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Curve e microfoni: breve storia del doppiaggio videoludico italiano – Speciale

Ripercorriamo, con uno stile tra lo storico e il reportage, le vicende dei doppiaggi italiani all’interno del settore videoludico.

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Avatar di Adriano Di Medio

a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Pubblicato il 29/04/2020 alle 10:35
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Il Verdetto di SpazioGames

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In questo speciale abbiamo voluto ripercorrere la storia del doppiaggio videoludico italiano, ricostruendo (senza la pretesa di essere esaurienti) la curiosa “alternanza” tra Roma e Milano che i videogiochi hanno passato sia ieri che oggi. Ma si sa anche che una delle prime cose che dicono a chiunque studi traduzione è che “tradurre un testo è un po’ tradirlo” – ovvero, non si sarà mai in grado di trasporre pienamente in un’altra lingua tutti i significati e le possibilità rispetto a quella in cui è nato. Un principio che diviene ancor più evidente quando si inizia a parlare di doppiaggio e adattamento. Eppure, c’è anche da pensare che localizzazione e doppiaggio potrebbero avere un’importanza anche culturale, nonché capace di arricchire ancor di più l’opera originale. Del resto, il doppiaggio italiano è tra i migliori (se non il migliore) del mondo: dovrà pur valere qualcosa.

Localizzazione e doppiaggio: sì o no? Si tratta di una domanda destinata a rimanere senza risposta, dentro e fuori dal videogioco. Ma fuori dalla prospettiva più meramente economica, c’è da dire che il settore videoludico ha avuto i suoi sviluppi e la sua storia, con alti e bassi. In questo speciale un po’ reportage, vogliamo ripercorrerla brevemente.

Prima ondata: dall’estero con furore (1994-2000)

L’esigenza di un sonoro italiano nasce con l’inclusione delle voci nei videogiochi, cosa possibile a livello nazional-popolare quando arrivò l’ampio spazio del CD. In questo senso, tanto il mercato PC quanto le “variazioni” o le periferiche che permettevano alle console di leggere sia CD che cartucce approfittarono della nuova possibilità dotando le loro produzioni sia di voci che di immagini in movimento. Il primo Command and Conquer è rimasto famoso per i suoi avanzati algoritmi di compressione che avevano permesso di includere persino riprese dal vivo, così come sono famose (ma per il motivo opposto) i discutibili adattamenti Link: The Faces of Evil e Zelda: The Wand of Gamelon per Philips CD-i.

La svolta autentica si ebbe però con la prima PlayStation a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Sony credette così tanto nella console che decise di spingere molto anche sul doppiaggio dei videogiochi più “importanti” da lei ospitati. Nacque quindi quella che possiamo chiamare la “prima ondata del doppiaggio”, caratterizzata da una decisa “amatorialità” un po’ in tutto. Sony, infatti, per i primi tempi decise di accentrare le operazioni in Inghilterra, con il risultato che gli attori che lavorarono a quei videogiochi sono prevalentemente di origine italiana ma naturalizzati inglesi.

Nomi come Luigi Chiappini (o Chiapinni), Benedetta Ferraro, Ilaria D’Elia, Massimo Marinoni, Andrea Piovan e infine Alessandro Ricci sono ormai famosi per chi si intende almeno un minimo di localizzazione videoludica. Questo cast appunto partecipò al doppiaggio di molti dei “cult” di PlayStation, come i primi tre Spyro, MediEvil, Ape Escape, il secondo e terzo Crash Bandicoot, CTR e anche Syphon Filter.

È comunque abbastanza accreditato che il culmine di questo periodo e di tale “generazione di doppiaggio videoludico” fu la localizzazione di Metal Gear Solid, effettuata nientemeno che agli Abbey Road Studios di Londra. Altro importantissimo terreno di prova fu il PC, soprattutto per l’ambito delle avventure grafiche. Proprio queste ultime avrebbero ospitato non solo doppiaggi ancora adesso ricordati come eccellenti, ma furono anche anticipatrice della “mescolanza di cast” divenuta comune pochi anni dopo.

Seconda ondata: doppiaggio tra Roma e Milano (2001-2006)

Questa prima ondata di doppiaggio videoludico avrebbe continuato con i suoi lavori per tutta la quinta generazione di console, facendo anche i conti con il fatto che essendo in pochi spesso si ritrovavano a ricoprire più ruoli all’interno del medesimo prodotto. In tal senso è rimasto “famoso” Massimo Marinoni, che fece ampio uso della propria duttile voce. Molti tuttavia riconoscono tra i più “professionali” Andrea Piovan (noto per essere la voce di personaggi quali N.Tropy e Liquid Snake) e lo stesso Alessandro Ricci, che in seguito si sarebbe dedicato anche alla direzione (ha infatti curato tra le altre cose il doppiaggio di Zelda Breath of the Wild). La stessa Ilaria D’Elia recitò persino in Gangs of New York (2002) di Martin Scorsese.

Venti di cambiamento stavano però cominciando a soffiare: PlayStation 2 con la sua maggiore potenza di calcolo avvicina sempre di più il videogioco all’esperienza cinematografica; non c’era più spazio per l’improvvisazione estera. I publisher (non solo Sony) si decidono ad affidare in toto la localizzazione ai rispettivi Paesi, e comincia a definirsi quello che diverrà noto come l’EFIGS, ovvero le cinque principali lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo e italiano) in cui era consigliato tradurre (o quantomeno sottotitolare) ciascuna pubblicazione. In verità, specialmente in quegli anni tale disposizione non viene sempre rispettata, e a risentirne sono spesso le lingue neolatine (spagnolo e italiano). Le esigenze di doppiaggio finiscono invece col dividersi tra la branca “storica” sita a Roma e la “neonata” di Milano.

Il doppiaggio milanese era nato negli anni Ottanta e Novanta, principalmente trainato dalla massiccia importazione di prodotti esteri (giapponesi ma non solo) da parte delle televisioni commerciali. Dove le case multimediali (come la Disney) rimanevano a Roma, molte delle proprietà intellettuali più strettamente videoludiche furono lavorate dalla scuola milanese. È in questi anni che carburano nomi ormai molto famosi come Claudio Moneta, Davide Garbolino, Emanuela Pacotto, Patrizia Scianca, Marco Balzarotti e Riccardo Rovatti. Molti di loro, appunto, si erano fatti le ossa con le serie animate (Garbolino è tuttora la voce di Ash Ketchum) e talvolta accettavano di lavorare “in trasferta” affiancati ai colleghi romani, specialmente in ambito di tie-in cinematografici.

Terza ondata: il consolidamento del doppiaggio milanese (2007-2015)

I doppiatori milanesi si fanno quindi “le ossa” sui videogiochi per tutta la sesta generazione di console. Come più volte da loro testimoniato, una delle cose più difficili in questo tipo di lavoro è l’impossibilità di vedere le immagini a schermo, ma il doversi basare solo sulle tracce sonore. Nel migliore dei casi ci sono le riprese del motion capture, anche se in quel caso si ritrovano effettivamente con poche indicazioni per quanto concerne la situazione che devono andare a interpretare, cosa che porta anche a inevitabili errori di traduzione (come in The Last of Us in cui Ellie di fronte a una scacchiera chiede a Joel se sa suonarla, perché in inglese “play” significa sia giocare che suonare).

Però, a causa della pessima contingenza economica degli anni 2010, specialmente i prodotti più di nicchia vengono dotati di voci solo in inglese e sottotitolati in inglese, francese e tedesco. Pure se si tratta di decisioni di tipo economico, non mancano le polemiche: una delle più famose è la mancata sottotitolatura in spagnolo e italiano di Kingdom Hearts 3D per 3DS (2012).

Quarta ondata: ruoli storici e il ritorno a Roma (2015-oggi)

Con l’arrivo dell’attuale generazione (l’ottava) le cose a livello di localizzazione paiono restare le stesse, almeno all’inizio. Come tutto il settore anche la traduzione dei videogiochi comincia a risentire della fretta e della progressiva crescita dei contenuti da adattare. Le modalità di doppiaggio non si muovono moltissimo, e per quanto appunto si continui ad “arrangiarsi” a volte solo con le tracce sonore e lavorando comunque in colonna separata (cioè ogni doppiatore registra le sue battute separatamente), la qualità si mantiene alta anche se appunto diminuisce in senso assoluto la quantità di videogiochi doppiati.

In effetti proprio in questi anni – specialmente con la diffusione a livello più “popolare” di videogiochi molto più “criptici” nei contenuti (e dove quindi la traduzione fa la differenza) – si risolleva parimenti la questione della localizzazione. Le proprietà intellettuali più “decennali” (come i già citati Assassin’s Creed o gli Uncharted) vengono ancora lavorate a Milano, in quanto le voci sono diventate fin troppo iconiche per essere riassegnate.

Curiosamente, però, in tempi più recenti abbiamo assistito a un ritorno della colonna romana, specialmente in ambito di esclusive. Tra le aziende che sicuramente si sono rivolte di più a quest’ultima troviamo proprio Sony, che in anni recenti ha scelto cast interamente appartenenti alla colonna romana per i suoi prodotti di punta.

Tra i due più recenti non possiamo che citare Death Stranding e God of War: in particolare quest’ultimo è stato al centro di una grossa operazione di recasting, in quanto il cambio di contesto ha imposto (tanto in originale tanto in italiano) che i vecchi attori non potessero riprendere i loro ruoli.

death stranding

Sony comunque non è stata l’unica a muoversi in questo senso: anche Monolith e Warner Bros decisero di rivolgersi a Roma per il loro dittico La Terra di Mezzo (Ombra di Mordor e Ombra della Guerra) instaurando un’altra prolifica collaborazione tra le due scuole. Un’altra prova che la suddivisione tra Roma e Milano non non va vista come qualcosa di tipo competitivo, ma piuttosto per capire come i lavori migliori emergano quasi sempre dal collaborare in maniera sinergica.

In questo speciale abbiamo voluto ripercorrere la storia del doppiaggio videoludico italiano, ricostruendo (senza la pretesa di essere esaurienti) la curiosa “alternanza” tra Roma e Milano che i videogiochi hanno passato sia ieri che oggi. Ma si sa anche che una delle prime cose che dicono a chiunque studi traduzione è che “tradurre un testo è un po’ tradirlo” – ovvero, non si sarà mai in grado di trasporre pienamente in un’altra lingua tutti i significati e le possibilità rispetto a quella in cui è nato. Un principio che diviene ancor più evidente quando si inizia a parlare di doppiaggio e adattamento.

Eppure, c’è anche da pensare che localizzazione e doppiaggio potrebbero avere un’importanza anche culturale, nonché capace di arricchire ancor di più l’opera originale. Del resto, il doppiaggio italiano è tra i migliori (se non il migliore) del mondo: dovrà pur valere qualcosa.

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