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Cappuccino e Videogioco, grazie – Brütal Legend

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Avatar di Adriano Di Medio

a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Pubblicato il 07/01/2018 alle 00:00 - Aggiornato il 10/09/2018 alle 20:09

Bentornati a Cappuccino e Videogioco, la rubrica per scoprire (e riscoprire) i videogiochi per questo inverno ormai nel pieno. Ci troviamo infatti a gennaio, con le feste quasi del tutto alle spalle. Prima di iniziare a smaltire le abbuffate classiche di questi mesi, parliamo di uno dei pochi titoli (e volendo anche uno dei primi di settima generazione, Kojima a parte) a essere definiti come d’autore. Dopo cappucci geneticamente modificati, draghi col Sixaxis e guerre dei cento anni è tempo di un action chiassoso e ironico, oltre che un affettuoso tributo. Ecco Brütal Legend di Tim Schafer: alzate il volume in modo da poter distinguere anche le note di basso e fate in modo che il cappuccino sia bello caldo.
Jack Black e i vendicatori metallici
Brütal Legend viene sviluppato dalla Double Fine e pubblicato da EA. Per quanto il gioco abbia come “data di nascita” il 13 ottobre 2009, Schafer racconta di aver avuto l’idea a inizio anni Novanta. L’autore americano non ha mai fatto segreto di essere da sempre appassionato di heavy metal e del mondo che lo circonda. Dopo essersi fatto le ossa con avventure grafiche come la serie di Monkey Island e l’indimenticabile Grim Fandango (recentemente riproposto), Schafer cercava un modo per omaggiare il suo genere preferito e allo stesso tempo coltivare l’inclinazione all’action. Il risultato è un racconto volutamente surreale, una sorta di reunion digitale di tante personalità di spicco del genere.
Il protagonista è Eddie Riggs, il roadie manager dello scialbo gruppo Kabbage Boy. Durante uno dei loro concerti proprio questi ultimi vengono schiacciati da una decorazione del palco, della quale lo stesso Eddie rimane vittima. Contro ogni aspettativa egli viene trasportato in una realtà alternativa, un mondo fantastico dove gli umani sono sottomessi al perfido imperatore Doviculus e al suo generale Lionwhyte. Conosciuti i pochi membri della resistenza, che lo credono il prescelto del demiurgo Ormagöden, Eddie si imbarcherà in una lunga avventura per liberare i suoi simili. 
La trama in sé non è particolarmente approfondita, e tutto sommato va bene così. A fare da motore portante di tutto non è tanto il classico racconto di liberazione dal despota, quanto piuttosto il tributo a tutto ciò che negli anni è identificato come “immaginario metal”. Una narrazione che passa prima di tutto dai personaggi, a loro volta citazioni semoventi e talvolta artefici autentici. Il personaggio di Killmaster è Lemmy Kilmister, signorile tanto nel gioco quanto lo era nella realtà, mentre Ozzy Osbourne è il Guardiano del Metal, interprete anche del suo pessimo umorismo. Tuttavia la maggior familiarità viene, un po’ inevitabilmente, assorbita dal protagonista Eddie Riggs, che ha voce e fattezze di Jack Black. Notevoli la sincerità e la passione che l’attore mette nelle battute del suo personaggio, segno che sognava un ruolo simile probabilmente da anni. Un roadie navigato, che si adatta in maniera (stranamente) veloce al mondo in cui è trasportato perché familiare prima di tutto al suo creatore.
Il messaggero di Ormagöden
Più in concreto, il gioco è essenzialmente un action free-roaming con blandi elementi strategici. Eddie si muove e combatte i seguaci di Lionwhyte utilizzando un’ascia e una Flying-V divenuta capace di lanciare fulmini. L’alternanza tra arma e chitarra è la fonte più immediata di combo, in un sistema di combattimento senza troppe pretese. A intervallare queste fasi ve ne sono di più esplorative, la maggior parte delle quali includono l’uso della Falciadruidi, una dune-buggy che Eddie si assembla al volo a inizio avventura. Molte di esse sono gare o prove a tempo, ancora adesso divertenti nell’esagerato sobbalzare dell’auto e nell’irridere gli stereotipi sui metallari. Se le abilità individuali di Eddie vanno potenziate ricercando apposite steli e suonando (tramite una sequenza di tasti) l’assolo incisovi, la Falciadruidi invece andrà migliorata visitando l’antro del già citato Ozzy.
Ultima modalità di gioco sono le “battaglie”: come da buona tradizione parodistica, la loro funzione viene traslata nell’allestimento di colossali concerti. Le strutture di reclutamento sono le bancarelle di merchandising, mentre i “fan” (cioè le folle festanti) fuoriescono dal terreno come geyser. Una volta portati dalla nostra parte con un immancabile assolo, sono la risorsa principale perché tutto abbia successo. Descritta così sembra un po’ fuorviante, ma vi possiamo garantire che, quando in movimento, queste dinamiche vi sembreranno la cosa più naturale del mondo, specialmente se siete avvezzi ai rock show. Il tutto altro non è che una grande metafora dei concerti e del mestiere stesso di roadie: Eddie principalmente organizza le esibizioni e risolve i problemi. Impersonandolo dovremo quindi organizzare le forze e poi decidere la tattica. L’azione può essere diretta in maniera abbastanza fluida, specialmente nel momento in cui Eddie verrà in possesso di un paio d’ali grazie a un fortuito contatto con i mostri. Le bossfight tentano ugualmente una contaminazione adventure, in cui bisogna appunto studiare il boss ed esporne il punto debole.
Tuttavia è un’altra la cosa che diviene presto chiara riguardo questo gioco: il suo contesto. Nascondendolo furbescamente sotto la realtà alternativa, Schafer costruisce un mondo incredibilmente compiuto, un coacervo di citazioni al genere metal. Direttamente ispirato alle grafiche esagerate, horror e fumettose delle copertine degli album di genere, approfitta per costruire due macro-isole avvolte da atmosfere a modo loro sanguigne. Le etnie che lo abitano sono differenziate in base ai sottogeneri di questa musica, senza risparmiarsi qualche frecciata (Lionwhyte è una caricatura di David Bowie, all’epoca ancora vivo). Le citazioni sono tante e tali che basta anche una conoscenza anche minima per trasformare questo videogioco in un vero e proprio parco divertimenti.
Premuto il tasto, fatto l’assolo… Forse.
C’è quindi poco da stupirsi che a conti fatti l’ambientazione era ed è tuttora l’elemento più memorabile del pacchetto, insieme ai camei. Subito dopo ci si rende però conto che siamo quasi nel 2018, e si constata come il tempo sia passato anche per l’avventura di Eddie. Lo stile “cartoon” molto di moda in quegli anni di inizio gen oggi è più caricaturale di quanto magari non volessero i suoi stessi artefici. Ugualmente il dettaglio su ambientazione e nemici non è eccezionale. È soprattutto l’ambiente a esibire le texture più monocromatiche; emerge tuttavia come l’estetica sia ancora ricercata, anche e soprattutto su interfaccia e personaggi. C’è notevole cura anche nei nemici minori, dove si insegue con più autoironia lo spauracchio horror. Di contro emerge anche l’ambizione di Schafer nel voler fondere più generi videoludici insieme, con risultati non sempre perfetti. Ancora oggi Brütal Legend è basico su certe dinamiche, e dimostra anche qualche goffaggine tecnica nei QTE e nella risposta dei comandi. Il programma fatica a percepire due tasti premuti contemporaneamente, cosa che rende certi assoli difficili da completare. Considerando che sono importanti anche per la parte strategica, è uno “spigolo” che certe volte obbliga ad arrangiarsi con meno risorse iniziali. Le battaglie sono rese caotiche dalla mancanza di un radar, cosa che obbliga ad affidarsi alla direzione approssimativa fornita da alcune frecce dell’interfaccia. Il gioco si misura con il difficile terreno dello strategico uscendone piuttosto limitato anche a causa del pad che non può fare movimenti precisi. La guida dei veicoli è fin troppo arcade, ma che questo piaccia o no è solo una questione di gusti. Un po’ di sollievo viene dalla colonna sonora, azzeccata nel suo essere composta da un gigantesco numero di canzoni su licenza.
C’erano quindi tutte le fondamenta giuste per espandere ancora di più il singolare universo narrativo, complice anche il finale semi-aperto. Per quanto ai tempi ben accolto dal pubblico e dalla critica, EA non volle produrre il sequel nonostante i lavori già iniziati. Il risultato fu che la Double Fine passò un brutto periodo, avendo messo tutte le loro risorse sul nulla. È riuscita a riprendersi solamente da un paio d’anni a questa parte, anche grazie ad alcuni progetti nati in parte con il crowdfounding.

Diretto e appassionato. Queste due parole bastano per descrivere Brütal Legend, uno dei tributi videoludici più sinceri alla musica e all’immaginario metal. Un videogioco che, nonostante tutti i suoi difetti, è godibile e giustamente chiassoso. A fronte di un contesto ben costruito e di una trama ricca di camei, il gioco sacrificava un gameplay ricettivo per l’accessibilità. Non è un capolavoro e non ha alcuna pretesa di esserlo. È prima di tutto una dichiarazione d’amore nei confronti di un genere musicale, e che mira a intrattenere con divertito citazionismo. Di contro i difetti oggi emergono con più prepotenza rispetto alla pubblicazione originale, cosa che inevitabilmente non lo farà piacere a tutti. Fatevi preparare un altro cappuccino e alzate il volume dello stereo, che non si sente la doppia grancassa.

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