Oculus Quest 2 svela a che punto siamo con la VR e cosa deve fare PS VR 2

Ci siamo tuffati nella libreria videoludica di Oculus Quest 2, scoprendo le direzioni verso cui si sta (o no) muovendo il gaming in VR.

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a cura di Paolo Sirio

Dopo aver passato alcuni mesi con Oculus Quest 2, all’alba di quella che sembra poter essere una nuova infornata di produzioni per la realtà virtuale, possiamo fare il punto su quest’eterna incompiuta dell’industria dei videogiochi, che torna a fiammate più o meno regolari, ogni volta ripromettendosi e promettendoci di risolvere i problemi che ne avevano regolato la fine nel suo ciclo vitale precedente.

Adesso che le stiamo iniziando ad affidare proprietà intellettuali di un certo prestigio, come il mai troppo compianto Splinter Cell, o più banalmente il remake tra tante virgolette di Resident Evil 4, però, ha senso fare un controllino per capire a che punto siamo – e se dobbiamo preoccuparci per le sorti di questi due amati prodotti – e cosa dovrebbe fare il gaming per sciogliere finalmente questo nodo chiamato VR che si porta dietro da decenni.

In questo senso, l’investimento di Facebook su Oculus si fa sempre più serio, tra acquisizioni ed esposizione pubblica (con eventi come quello in cui è stato approfondito il già citato Resident Evil 4 in VR, fra gli altri) ma pure su giochi – e ne abbiamo testati un bel po’ dei pezzi pregiati della libreria di Quest 2, negli ultimi tempi – che iniziano a volersi togliere di dosso l’etichetta di semplici tech demo.

Al di là del valore di questo sforzo impresso dal gigante dei social, è interessante capire se l’esperienza di Oculus (che ha rivitalizzato il filone ben prima dell’arrivo delle compere di Facebook) possa fungere da esempio al primo player propriamente videoludico ad averci creduto davvero, ovvero Sony, quando potremmo essere ad un passo o quasi dal lancio del suo secondo PlayStation VR.

L'esperienza con Oculus Quest 2

Venendo da PlayStation VR, quello che salta subito all’occhio è l’assetto completamente libero progettato per Oculus Quest 2, dispositivo di una linea che si propone di essere un corpo a sé stante e funzionante senza il supporto di una piattaforma esterna (o due, nel caso del visore in realtà virtuale di Sony che ha bisogno di un’unità di calcolo aggiuntiva e soltanto poi di una PS4, una PS4 Pro o una PS5).

Nella fattispecie del visore di Facebook, non abbiamo alcun cavo che si intrometta tra noi e l’esperienza della VR, non c’è la necessità di un collegamento tra il caschetto e un PC o una console, e questo rende possibile giocare posizionandosi dove e come ci pare e piace. L’idea di cambiare stanza tra una sessione e l’altra senza che ciò avesse un impatto sulla qualità della fruizione ci ha solleticato da subito, rispetto alle costrizioni di un PS VR “ingessato” da una cavetteria a dir poco limitante.

Questo è associato ad una duplice meccanica di rilevazione e, che sia scale room o meno, la rilevazione è immediata e i controlli restano ottimi – abbiamo giocato da seduti, ad esempio, a Beat Saber e l’esperienza non ne è stata inficiata minimamente (anche se in quel caso restare seduti e non lasciarsi trascinare dal ritmo travolgente del rhythm game, un’autentica calamita ludica, è stata una sfida complessa da vincere).

Un simile livello di libertà dell’esperienza, che è preceduto in una “graduatoria” immaginaria soltanto dallo giocare senza visore, contribuisce anche ad una riduzione dell’affaticamento. Con PlayStation VR, la nostra barra della resistenza si svuota molto più rapidamente al confronto e quella sensazione di maretta dovuta alla chinetosi è sì presente, ma sensibilmente ridotta, sebbene su tale aspetto incida (lo vedremo tra poco) la modalità di gioco scelta.

Il che, contestualmente ad una risoluzione di partenza più elevata e dunque meno vicina ai canoni visivi dell’era PS2 che abbiamo sempre tirato in ballo quando c’è stato di parlare delle note dolenti della realtà virtuale, è abbastanza curioso: parliamo del resto di un dispositivo standalone che, nonostante questa sua peculiarità, ne guadagna in leggerezza e in indossabilità (con e senza occhiali, e noi ne usiamo un paio dalle dimensioni piuttosto pronunciate). Certo, magari non è immediato nell’intuizione ma è capace di dare l’impressione  che PS VR non sia stato altro che un prototipo, al suo cospetto – e magari, di questo ce ne renderemo conto solo alla presentazione dell’erede, lo era davvero.

E i giochi?

Nella nostra esperienza abbiamo testato a lungo Beat Saber, What Lies Beneath, Journey of the Gods, The Climb 2, The Walking Dead Saints & Sinners, Phantom Covert Ops e Superhot VR – alcuni esclusivi, altri già visti su altri dispositivi per la realtà virtuale con un notevole successo.

A portarsi a casa lo scettro di produzione più riuscita è innegabilmente Beat Saber, cui abbiamo già fatto riferimento e che è un’autentica gemma da provare da soli o in compagnia di qualche amico che non ha un’idea chiarissima di cosa sia Oculus Quest 2; è un musicale nel quale dovrete affettare dei cubi che vi saranno proiettati addosso, il tutto a ritmo di musica con canzoni dal ritmo trascinante.

La resa in questo caso è naturale, per usare un solo termine, al punto che, talmente che sarete presi dal muovervi a tempo e godervi le conseguenze delle vostre azioni sullo schermo, finirete col dimenticare di stare indossando un caschetto – che, pensiamo, sia il complimento più grosso si possa fare ad un prodotto VR.

What Lies Beneath e Journey of the Gods sono assimilabili in effetti a delle tech demo, per cui non danno una grossa mano a scrollarsi di dosso quel preconcetto, mentre The Climb 2, The Walking Dead Saints & Sinners, Phantom Covert Ops e Superhot VR aggiungono effettivamente qualcosa al settore.

Il primo è uno sport estremo nel quale, scalando e avvertendo la fatica del vostro gesto (d’altra parte, lo starete compiendo realmente, o quasi), guarderete spesso di sotto e avvertirete una sorprendente vertigine – mentre TWD e Phantom ci "credono" terribilmente e non a caso scommettono molto sulla loro fiction.

Superhot VR vi stupirà con la sua capacità di adeguarsi alla perfezione al mezzo (altro che movimento libero o movimento a scatti: questo discorso lo shooter bianco e rosso lo assimila al punto da farlo diventare una dinamica del proprio gameplay) e di rendere la spazialità in una maniera terribilmente credibile. Vi sorprenderete, in breve, a voler appoggiare davvero il braccio ad un bancone che starete usando come copertura per sparare ai nemici in una stanza.

Cosa resta da perfezionare

Lo menzionavamo prima, l’aspetto della chinetosi o più comunemente motion sickness, ed è inevitabile che uno spazio in un articolo che parli di realtà virtuale – una realtà, perdonerete il gioco di parole, che si sta ancora assestando e sta ancora cercando un suo linguaggio (tecnico) comune a tutti i dispositivi – si debba ritagliare uno spazio per discuterne in maniera approfondita.

Come accennato, rispetto a PlayStation VR siamo su un piano superiore anche per quanto riguarda questo argomento: è plausibile che tale impressione sia stata destata pure dall’essere un tantino più abituati alla tecnologia adesso che ai tempi del lancio di PS VR, ma non abbiamo mai avuto quell’impressione, nel nostro test di mesi, che Oculus Quest 2 causasse quel malessere prolungato cui siamo stati sottoposti dopo aver giocato un titolo in realtà virtuale su PS4.

Affermare ciò è senza dubbio un po’ riduttivo, e tanto di questo genere di dichiarazione lo fa la modalità scelta per il gameplay: sui movimenti a scatti, che prevedono cioè di non orientarsi in uno spazio libero a 360 gradi spostando la testa, le espressioni che abbiamo usato calzano a pennello, mentre sul movimento a corpo libero c’è tuttora del lavoro da fare.

Su Quest 2 i postumi dal suo utilizzo sono ridotti a confronto con quanto avevamo provato nelle nostre esperienze precedenti con headset VR, ma è pur vero che la chinetosi resta e che sul lungo periodo finirete con l’arrendervi ad una struttura di gioco più rigida, nella quale muovervi di meno, certo, eppure nella sicurezza che non ci rimettiate la cena (che l’abbiate già gustata o vi apprestaste a sedervi a tavola per consumarla).

L’auspicio è che i futuri modelli di visori per la realtà virtuale, PlayStation VR 2 compreso, possano metterci una pezza, perché allo stato attuale la tecnologia soffre soprattutto su questo aspetto in termini di accessibilità – oltre che per il mero discorso visivo, ancora indietro sotto il profilo poligonale e della risoluzione per via degli elevatissimi frame rate richiesti per ridurre al minimo i rischi di motion sickness.

Per i nostri gusti, inoltre, il movimento per scatti – e le sue tante sfumature, su cui si sta lavorando palpabilmente sui dispositivi Oculus, che puntano ad una via di mezzo – non sarà mai assimilabile a quello libero se pensiamo all’immersione, un fattore fondante dell’intera esperienza della VR e che non andrebbe sminuito soltanto per una limitazione tecnica, ma che dovrebbe anzi essere una spinta per fare meglio da qui in avanti.

Il tasto dei giochi in sé, che come sempre fanno il dispositivo su cui girano e non il contrario, comincia ad essere meno dolente rispetto al nuovo esordio della realtà virtuale: siamo tuttora abbastanza distanti dal riuscire a togliersi l’etichetta di semplici tech demo, auto-affibbiata da un’industria che voleva scommettere sull’eccitante VR ma non sapeva se sarebbe stato il caso di farlo, eppure qualche barlume di speranza inizia a vedersi e non è un caso che provenga da chi non ha alternative in questo momento per affacciarsi al gaming.

Bisognerà continuare a spingere su questo tema, allungando (possibilmente, in modo non artificiale) il conteggio delle ore e la profondità delle esperienze proposte, adesso che sembra si sia capito dove andare per non rendere ciascuna sessione di gioco una faticaccia insostenibile.

PlayStation VR 2, prendi nota

Oculus Quest 2 rappresenta insomma un benchmark notevole per il sempre nascente settore della realtà virtuale nei videogiochi.

All’alba del reveal di PlayStation VR 2, di cui abbiamo già intravisto i nuovi controller (molto simili, e questo non può che essere un buon punto di partenza, a quelli architettati da Oculus), Sony dovrebbe prendere nota dell’ottimo esempio impresso da Oculus e approfittare della sua consapevolezza nell’ambito videoludico per alzare l’asticella dove il mezzo ha bisogno di più che lo si faccia.

Sappiamo già che risoluzione, nitidezza e qualità dell’immagine necessiteranno di un boost per essere all’altezza delle premesse della next-gen appena avviata: potranno non arrivarci in toto, ma un upgrade è d’uopo per essere non soltanto alla pari dei nuovi concorrenti ma persino davanti a loro, volendo puntare ad esercitare il fascino avveniristico tipico di ogni lancio PlayStation.

Ma, soprattutto, PlayStation VR 2 deve fare un salto di qualità sotto il profilo della libertà dell’esperienza: niente cavi e impostazione in due minuti, sia all’inizio che in qualunque momento della propria storia con il visore, perché non diventi un lavoro a parte impostare ogni volta una sessione e soprattutto si possa pensare di tenere il caschetto nel proprio loop ludico, e non farlo diventare di nuovo un prodotto da montare per un breve periodo e smontare definitivamente perché non costituisca un ingombro nelle proprie stanze.

In sintesi, Il primo PS VR ha fatto bene per l’effetto novità ma, adesso che c’è consapevolezza di cosa sia la realtà virtuale (e spesso questa consapevolezza ha portato e può portare a giudizi negativi sul filone), ripetersi sarà complicato e per farcela servirà qualcosa di davvero speciale.

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