Oltre la sua sbalorditiva estetica retro-futurista e la sua narrazione avvincente, il film Metropolis del 2001, diretto da Rintarō su sceneggiatura di Katsuhiro Ōtomo, è un'opera di profonda risonanza filosofica. Nascosto tra le architetture monumentali e le strade affollate di robot e umani, pulsa un cuore di domande eterne che interrogano la natura della nostra esistenza. Il film trascende il genere della fantascienza per diventare una potente allegoria sulla discriminazione, una commovente esplorazione dell'identità e una severa ammonizione contro la sete di potere. Attraverso il viaggio dei suoi personaggi, Metropolis ci costringe a confrontarci con l'interrogativo più fondamentale di tutti: cosa significa, in definitiva, essere umani?
Metropolis di Rintarō e Katsuhiro Ōtomo torna sul grande schermo in versione restaurata per un evento speciale in programma il 13, 14 e 15 ottobre.
Cultura POP è media partner dell'evento. L’elenco delle sale e prevendite sono disponibili su nexostudios.it.
Lo specchio della discriminazione: umani contro robot
La città di Metropolis non è solo un'ambientazione, ma un personaggio a sé stante, un organismo sociale stratificato che incarna la disuguaglianza. La sua struttura a più livelli, con un'élite benestante che vive nei cieli e una classe lavoratrice relegata nelle zone inferiori, funge da palcoscenico per un conflitto che è la metafora delle più oscure tendenze umane. La discriminazione tra umani e robot è il motore della tensione sociale del film. I robot, onnipresenti e indispensabili per il funzionamento della città, sono visti dalla popolazione impoverita non come alleati, ma come la causa della loro disoccupazione e miseria. Questo risentimento, fomentato da leader populisti, esplode in atti di violenza e in una vera e propria caccia al "diverso", una forma di xenofobia tecnologica.
Il film, in questo, è straordinariamente preveggente. La rivolta anti-robot non è presentata come una semplice lotta luddista, ma come un complesso fenomeno sociale che riflette il razzismo, la lotta di classe e la ricerca di un capro espiatorio. I robot sono una classe subalterna, priva di diritti, sfruttata e disumanizzata, nonostante svolgano compiti essenziali. La crudeltà con cui vengono trattati e distrutti rivela la fragilità della morale umana, pronta a sgretolarsi di fronte alla paura economica e al pregiudizio. Metropolis usa la fantascienza per puntare un dito contro il presente, mostrandoci come la tendenza a disumanizzare chi non riconosciamo come "uno di noi" sia un pericolo sempre attuale, indipendentemente dal fatto che l'altro sia fatto di carne o di metallo.
"Chi sono io?": il viaggio esistenziale di Tima
Al centro del vortice filosofico del film c'è Tima, l'androide creato a immagine della figlia defunta di Duke Red. Il suo arco narrativo è una delle più toccanti esplorazioni del concetto di identità nell'animazione. All'inizio, Tima è una "tabula rasa", un essere senza memoria né consapevolezza di sé, la cui unica, costante domanda è "Chi sono io?". Questa domanda, ripetuta con innocenza infantile, diventa il leitmotiv della sua esistenza. Il suo viaggio a fianco di Kenichi non è solo una fuga fisica dai suoi inseguitori, ma un percorso di formazione accelerato verso la coscienza.
Tima impara a conoscere il mondo attraverso l'interazione, scopre le emozioni, sviluppa un affetto profondo e impara a ricordare. La sua identità non è un dato pre-programmato, ma qualcosa che costruisce attivamente attraverso l'esperienza e, soprattutto, attraverso il legame con un'altra persona. Il momento in cui scopre la sua natura artificiale è devastante, una crisi esistenziale che minaccia di annullare tutto ciò che ha imparato a sentire. Eppure, è proprio superando questo trauma che la sua umanità si afferma con ancora più forza. La sua identità finale non risiede nella sua origine, ma nelle scelte che compie e nei sentimenti che prova. Tima dimostra che l'identità non è una questione di materia organica, ma di coscienza, memoria ed emozione.
Il potere assoluto e la follia di Duke Red
Se Tima rappresenta la ricerca di sé, Duke Red incarna la perdita di sé nella brama di potere. La sua figura è quella del classico tiranno, un uomo che desidera controllare il mondo intero dal trono del suo Ziggurat, una moderna Torre di Babele simbolo di un'ambizione smisurata e arrogante. Tuttavia, il film rende il suo personaggio più complesso di un semplice cattivo. La sua ossessione per il potere assoluto è intimamente legata a un dolore personale: la perdita della figlia. Tima non è solo uno strumento di dominio, ma anche un disperato e perverso tentativo di resuscitare il passato e colmare un vuoto incolmabile.
Questa duplice motivazione rende Duke Red una figura tragica. La sua incapacità di elaborare il lutto si trasforma in una forza distruttiva che minaccia di annientare il mondo. Egli rappresenta l'idea che il potere assoluto non solo corrompe, ma nasce spesso da una profonda debolezza umana. Lo Ziggurat, l'arma definitiva che dovrebbe garantirgli il controllo totale, diventa invece la causa della sua rovina e di una distruzione apocalittica. Metropolis ci ammonisce sui pericoli di una tecnologia senza etica e di un'ambizione senza limiti, suggerendo che la vera forza non risiede nel dominare gli altri, ma nel governare sé stessi e le proprie ferite.
La definizione di "Umano"
Tutti questi temi convergono in una riflessione finale su cosa significhi essere "umani". Il film smantella l'idea che l'umanità sia una semplice questione biologica. Personaggi come Rock, consumato dall'odio e dalla gelosia, mostrano un'inumanità più profonda di qualsiasi macchina. La sua violenza cieca e la sua incapacità di provare empatia lo rendono il vero "mostro" della storia. Al contrario, Tima, un essere artificiale, intraprende un percorso che la porta a incarnare le qualità più nobili dell'essere umano: l'amore, la compassione, la capacità di perdonare e, infine, il sacrificio di sé.
La sua evoluzione suggerisce che l'umanità non è uno status, ma un processo. È la capacità di creare legami, di porre domande sulla propria esistenza e di agire sulla base dell'amore piuttosto che dell'odio. Nella sequenza finale, quando Tima, ormai sovraccarica di potere e fuori controllo, viene raggiunta dalla voce di Kenichi, è il loro legame a fare la differenza. L'umanità è quella scintilla di riconoscimento e connessione che può sopravvivere anche in mezzo al caos. Metropolis ci lascia con l'idea che forse non siamo noi a dover insegnare l'umanità alle macchine, ma sono loro, come uno specchio, a poterci mostrare cosa abbiamo dimenticato di essere.
Insomma, Metropolis è un'opera d'arte che usa la sua magnifica tela fantascientifica per dipingere un ritratto senza tempo della condizione umana. Ci ricorda che, in qualsiasi epoca e con qualsiasi tecnologia, le nostre sfide più grandi rimarranno sempre le stesse: superare i nostri pregiudizi, trovare il nostro posto nel mondo e imparare ad amare.