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Resident Evil Code: Veronica è il remake che i giocatori meritano - Speciale

Capcom dovrebbe al più presto realizzare un remake del capitolo uscito originariamente su Dreamcast.

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Avatar di Marcello Paolillo

a cura di Marcello Paolillo

Editor-In-Chief

Pubblicato il 21/04/2020 alle 09:30
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Il Verdetto di SpazioGames

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Ultimo, vero Biohazard di matrice classica, Resident Evil Code: Veronica merita quindi una seconda chance, sperando che anche i gamer più giovani e smaliziati riescano prima o poi a godere di un titolo parcheggiato da anni nella memoria storica di ogni amante di survival horror che si rispetti. La speranza è che Capcom ascolti prima o poi le preghiere dei videogiocatori, donando al grande pubblico il rifacimento di uno dei capitoli della serie più coraggiosi e longevi di tutti i tempi. Claire Redfield e suo fratello Chris ringraziano anticipatamente.

Capcom adora i remake. Li ha sempre prodotti, nella sua lunga – lunghissima – storia di casa di sviluppo. Basti pensare al rifacimento del primissimo Resident Evil (noto anche come Rebirth), uscito originariamente su Nintendo GameCube nel 2002, proseguendo poi coi più recenti Resident Evil 2 e Resident Evil 3 (quest’ultimo, disponibile dallo scorso 3 aprile 2020 su console PS4, Xbox One e PC).

Ora, non contenta di aver portato la saga di Biohazard verso nuove e insperate vette di eccellenza, ecco che anche Resident Evil 4 (a conti fatti, uno dei capitoli più importanti e significativi della saga) riceverà quasi sicuramente un rifacimento ex novo, di cui – al momento in cui scriviamo – non si conoscono ancora i dettagli (sarà davvero sulle console next-gen? Stravolgerà il concept originale? Anticiperà l’uscita di Resident Evil 8?). La questione legata all’eventualità di giocare un remake dell’avventura europea di Leon ha però sollevato una questione piuttosto spinosa che i fan irriducibili della serie di survival horror targati Capcom conoscono molto bene: che fine ha fatto Resident Evil Code: Veronica?

C’era una volta un re buono ma ingenuo…

Facciamo un passo indietro: era il 2000 e per SEGA Dreamcast uscì il primo, vero capitolo di Biohazard a 128-bit. Si trattava di un episodio senza numerazione ufficiale, ambientato tre mesi dopo la distruzione di Raccoon City per estinguere l’epidemia zombie che aveva messo a ferro e fuoco la città, e diretto da Hiroki Kato.

Protagonista della vicenda è Claire Redfield, che in una delle basi della della Umbrella a Parigi viene scoperta e successivamente catturata e deportata in un’isola sperduta, Rockfort Island. Dopo essere riuscita a liberarsi, Claire si accorge che l’isola è stata contaminata dal ben noto T-Virus, il che la costringe a trovare al più presto una via di fuga. Sul posto incontra il giovane Steve Burnside, un ragazzo imprigionato a Rockfort Island assieme al padre, anch’egli dato per disperso. I due decideranno quindi di unire le loro forze, con l’obiettivo di fuggire dall’isola.

Una riedizione del gioco per il mercato giapponese chiamata “Complete” è approdata poi anche su PlayStation 2 (e successivamente anche GameCube) in America ed Europa con il nome di Resident Evil Code: Veronica X (la quale includeva, a sorpresa, anche la lingua italiana). Il gioco fu poi convertito per PlayStation 3 (come classico titolo PS2) nel 2014, per poi tornare in un’ultima versione PlayStation 4 vista nel 2017. Perché Code: Veronica è quindi uno dei capitoli della serie più importanti della saga? Innanzitutto perché ai tempi fu il primo Resident Evil della serie principale a utilizzare fondali tridimensionali al posto dei classici scenari pre-renderizzati.

La telecamera, non ancora inquadrata alle spalle del protagonista (come in tutti i capitoli post-RE4) ma ancorata in punti specifici delle aree, seguiva il giocatore con carrellate e movimenti di macchina impensabili fino a qualche anno prima, anche per i palesi limiti tecnici delle console a 32-bit. Ciò non aveva conseguenze dirette sul gameplay – che rimaneva assolutamente invariato rispetto ai precedenti Resident Evil 2 e Nemesis – nonostante fosse palese la volontà di Capcom di “spezzare le catene” e traghettare la saga di Biohazard verso nuovi orizzonti.

… che sposò una regina molto cattiva.

Perché Code: Veronica è quindi il capitolo di cui si sente maggiormente il bisogno di un remake? Sicuramente, ora come ora i tempi sono maturi per un gioco che offra un’esperienza survival a 360°, come avvenuto con il (bellissimo) rifacimento del secondo capitolo del 1998, in grado di rinfrescare e riscrivere da zero un gioco ai tempi pazzesco ma invecchiato piuttosto male (come del resto è accaduto per la maggior parte degli episodi “classici” di Resident Evil).

Innanzitutto, la varietà di situazioni dell’avventura di Claire (con la partecipazione straordinaria di suo fratello Chris Redfield) compone uno dei capitoli della saga più lunghi e corposi in assoluto. Parliamo infatti di circa quindici/venti ore di gioco, un numero impensabile per tutti coloro i quali riescono a portare a termine le campagne dei titoli horror Capcom ampiamente stando sotto le dieci ore. Chi si è lamentato della relativa brevità del remake del terzo episodio potrebbe quindi avere pane per i suoi denti.

Ma non solo: il gioco era scandito, per tutta la sua durata, da una ritmo decisamente lento e riflessivo, un vero e proprio modo di incedere “classico” che – rigiocato oggi in ottica moderna – farebbe la gioia di tutti coloro i quali pensano che la serie di Biohazard si sia sporcata con gli anni una vena eccessivamente action.

Onnipresenti anche i classici rompicapo, sempre incentrati sul classico meccanismo del “trova la chiave esagonale, apri la porta”, oppure dell’altrettanto canonico “recupera i due pezzi del medaglione”. Code: Veronica proseguiva quindi la strada tracciata dai primi due episodi, abbracciando però una rivoluzione tecnica e anche e soprattutto narrativa. Il ritorno di vecchi avversari (un certo Albert Wesker) e l’apparizione del villain principale, Alfred Ashford, schizofrenico nipote del cofondatore della Umbrella (e il suo rapporto malato con la gemella Alexia), mettono sul piatto un carnet di personaggi realmente sorprendente, che non manca inoltre di strizzare l’occhio a una certa cinematografica hitchcockiana.

Insomma, se Capcom decidesse davvero di dare nuova linfa vitale a Code: Veronica non solo rischieremmo di trovarci tra le mani il miglior Resident Evil degli ultimi vent’anni, ma anche e soprattutto un remake destinato a far tornare a galla le qualità di un gioco uscito in un decennio di profonda trasformazione per i survival horror di matrice nipponica, subito dopo il boom del genere visto alla fine degli anni ’90.

Ultimo, vero Biohazard di matrice classica, Resident Evil Code: Veronica merita quindi una seconda chance, sperando che anche i gamer più giovani e smaliziati riescano prima o poi a godere di un titolo parcheggiato da anni nella memoria storica di ogni amante di survival horror che si rispetti. La speranza è che Capcom ascolti prima o poi le preghiere dei videogiocatori, donando al grande pubblico il rifacimento di uno dei capitoli della serie più coraggiosi e longevi di tutti i tempi. Claire Redfield e suo fratello Chris ringraziano anticipatamente.

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