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In un mondo di giochi sterminati, abbiamo bisogno dei The Callisto Protocol

The Callisto Protocol è un'esperienza raccolta e piuttosto lineare: in un mondo di giochi titanici, in realtà questo è un bene: il mercato è bello perché è vario.

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Avatar di Gianluca Arena

a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Pubblicato il 16/12/2022 alle 11:15

The Callisto Protocol, dopo mesi di attesa, è finalmente sbarcato su PC e console da qualche settimane – come avrete letto nella nostra approfondita recensione, a cura dell'ineccepibile Domenico Musicò.

Se la suddetta analisi prendeva in considerazione i parametri classici per una recensione, in questa sede vorremmo invece fare una riflessione differente, legata all'esistenza stessa di titoli come quello di Striking Distance Studios.

Per una serie di fattori che andremo ad enumerare e sviscerare, infatti, giochi come questo sono fondamentali per il mercato odierno, al netto dell'effettiva qualità e dei gusti personali, perché altrimenti affogheremmo in un mare di produzione tutte uguali e tutte ugualmente affette da gigantismo.

Il mondo è bello perché è vario

Detto che per un'approfondita analisi del titolo in ogni suo aspetto vi rimandiamo alla nostra recensione, dobbiamo aprire questo pezzo con una premessa: noi in redazione, come tutti, amiamo gli open world.

la solitudine ed il silenzio non sono buoni compagni di viaggio...

La capacità di immergere totalmente il giocatore in un mondo brulicante e sconfinato, l'immensa quantità di contenuti (anche se spesso ridondanti), la libertà di azione e di movimento, sono tutti aspetti che apprezziamo e che non sarebbero stati possibili senza l'ascesa degli open world, permessa dalla tecnologia ma favorita anche dai gusti del pubblico, che continua a premiare questo tipo di produzioni da diversi anni.

Nondimeno, non di soli open world può vivere il mercato, per una serie di motivi che andremo ad elencare oggi; primo tra tutti, banalmente, quello legato alla varietà dell'offerta ludica e al rischio di ingrossare ulteriormente le fila della standardizzazione del medium videoludico, che ha aderito in massa al canone dell'open world soprattutto durante le ultime due generazioni di console.

Non tutti i generi videoludici si prestano bene ad un approccio a mondo aperto e, soprattutto, non tutti i franchise presenti sul mercato funzionano bene applicando loro questa formula.

Facciamo un esempio: venendo da due avventure open world, pur molto diverse tra loro, come Horizon Forbidden Wesy e Watch Dogs Legion (sì, lo so che sono in ritardo, ma il backlog è sconfinato ed il tempo di un redattore contatissimo), l'esperienza concisa e lineare di The Callisto Protocol ha portato una ventata di freschezza rispetto alla pesantezza ed alla ripetitività che inevitabilmente affiorava nei due titoli succitati, che pure, fatte le debite proporzioni, sanno offrire contenuti anche secondari di buona qualità.

Le espressioni facciali sono tra i fiori all'occhiello della produzione

C'è insomma qualcosa di rassicurante e di affascinante nelle avventure più contenute e lineari come The Callisto Protocol, e non dimentichiamoci anche dell'oggettiva difficoltà di mantenere un taglio cinematografico in titoli mastodontici come quelli succitati.

Nell'opera di Striking Distance Studio, come d'altronde in altri congeneri simili, viste le dimensioni ridotte è tutto molto più controllato, con dialoghi interamente doppiati, scene di intermezzo accuratamente calibrate, espressioni facciali credibili perché soggette ad una gamma di emozioni inevitabilmente inferiore.

Nonostante il budget stratosferico, giusto per tornare ad uno degli esempi già portati, l'avventura di Aloy nell'Ovest proibito, incantevole anche dal punto di vista della recitazione virtuale e del doppiaggio, non ha potuto giocoforza mantenere anche per i contenuti opzionali gli standard qualitativi della quest principale, con un evidente scollamento tra un incarico principale (interamente doppiato e ricco di scene di intermezzo) ed uno secondario, dove magari basta un documento testuale o un audio log per iniziare una quest priva di personaggi secondari o cutscene.

E questo, si badi bene, non è colpa di Guerrilla o di qualunque altro sviluppatore al momento sul mercato, ma è fisiologico quando si offre all'utenza un titolo con una mappa enorme e contenuti per ottanta e passa ore di gioco.

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Il tempo è tiranno

E qui veniamo anche ad un altro aspetto da non tralasciare, soprattutto considerando che diversi studi di mercato hanno confermato come l'età media dei videogiocatori si sia alzata, perché oggi ci sono almeno due o tre generazioni di videogiocatori (tra cui chi vi scrive) che sono cresciute a pane e videogiochi, avendo iniziato con le console a 8, 16 o 32 bit e avendo mantenuto il cordone ombelicale con questa passione.

Con l'aumentare dell'età, aumentano le responsabilità, gli impegni lavorativi, le incombenze quotidiane, e diminuisce inevitabilmente il tempo a disposizione per giocare. Sicuri, quindi, che sia sempre un bene offrire titoli da quaranta, cinquanta o settanta ore?

Il videogiocatore lavoratore impiegherà settimane, se non mesi, a portare a termine un gioco a mondo aperto, a meno di ignorare tutti i contenuti secondari e svilire quindi non solo il lavoro svolto dal team di sviluppo ma anche l'investimento fatto in sede di acquisto (o download).

Conosciamo diverse persone che, nonostante una grandissima passione per i videogiochi, si astengono dallo giocare titoli come un The Elder Scrolls, un Dark Souls o un The Witcher 3 (lo trovate su Amazon, a proposito) perché spaventati dalla mole titanica di contenuti e dal tempo richiesto per godere di essi, perdendosi alcune tra le esperienze più coinvolgenti e affascinanti che il nostro amato medium ha da offrire.

Che simpatico umorista!

D'altronde, dal loro punto di vista, con sessioni di gioco serali da un paio di ore l'una al massimo, ci vorrebbero tra i due e i tre mesi a portare a termine uno qualunque di questi titoli, con il rischio che la noia emerga prima dello scorrere dei titoli di coda. Come biasimarli?

La creatura degli ex sviluppatori di Dead Space, invece, come tutti i titoli di qualità della durata media di dieci o dodici ore, è abbordabile anche da chi, pur amando i videogiochi, ha visto assottigliarsi drammaticamente negli anni le finestre di gioco, finendo con l'accontentarsi delle briciole di tempo concesse dal lavoro, dalla famiglia, dallo sport e così via.

Ecco perché un mercato in cui i titoli di qualità si distribuiscano più o meno equamente tra mega produzioni capaci di offrire centinaia di ore di gioco e titoli con valori produttivi altrettanto alti ma dalla durata complessiva decisamente inferiore è il meglio che ci possiamo augurare, considerando che oggi si videogioca dall'età scolare fino ad anche sopra i cinquant'anni, e questa forbice è destinata ad ampliarsi sempre di più, con il tempo, con l'invecchiamento degli attuali ventenni e trentenni.

L'inclusività è un tema caro al nostro medium soprattutto negli ultimi anni (seppur con colpevole ritardo) e, a nostro avviso, può arrivare a riguardare anche l'assenza di tempo e la possibilità di sentirsi videogiocatori e coltivare la propria passione anche disponendo solamente di cinque o sei ore a settimana da dedicarvi.

Una delle scene più memorabili del gioco

Sometimes, less is more

Last but not least, ci sono da considerare un paio di aspetti tecnici, legati al level design ed al livello di dettaglio e di pulizia del codice. Partiamo dal primo: inevitabilmente, quando si lascia il giocatore a briglia sciolta in un mondo aperto ed esplorabile a piacimento, si cede qualcosa (talvolta più, talvolta meno, a seconda dell'abilità del team di sviluppo) in termini di level design.

I corridoi della Ishimura del primo Dead Space, così come la stazione di polizia di Raccon City, sono luoghi progettati in maniera certosina, oseremmo dire quasi "artigianale", limitati nell'ampiezza ma zeppi di dettagli, dove il pericolo è sempre dietro l'angolo e dove ogni svolta, ogni chiave nascosta, ogni anfratto portano a qualcosa.

L'assenza stessa di indicatori a schermo vista in The Callisto Protocol è figlia della linearità dei livelli, che possono per questo vantare un level design mediamente più valido rispetto a produzioni le cui mappe enormi richiedono il continuo ricorrere ai quest marker per non perdere completamente la bussola.

Collegato a questo aspetto, c'è il livello di dettaglio: se è vero che le produzioni con budget più alti riescono comunque a tenere alto il LOD (level of detail, ndr) anche spalmandolo su mappe ciclopiche, team di sviluppo ugualmente talentuosi ma con meno soldi a disposizione (pensiamo al team Experiment 101, autore del sottovalutato Biomutant) sono spesso costretti a sacrificare i dettagli, togliendo qualcosa all'esperienza del giocatore.

Il campionario di mostruosità è ricco ed aberrante

Non è un caso se The Callisto Protocol, che pure non è inattaccabile dal punto di vista meramente tecnico, come ben sapranno i giocatori PC, abbia stupito in positivo per resa dei particolari, espressioni facciali e qualità delle animazioni, pur girando su un motore non proprietario come Unreal Engine 4.

In una generazione di console che si sta trascinando dietro quella precedente, il cui ciclo vitale è stato innaturalmente prolungato dalla scarsità di scorte di PS5 e Xbox Series X, un titolo controllato e lineare come quello di Striking Distance Studios può riuscire nell'intento di mostrare veri scorci di next-gen ad un pubblico fin qui parzialmente deluso dalla necessità di sviluppare titoli tenendo in mente anche PS4 e Xbox One, uscite sul mercato ormai quasi dieci anni fa.

Similmente, sebbene anche questo discorso rimanga soggetto al livello di ottimizzazione che ogni singolo team di sviluppo ritiene di implementare, il codice di un gioco dalle dimensioni inferiori è generalmente molto più pulito al lancio rispetto a quello di un grosso open world, dove spesso abbondano bug, problemi con la fisica, glitch e missioni secondarie bloccate.

In conclusione

Personalmente, sto giocando ora a The Callisto Protocol e in redazione abbiamo pensato fosse interessante farne uno spunto di discussione con i nostri lettori: in un mercato dominato, giustamente, dalle produzioni open world, in cui sentirsi completamente immersi in universi virtuali spesso stupefacenti, c'è comunque ancora spazio per le esperienze lineari e relativamente brevi?

Secondo noi sì, e in questo pezzo vi abbiamo spiegato perché: l'alternanza e la possibilità di scelta sono sempre benvenute, e consentono ad ogni tipologia di videogiocatore (dallo studente con tante ore a disposizione al lavoratore che lotta continuamente con l'orologio), di non perdere contatto con il nostro medium preferito. Dopotutto, è anche questo un modo per far giocare davvero tutti.

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