simili. La speranza perciò è che It Takes Two ispiri altri a seguire questa via, così da poter ampliare ed evolvere l’offerta di titoli pensati principalmente per la cooperativa. L’augurio è che questo particolare genere possa continuare a evolversi, perché potrebbe nascondere alcune delle esperienze videoludiche più belle degli anni futuri e non possibili per un titolo solamente in single player.

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