Anteprima

Riot - Civil Unrest - La prova del simulatore di ribellioni

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

RIOT – Civil Unrest non è un gioco facile, da qualsiasi parte lo si legga, per la sua lunga e travagliata genesi, per i temi che tratta e per un gameplay atipico, emanazione diretta e conseguenza necessaria degli scenari toccati. Con ogni probabilità, se seguite la scena indie italiana, il nome di RIOT – Civil Unrest non vi suonerà di certo nuovo, visto che la prima incarnazione del prototipo nato dalla mente di Leonard Menchiari risale oramai al lontano 2014, un successo fulminante sulla cresta dell’onda di Indiegogo: dopo le prime apparizioni, il silenzio è calato attorno a quello che si presentava come una delle idee migliori del panorama indipendente nostrano, un particolare strategico in tempo reale che si prefiggeva l’arduo compito di voler raccontare alcuni degli scenari più caldi del recente passato, come la Primavera Araba, la rivolta degli Indignados in Spagna, le proteste ambientaliste di Keratea in Grecia e le manifestazioni No Tav in Val di Susa, eventi a cui lo stesso Menchiari prese parte. A distanza di oltre tre anni, il buzz attorno a RIOT – Civil Unrest è improvvisamente tornato a montare, soprattutto dopo l’apparizione in quel della Milano Games Week, durante la quale trapelavano insistentemente le voci di una prossima release. E così è stato: anche se ancora in veste di Early Access, RIOT – Civil Unrest approda finalmente sullo store digitale di Valve, carico delle aspettative dei fan, desiderosi di capire come siano stati trasposti in videogioco alcuni dei più recenti movimenti di piazza sparsi per tutto il globo.

Grigi

Inutile girarci attorno, ancora prima che per la sua natura di videogioco, RIOT – Civil Unrest è stato una calamita di attenzioni soprattutto per la natura controversa dei temi messi in gioco, dove è facile per la platea schierarsi a metà (Auspico ad esclusione dei fatti di Piazza Tahrir Ndr.), divisa ad esempio fra chi empatizzerà per le lotte contro la costruzione dell’alta velocità e chi invece sosterrà la causa delle divise, in nome di infrastrutture presentate come necessarie. Leonard Menchiari ed IV Productions, attraverso la loro creatura, hanno però cercato di dare un taglio totalmente neutro ai fatti presentati e, in tal modo, le quattro campagne principali e i singoli livelli di cui esse sono composte, vengono anticipati solo da poche righe scritte, in cui si spiega, senza alcuna presa di posizione, i motivi per cui sta avvenendo la protesta. Il breve testo è inoltre accompagnato da un filmato, in cui risalta la notevole pixel art di cui beneficia RIOT – Civil Unrest, ma che aggiunge ben poco del contesto. Da un lato, la non-presa di posizione è con ogni probabilità la via migliore, la strada – già di per sé stretta – per evitare le polemiche o le inutili critiche, ma questa voler rimanere ad ogni costo super partes ha privato RIOT – Civil Unrest dei necessari approfondimenti: sempre per rimanere in casa nostra, la protesta No Tav viene illustrata semplicemente come un movimento nato dal basso contro la costruzione dell’alta velocità, senza alcuna aggiunta sul perché venga tirata questa nuova linea, la sua utilità, costi, impatti ambientali e sociali. Questa neutralità lascia quindi il giocatore totalmente libero di sentirsi più vicino ad uno dei due schieramenti, cosa buona e giusta, ma si lascia sfuggire l’occasione per poter spingere lo stesso utente a cercare maggiori informazioni, magari mosso dalla curiosità e da uno spirito d’indagine critico, indispensabile per crearsi un suo punto di vista più maturo e coscienzioso. 

Pixel in protesta

L’imparzialità di RIOT – Civil Unrest non è comunque un freno per la durezza di ciò che passa su schermo: attraverso una pixel art di primissima fattura, l’opera riesce a restituire e a far rivivere sulla pelle del giocatore ciò che significa trovarsi in mezzo alle proteste e agli scontri, dove la massa prevale sull’individuo e dove il comportamento razionale, messo alla prova dall’ennesima carica della polizia o, viceversa, dal lancio di sassi, lascia il passo all’agire irrazionale. In chi ha vissuto una – o simili – situazioni, il suono di un petardo esploso ai propri piedi, o l’incessante avanzare di scudi, caschi e manganelli, innesca un processo quasi inconscio di azione-reazione, che si concretizza in click su mouse e tastiera. Purtroppo, proprio in questo passaggio, che va dalla testa del giocatore diretto verso quell’ammasso rabbioso di pixel, RIOT – Civil Unrest scivola, incespicando in un gameplay sulla carta ottimo, ma che non riesce a divincolarsi dal caos che regna costantemente sullo schermo, vittima lui stesso della natura costantemente fluida della massa. Il titolo muta completamente in base alla scelta dello schieramento: tutte le missioni delle campagne – a dire il vero non moltissime e tutte piuttosto brevi – possono essere affrontate da entrambi i lati, con un conseguente ribaltamento del medesimo obiettivo. Ad esempio, se vestendo i panni dei rivoltosi si deve occupare una strada e non essere dispersi, giocare la stessa missione utilizzando le forze dell’ordine vuol dire impegnare la propria forza per scacciare via il gruppo di rivoltosi. I mezzi di cui dispongono le due “fazioni” differiscono già prima che inizi la missione: i “rioters” sono dotati di vari strumenti fra cui scegliere, come una macchina fotografica per testimoniare la violenza della polizia, oppure fumogeni, molotov e bombe carta. Le forze dell’ordine sono invece gestite quasi come in un GDR, e sono divise in tre classi, ciascuna con il proprio ruolo specifico, come le unità balistiche, utili ad esempio per sfollare da lontano gli assembramenti più ostici. 

Psicologia delle masse

Una volta completata questa fase preliminare, lo svolgimento della partita avviene in maniera piuttosto semplice, con obiettivi legati al controllo di una certa zona, il sabotaggio di punti strategici o, ancora, la dispersione dei manifestanti. Purtroppo queste fasi mostrano svariate incertezze, imputabili all’incapacità di tradurre la confusione che, giustamente, regna su schermo, in una serie di imput, elementi dell’UI e messaggi facilmente recepibili dal giocatore. A rendere ancora più complessa la vita, si aggiunge l’assenza di un vero tutorial, e dunque le prime azioni di gioco avvengono in maniera quasi del tutto casuale: si intuisce il significato delle icone, un po’ alla volta si prende confidenza con i comandi, ma non si ha mai la percezione di aver il pieno controllo sulla situazione e così, lanciare un petardo in direzione delle forze dell’ordine ha spesso degli effetti difficili, se non imprevedibili, da pronosticare. Districarsi fra la scelta delle unità, scorgere il loro stato e la loro salute, capire quale sarebbe l’azione giusta da fare o il “potere” da attivare è un’impresa alle volte davvero difficile. Da un lato, la percezione che la massa si muova secondo regole proprie o che la polizia segua un percorso teoricamente non dettato dal proprio click, produce un giustificabile senso di fastidio, soprattutto se si prende Riot per un RTS classico. Al contrario, se si riesce ad entrare in contatto con il messaggio che gli autori vogliono far passare attraverso la propria opera, alcuni passi falsi risultano meno incomprensibili e, anzi, proprio questa difficile gestione della situazione, in cui basta una scintilla per far scoppiare un incendio, è forse il vero valore aggiunto di Riot, soprattutto se letto in relazione con l’impatto visivo e sonoro del titolo. Al di là della bellezza grafica, la pixel art e gli effetti audio riescono infatti a restituire in modo vivido quella sensazione di corpo indistinto tipico delle proteste di piazza, con cui si scontrano spesso forze di polizia molto meno numerose, ma molto meglio dotate. Bandiere, urla, scoppi, transenne ribaltate, manifestanti trascinati via e bottiglie incendiarie fanno da sfondo irrequieto all’azione e creano un’atmosfera davvero viva, pulsante e sempre sul punto di esplodere verso il non ritorno. Riot – Civil Unrest, come detto in apertura, non un’opera facile da metabolizzare, i difetti in termini di gioco presentati in questo accesso anticipato sono piuttosto evidenti e la speranza è che i dev non considerino già terminato il proprio lavoro, soddisfatti di un prodotto che certamente sa far parlar di sé, ma che al contrario limino le spigolature, offrendo un UI più leggibile, dove i messaggi che appaiono su schermo possano essere interpretati in modo chiaro, senza per questo snaturare la propria opera, imbrigliando magari i manifestanti e la polizia come tante belle pedine di un normale RTS. Quello su cui c’è poco da recriminare, sono invece i contenuti disponibili, già piuttosto buoni in questo Early Access, che vanno dalle quattro campagne principali ad una serie di scenari singoli, passando per il multiplayer.

– I temi sono tutt’altro che banali

– Interessanti variazioni in fatto di RTS

– Pixel Art di ottima fattura

– Valorizzazione del comparto audio

Dopo tanta attesa e quando la speranza stava iniziando a vacillare, Riot – Civil Unrest arriva su Steam in Early Access e già questo è un primo successo, perché l’opera di Leonard Menchiari e di IV Productions è un unicum nel panorama del medium che merita attenzione. Il progetto è certamente ambizioso ma, al di là del suo valore ludico, l’opera ha il coraggio di trattare temi difficili da raccontare, come le proteste di Piazza Tahrir o il movimento degli Indignados, anche se si ferma un passo prima e, volutamente, evita di schierarsi apertamente, lasciando al giocatore la libera interpretazione dei fatti. Le meccaniche strategiche di Riot – Civil Unrest sono anche loro ben lontane dai canoni del genere ma, proprio nella loro peculiarità, ben si sposano con la natura del gioco, anche se cozzano con una realtà fatta di interfacce difficili da interpretare, azioni spesso illeggibili e frutto di un forsennato click nella speranza che le proprie “unità” seguano gli ordini.