Nel panorama della fantascienza, poche opere hanno dimostrato la stessa capacità di reinventarsi e rimanere pertinenti come Metropolis. Nato come manga nel 1949 dalla mente geniale di Osamu Tezuka, il "dio dei manga", questo racconto distopico ha attraversato i decenni per rinascere nel 2001 come un sontuoso film d'animazione, frutto della collaborazione di due altre leggende dell'industria: il regista Rintarō e lo sceneggiatore Katsuhiro Ōtomo.
Questo passaggio non è stata una semplice trasposizione, ma una vera e propria rielaborazione che ha saputo conservare il cuore tematico dell'originale, proiettandolo in una sensibilità e un'estetica radicalmente nuove.
Metropolis di Rintarō e Katsuhiro Ōtomo torna sul grande schermo in versione restaurata per un evento speciale in programma il 13, 14 e 15 ottobre.
Cultura POP è media partner dell'evento. L’elenco delle sale e prevendite sono disponibili su nexostudios.it.
Il Metropolis di Tezuka: speranze e paure del Giappone post-bellico
Pubblicato in un Giappone ancora segnato dalle ferite della Seconda Guerra Mondiale, il Metropolis di Tezuka è un'opera che riflette le ansie e le speranze di un'intera nazione. La storia, ambientata in un futuro prossimo in cui l'umanità è minacciata da un'intensa attività delle macchie solari, segue le vicende di Mitchy, un androide dalle fattezze di un bellissimo ragazzo, creato dal Dr. Lawton per conto della setta segreta "Red Party". Quando lo scienziato scopre le intenzioni malvagie della setta, che vuole usare Mitchy come arma, fugge con la sua creazione, ma viene ucciso. Mitchy, ignaro della sua vera natura, viene trovato e accudito dal detective Higeoyaji. La scoperta di non essere umano scatena in Mitchy una furia vendicativa contro l'umanità, che culmina in una rivolta degli androidi.
L'ispirazione per il manga, come ammesso dallo stesso Tezuka, non venne dalla visione diretta del capolavoro espressionista di Fritz Lang del 1927, ma da una singola immagine del robot Maria vista su una rivista. Questo dettaglio è fondamentale per comprendere la natura dell'opera di Tezuka: non un remake, ma una narrazione autonoma che utilizza il concetto di una metropoli futuristica e di un essere artificiale per esplorare temi profondamente personali e contestualizzati.
Lo stile e i temi del manga sono profondamente intrecciati. L'estetica "cartoonesca" di Tezuka, con i suoi personaggi dai grandi occhi espressivi e le linee morbide, conferisce alla narrazione un tono quasi da favola, creando un netto contrasto con la cupezza della trama. Questo stile, che diventerà il suo marchio di fabbrica, non solo rende la storia accessibile, ma ne amplifica l'impatto emotivo nei momenti più drammatici. Al centro della storia vi è il rapporto tra uomo e macchina, dove il conflitto tra umani e robot funge da potente metafora delle tensioni sociali e della paura del "diverso". Mitchy, una volta scoperta la sua identità, incarna la rabbia e il risentimento di chi viene creato per essere uno strumento e poi rifiutato. La sua ribellione è una disperata ricerca di riconoscimento e dignità.
Tezuka, tuttavia, non offre una visione manichea, mostrando la crudeltà degli esseri umani con la stessa chiarezza dell'innocenza iniziale di Mitchy, suggerendo che la colpa risieda nell'incapacità umana di accettare le proprie creazioni. L'opera contiene anche una forte critica all'abuso di potere e all'uso distorto della scienza per fini bellici, rappresentati dalla "Red Party" e dal suo leader, Duke Red, un tema particolarmente sentito nel Giappone del dopoguerra.
Il Metropolis di Tezuka è un'opera intrisa di un umanesimo che, pur mostrando il lato oscuro del progresso, non perde mai la speranza in una possibile riconciliazione. È il racconto di formazione tragico di Mitchy, che si interroga sulla natura dell'identità e dell'anima in un mondo sull'orlo del caos.
Il Metropolis del 2001
Oltre cinquant'anni dopo, il progetto di portare Metropolis sul grande schermo viene affidato a due maestri dell'animazione giapponese. Rintarō, regista di classici come Capitan Harlock, e Katsuhiro Ōtomo, l'acclamato creatore di Akira, uniscono le loro forze per rileggere l'opera di Tezuka. Il risultato è un film visivamente strabiliante che, pur mantenendo alcuni elementi chiave del manga, ne espande l'universo narrativo e ne approfondisce le implicazioni filosofiche e sociali.
La trama del film, pur partendo da presupposti simili, si discosta significativamente. La città di Metropolis è una plutocrazia stratificata, con un'élite che vive in lussuosi grattacieli e una classe operaia impoverita che abita i livelli inferiori, incolpando i robot per la propria disoccupazione. In questo scenario, il detective Shunsaku Ban e suo nipote Kenichi arrivano in città sulle tracce del Dr. Laughton. Si imbattono così nei piani di Duke Red, che ha commissionato a Laughton la creazione di Tima, un'androide con le fattezze della sua defunta figlia, destinata a sedere sul trono dello Ziggurat, una torre-arma con cui intende dominare il mondo.
Le trasformazioni narrative e concettuali rispetto all'originale sono profonde. Il cambiamento più significativo è la metamorfosi del protagonista androide da un ragazzo, Mitchy, a una ragazza, Tima. Questa scelta è cruciale: Tima è inizialmente una "tabula rasa", ignara del mondo e della sua stessa natura. Il suo percorso diventa una scoperta continua, una commovente ricerca di identità riassunta nella sua domanda ricorrente, "Chi sono io?".
La sua relazione con Kenichi forma il cuore emotivo del film, un legame puro che si contrappone alla corruzione del mondo adulto. A differenza di Tezuka, Rintarō e Ōtomo attingono a piene mani dall'immaginario del film di Lang del 1927. L'architettura monumentale, la divisione in classi sociali e la centralità della torre-arma dello Ziggurat sono chiari omaggi al capolavoro espressionista. La sceneggiatura di Ōtomo introduce inoltre temi a lui cari, come la corruzione politica e la tecnologia che sfugge al controllo, già esplorati in Akira.
Di conseguenza, il film offre una riflessione molto più complessa sul rapporto uomo-macchina. I robot non sono solo una minaccia, ma una vera e propria classe sociale sfruttata, allegoria delle minoranze oppresse. La xenofobia anti-robot è un sentimento diffuso, incarnato tragicamente da Rock, il figlio adottivo di Duke Red, il cui odio irrazionale per Tima nasce da una disperata gelosia. La domanda del film si sposta da "i robot possono avere un'anima?" a "gli esseri umani sono ancora capaci di umanità?".
Visivamente, il film è un capolavoro. Lo studio Madhouse, sotto la guida di Rintarō, crea un'estetica retro-futurista che fonde l'Art Déco degli anni '30 con elementi cyberpunk. La città di Metropolis è un organismo pulsante e stratificato, un personaggio a sé stante. La colonna sonora jazz crea un affascinante contrasto con l'ambientazione, donando al film un'atmosfera unica e senza tempo. L'animazione, che mescola tecniche tradizionali con un uso pionieristico della CGI, raggiunge vette di sublime e tragica bellezza, come nella memorabile sequenza della distruzione dello Ziggurat, accompagnata dalla canzone "I Can't Stop Loving You" di Ray Charles.
Due epoche, due visioni a confronto
Mettere a confronto il manga del 1949 e il film del 2001 significa osservare come un'idea centrale possa essere declinata in modi profondamente diversi a seconda del contesto. L'opera di Tezuka rifletteva le ansie di un Giappone post-bellico, timoroso di una tecnologia usata per scopi bellici, mentre il film di Rintarō e Ōtomo si confronta con le preoccupazioni di inizio millennio, come la globalizzazione, le tensioni di classe e il dibattito sull'intelligenza artificiale. Questa divergenza si manifesta nei protagonisti: Mitchy è un ragazzo androide consapevole e potente la cui storia è una ribellione, mentre Tima è una ragazza androide inizialmente innocente la cui vicenda è una ricerca di identità.
Il tono del manga, dunque, è quello di un'avventura d'azione con un sotto-testo drammatico, mentre il film assume i contorni di un thriller distopico denso di riflessioni filosofiche. Anche l'approccio al rapporto uomo-macchina cambia: il manga lo presenta come un conflitto diretto, una metafora della paura del diverso, mentre il film lo descrive come una difficile coesistenza, un'allegoria dello sfruttamento sociale. Queste differenze si estendono allo stile visivo, passando dal tratto cartoonesco di Tezuka all'opulenta estetica retro-futurista del film, e all'influenza di Fritz Lang, che da spunto indiretto per Tezuka diventa un riferimento diretto e fondamentale per Rintarō e Ōtomo.
Insomma, il percorso di Metropolis dal manga al film è un esempio straordinario di evoluzione creativa. L'opera di Tezuka, nata da un'intuizione e plasmata dalle urgenze del suo tempo, ha fornito il seme da cui è germogliato un film complesso e poliedrico. Rintarō e Ōtomo non si sono limitati a omaggiare il "dio dei manga", ma hanno dialogato con la sua eredità, arricchendola con la propria visione, creando un ponte culturale che attraversa tre quarti di secolo. Entrambe le versioni, pur con le loro profonde differenze, pongono la stessa, eterna domanda: in un mondo dominato dalla tecnologia, cosa significa veramente essere umani? E in questa domanda risiede la loro intramontabile forza.