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Facebook accusata di aver raggirato i bambini per incassare dalle microtransazioni

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Avatar di Stefania Sperandio

a cura di Stefania Sperandio

Ex Editor-In-Chief

Pubblicato il 27/01/2019 alle 17:23

Non è un periodo facile per Facebook, che dallo scoppio del caso Cambridge Analytica in poi ha dovuto affrontare un bel po’ di polemiche relative alla privacy e alla gestione dell’enorme quantità di informazioni fornite dai suoi utenti. Così, dopo essersi confrontato anche con la Commissione Europea, Mark Zuckerberg deve ora far fronte a un’indagine divenuta pubblica di recente, che accusa Facebook Inc. di aver introdotto nei videogiochi sul suo social network Facebook delle microtransazioni ingannevoli, volte a raggirare i minori per portarli a spendere denaro reale – senza che, in alcuni casi, questi fossero nemmeno pienamente consapevoli che quanto gli veniva chiesto era denaro vero e non virtuale.

Il caso sta venendo portato avanti dai giudici della U.S. District Court, che fanno specifico riferimento ai giochi Angry Birds, PetVille e Ninja Saga, in un periodo compreso tra il 2010 e il 2014.

facebook hq

Secondo quanto emerge dalle carte legali, i bambini venivano incoraggiati a spendere denaro e Facebook avrebbe anche ignorato gli avvisi di alcuni suoi dipendenti, che avevano proposto l’integrazione di misure che proteggessero proprio i minori dalle spese incontrollate. Non solo, perché secondo chi ha portato avanti il caso, agli stessi dipendenti veniva negato il permesso di concedere il rimborso ai genitori che si accorgevano delle spese dei loro figli sui giochi del social network.

I dati ci dicono che, dal 12 ottobre 2010 al 12 gennaio 2011, i minori hanno speso nei giochi su Facebook $3,6 milioni. C’è un dato, però, ancora più interessante per il caso: circa il 9% di questa cifra è stato restituito in seguito a richieste di rimborso che hanno trovato accoglimento. Secondo la Federal Trade Commission, la media per le attività imprenditoriali è di rimborsi per lo 0,5%, quando si arriva all’1% la percentuale viene definita “alta”. Una qualsiasi percentuale che porti a rimborsi dal 2% in poi è invece considerata come indicativa di una possibile attività ingannevole.

mark zuckerberg facebook

Già nel 2011, la dipendente di Facebook Tara Stewart aveva riconosciuto che alcuni giochi potevano essere problematici per i minori, poiché le spese non apparivano come legate a denaro reale, anziché a valute in-game. In seguito, si è arrivati a un sistema che richiedeva al minore di inserire nuovamente i sei numeri finali della carta di credito del maggiore che ne aveva la tutela, in modo da prevenire le spese non autorizzate. Secondo Stewart, però, ci sono state ulteriori spese anche in seguito, perché magari un genitore concedeva la carta di credito al piccolo per regalargli qualche contenuto in-game, non pensando che i dati sarebbero poi rimasti disponibili e accessibili sull’account per futuri nuovi utilizzi.

La questione, insomma, è particolarmente spinosa. In merito, Facebook non ha voluto fornire risposte ufficiali di recente, rifiutandosi di commentare. La compagnia di Mark Zuckerberg ha però fatto sapere che tutti i documenti emersi sono stati resi disponibili proprio da Facebook Inc. stessa, che ne metterà a disposizione anche di ulteriori per fare chiarezza sul caso nelle sedi legali, se necessario. Inoltre, il social ha voluto sottolineare che dal 2016 ha introdotto una nuova policy per i rimborsi in seguito a spese eseguite sui social da minori.

Fonte: Eurogamer.net

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