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Immagine di Dino Crisis | L'ora amarcord
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Dino Crisis | L'ora amarcord

Abbiamo rigiocato la prima ora di Dino Crisis, il Resident Evil con i dinosauri di Capcom.

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Avatar di SirFran Snee

a cura di SirFran Snee

Pubblicato il 07/02/2019 alle 10:34
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Il Verdetto di SpazioGames

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Dino Crisis merita di essere riportato a vedere la luce, fuori dalla coltre di polvere del dimenticatoio dove è piombato, nonostante le ovvie problematiche aggirabili senza troppi problemi. Un sistema di controllo davvero old-school, ma sostenuto da un gameplay pregno di tensione e bivi decisionali, tra cui soprattutto la scelta fra i piani di Gail o di Rick, classificandolo ancora oggi come un titolo che vorremmo rivedere sulle nostre potenti console, ma di cui non abbiamo ancora notizie di un remake.

Era una notte buia e… silenziosa, se non fosse stato per un improvviso fruscio inquietante nel cuore della foresta. Un tonfo sordo, a ritmo costante e ansiogeno, in inesorabile avvicinamento, facendo rizzare i capelli di fronte a un’incredibile e anacronistica realtà. In un climax ascendente di paura e sangue, si apre il sipario sul remix di Resident Evil e Jurassic Park, nel lontano 1999 da Capcom, una fucina che si stava lanciando a corpo morto sul genere horror, stavolta facendo leva sul fascino dei dinosauri con Dino Crisis. Il primo di una breve serie di videogiochi, rimasta sempre più coperta dalle polveri del tempo, è animato dal fascino misto a terrore che l’uomo prova dalla notte dei tempi, un sentimento ancestrale tenuto in vita fino a oggi, con un picco di interesse e conseguente produzione mediatica alla fine degli anni Novanta dello scorso secolo. Anche il papà di Resident Evil, nonché uno dei game designer più influenti e prolifici della storia, Shinji Mikami, è diventato preda di questo mondo, ideando un titolo dal valore che trascende le sue meccaniche non del tutto innovative e appartenenti a un genere nato solo pochi anni prima, il survival horror 3D.

Come sarebbe rivivere oggi la prima ora di gioco? Avremmo a che fare con una certa complessità non indifferente per la produzione di vent’anni or sono, catapultati in un edificio asettico, dalle fredde superfici metalliche, i loghi quasi propagandistici, la tecnologia che si sarebbe sviluppata dieci anni dopo, essendo ambientato nel 2009, e gli angoscianti segni di una disperata lotta contro creature totalmente inaspettate da scienziati e impiegati della base. Il colore rosso sangue è l’unico elemento che stona contro la sterilità presupposta delle sale, una sentinella di un pericolo forse terminato, forse non ancora superato. L’esplorazione degli ambienti dal colore e luce dai toni scuri è un punto a favore che merita di essere riscoperto, anche grazie all’alta qualità del level design. In un gameplay costellato di enigmi con i codici DDK da decifrare, le combinazioni da segnare alla fine del libretto di istruzioni (un’abitudine che suona così arcaica, quasi quanto lo stesso libretto) e i classici rompicapi risolvibili solo grazie allo spirito di osservazione del giocatore, il ritmo e lo stile sono magistralmente basati sulla categoria Metroidvania.

Amarcord Dino Crisis

Il comparto grafico è costituito da poligoni, determinando una svolta rispetto al fratello maggiore, Resident Evil, mentre i personaggi sono sì un po’ abbozzati nelle forme e dalle animazioni poco dettagliate, ma l’ambiente di gioco risulta dettagliato e ricco di tocchi di classe. Dettagli che rendono il gioco più realistico e con tracce di realtà in un mondo virtuale, reso ancora più vivo dalla colonna sonora e dagli effetti speciali. Le tracce composte da Makoto Tomozawa, alternate a silenzi quasi rumorosi che ci esplodono in testa, danno voce alle emozioni che si sono impadronite di noi e di tutto quanto ci circonda, grazie anche agli effetti sonori, vòlti in particolare per dare vita ai dinosauri che incontriamo abbastanza di frequente. Questo si accompagna a un gameplay riuscito molto bene, affiancato da una tecnica piuttosto claudicante: negli scontri con i simpatici lucertoloni, l’ansia sale soprattutto in virtù di un sistema di controllo 2D del personaggio, facendo estrarre a Regina l’arma con il tasto R1 e sparando con il grilletto posto sul tasto X. Il pathos viene dunque tenuto sotto controllo dalla limitata dinamicità di questi momenti di gioco, ma il numero limitato di munizioni disponibili non può fare altro che tenere ben alta l’adrenalina, soprattutto nei momenti di fuga all’impazzata dal tirannosauro Rex. Una corsa resa possibile solo tenendo premuto il tasto Quadrato.

Amarcord Dino Crisis la prima ora

Correre, sì ma dove? Verso la salvezza ovviamente, ma non solo. Le decisioni che prenderemo non sono fini a se stesse: ci condurranno a ben tre finali, una caratteristica affatto inusuale per l’epoca, in un contesto dove i giochi venivano confezionati con l’obiettivo di generare vere emozioni forti e dove l’esplorazione unita alla narrazione stavano sperimentando diverse forme espressive. Questa è una delle meglio riuscite, considerando che in questo modo viene anche aumentata la rigiocabilità del titolo, stimolata anche dalla presenza di costumi e contenuti sbloccabili. E’ possibile anche accedere a sezioni di gioco inesplorate rispetto alla partita precedente. L’esplorazione è ancora oggi fresca e ben elaborata, spingendoci a spremere le meningi e ad ammirare l’inventiva di alcune situazioni, raggiungendo un punto così alto dal quale non si può che scendere, fino a decretare la chiusura di una serie che avrebbe potuto respirare un po’ più di longevità.

Dino Crisis merita di essere riportato a vedere la luce, fuori dalla coltre di polvere del dimenticatoio dove è piombato, nonostante le ovvie problematiche aggirabili senza troppi problemi. Un sistema di controllo davvero old-school, ma sostenuto da un gameplay pregno di tensione e bivi decisionali, tra cui soprattutto la scelta fra i piani di Gail o di Rick, classificandolo ancora oggi come un titolo che vorremmo rivedere sulle nostre potenti console, ma di cui non abbiamo ancora notizie di un remake.

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