Metropolis di Rintarō e Katsuhiro Ōtomo, tratto dal manga di Osamu Tezuka uscì al cinema nel 2001 e venne accolto come un’opera visionaria e sofisticata. A distanza di oltre vent’anni, il film torna sul grande schermo in versione restaurata per un evento speciale in programma il 13, 14 e 15 ottobre.
Cultura POP è media partner dell'evento. L’elenco delle sale e prevendite sono disponibili su nexostudios.it.
Scopriamo insieme il filo conduttore che lega il film di Ōtomo con il manga originale di Tezuka e con la pellicola di Fritz Lang.
Metropolis, la nascita di un mito nel cinema tedesco degli anni Venti
Quando Fritz Lang portò al cinema Metropolis nel 1927, la Germania era un Paese ferito dalla Prima Guerra Mondiale e attraversato da enormi tensioni sociali. Il film nacque come una grandiosa opera di fantascienza, ma allo stesso tempo era un’allegoria delle disuguaglianze che contraddistinguono la modernità. La città divisa tra gli abitanti dei grattacieli luminosi e i lavoratori relegati nelle viscere della metropoli diventa il simbolo di un’epoca segnata dalla rivoluzione industriale e dai suoi effetti collaterali.
La forza del film non sta soltanto negli effetti visivi pionieristici, ma nella sua capacità di rappresentare, in chiave distopica, paure e speranze che ancora oggi riconosciamo: l’automazione, la perdita dell’umanità, la distanza incolmabile tra classi sociali. È proprio questa universalità dei temi che ha reso Metropolis un’opera seminale, capace di influenzare il cinema, la letteratura e persino la musica per quasi un secolo.
L’incontro con il Giappone: il Metropolis di Osamu Tezuka
Circa vent’anni dopo la sua uscita, un giovane Osamu Tezuka resta folgorato dalle immagini del film di Lang. Nonostante non ne conosca a fondo la trama – vista la scarsa reperibilità del film nell’immediato dopoguerra – rimase affascinato dal titolo e dalle atmosfere visive. Da quella suggestione nascerà, nel 1949, il suo manga Metropolis, che tuttavia non è un adattamento, bensì una libera reinterpretazione.
Il fumetto di Tezuka prende soltanto lo spunto del nome e alcune suggestioni estetiche, trasformandole in una storia profondamente segnata dal contesto giapponese. Il Giappone di quegli anni era una nazione che stava ricostruendo la propria identità dopo la sconfitta bellica, il trauma delle bombe atomiche e l’occupazione americana. In questo scenario, la fantascienza diventa per Tezuka lo strumento per interrogarsi sul futuro, sulle responsabilità dell’umanità e sul rapporto tra scienza e morale.
Il suo Metropolis non è solo un racconto distopico: è anche una riflessione filosofica sul progresso, sulla dignità della vita e sulla convivenza tra uomo e macchina. I robot, nei manga di Tezuka, non sono soltanto macchine impersonali, ma creature capaci di provare sentimenti, portatrici di domande etiche che ancora oggi risultano attualissime.
Dal dopoguerra agli anni Duemila: l’anime di Rintarō e Ōtomo
Dopo circa cinquant'anni, nel 2001, il regista Rintarō, con la collaborazione di Katsuhiro Ōtomo alla sceneggiatura, porta sul grande schermo Metropolis in versione anime. Il film diventa così il punto di incontro tra tre epoche: l’Europa degli anni Venti, il Giappone del dopoguerra e quello del nuovo millennio.
L’anime prende come base il manga di Tezuka, ma rielabora la storia e i personaggi, accentuando la riflessione politica e sociale. In un mondo ormai globalizzato, la città di Metropolis diventa metafora delle tensioni tra progresso tecnologico e giustizia sociale. La figura del robot Tima, creatura artificiale che si interroga sulla propria identità, incarna alla perfezione i dilemmi che le nuove tecnologie – dall’intelligenza artificiale alla biotecnologia – hanno riportato al centro del dibattito.
Visivamente, l’anime si distingue per una commistione di stili: l’estetica retrò che richiama Tezuka si fonde con le atmosfere cyberpunk di Ōtomo, dando vita a un’opera che è allo stesso tempo nostalgica e innovativa. Non è un semplice adattamento, ma una riscrittura che tiene conto delle domande del presente e delle paure di un’epoca ormai dominata dal digitale.
Metropolis come specchio delle paure collettive
Ciò che rende affascinante il percorso di Metropolis attraverso il tempo e le culture è la sua capacità di trasformarsi pur rimanendo riconoscibile. Il film di Lang rifletteva le ansie della modernità industriale; il manga di Tezuka metteva in scena il trauma e le speranze del Giappone post-bellico, infine l’anime di Rintarō e Ōtomo traduce quelle stesse tensioni nella lingua di una società globalizzata, sospesa tra progresso tecnologico e nuove disuguaglianze.
Ogni versione di Metropolis diventa quindi un prisma attraverso cui leggere il rapporto tra l’uomo e le sue creazioni, tra il potere e la giustizia sociale, tra la memoria e il futuro. È come se l’opera, nelle sue reincarnazioni, ci ricordasse che la fantascienza non è mai un semplice esercizio di immaginazione, ma un modo di interpretare il presente.
Da Lang a Ōtomo: un filo rosso nella fantascienza mondiale
Guardando a questo percorso, appare evidente come Metropolis non sia solo un titolo, ma un vero e proprio simbolo di continuità culturale. Dal cinema espressionista tedesco al manga, fino all’animazione del nuovo millennio, la storia attraversa confini geografici ed epoche storiche, reinventandosi a ogni passaggio.
Il filo rosso che lega Lang, Tezuka e Ōtomo non è soltanto la fascinazione per il futuro, ma soprattutto la volontà di interrogarsi sul rapporto tra tecnologia e umanità, sulle paure che l’innovazione porta con sé e sulle possibilità di costruire un mondo più equo. In questo senso, Metropolis è un ponte tra culture, un dialogo continuo che ci mostra come la fantascienza sia capace di adattarsi e di parlare a generazioni diverse senza mai perdere la propria forza evocativa.