Xbox + Bethesda mette fine alla console war

L'acquisizione della casa di The Elder Scrolls e Fallout dimostra una volta di più che è venuto a mancare il terreno di scontro tra Microsoft e Sony

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a cura di Paolo Sirio

Soltanto pochi giorni fa abbiamo assistito alla prova di spietatezza, così l'abbiamo definita, di Sony nell'avvicinamento alla prossima generazione di console.

Lo showcase di PlayStation 5 l'ha vista ribattere colpo su colpo alla strategia di Microsoft per Xbox Series X|S: una strategia ricalcata passo dopo passo – su cross-gen, servizi, pricing – con la forza di chi sa che, pur arrivando con tutta la calma del mondo su alcune scelte chiave nell'approccio al giocatore-consumatore, sa che alla fine la spunterà per il rapporto fiduciario che si è creato tra l'utente e il suo marchio.

PlayStation è in una dimensione in cui, forte dei suoi quasi 120 milioni di console vendute e intere generazioni dominate a suon di brand – una posizione che non le è stata certo calata dall'alto, ma che è stata conquistata e riconquistata comprendendo, in anticipo rispetto a tutti gli altri, le esigenze della sua base –, ricerca il confronto muscolare perché sa che salendo sul ring uno contro uno, aggredendo con ferocia come sui pre-order raffazzonati giusto per uscirci un giorno prima, riuscirà sempre e comunque a portare a casa una vittoria roboante.

Con l'acquisizione di Bethesda, invece, Microsoft ha dimostrato ancora una volta di essere ascesa ad una dimensione totalmente differente.

La console war è finita

L'annuncio dell'acquisizione dell'intera ZeniMax Media da parte di Microsoft ha dell'epocale, ed è un aggettivo che non utilizziamo a caso: un passaggio di proprietà dalle cifre e dal quantitativo di asset, tra studi e proprietà intellettuali, che si è registrato questa settimana non ha alcun precedente, e la cifra di 7,5 miliardi di dollari sborsata cash dalla compagnia di Redmond è un numero che rende bene l'idea del momento e del colpo storico assestato.

Quando diciamo che «la console war è finita» lo intendiamo su molteplici piani. Il primo è pura provocazione: una mossa del genere, un annuncio bomba di questa portata, eseguita ad appena un giorno dall'avvio della campagna di pre-order di una nuova console è da sola in grado di spostare gli equilibri e scombussolare ogni possibile analisi si sia fatta della generazione ormai prossima all'apertura, un quadro in cui l'assist servito su un piatto d'argento dalla sorprendente carenza di unità di PS5 è soltanto la ciliegina sulla torta.

Realisticamente, chi voleva PlayStation 5 ieri continuerà a volere PlayStation 5 pure domani, per una questione di scelta già fatta e che non vedrà un mutamento dello scenario precostituito nell'immediato (acquisire una label non vuol dire avere esclusive pronte in due giorni, come abbiamo appreso nelle ultime esibizioni di Xbox Series X|S), ma anche perché la fedeltà al marchio e alla sua proposta contenutistica è così forte che già si sta assistendo sui social alle peggiori eresie tipiche delle tifoserie che un giorno esaltano un campione e quello successivo lo buttano giù con cattiveria dal piedistallo.

Ci è capitato di leggere oscenità come una Bethesda dalla vena creativa ormai chiusa dai tempi di Skyrim, quando da Skyrim si è estesa con nomi quali Arkane, ha rilanciato IP come DOOM, Wolfenstein e Fallout, ha visto Bethesda Game Studios sfornare il suo primo gioco online, annunciare The Elder Scrolls VI e la sua prima nuova IP in 25 anni – non esattamente quello che ti aspetteresti da un'etichetta dalla vena creativa chiusa, insomma.

Sebbene non tocchi troppo di quello che succederà nell'immediato, Xbox + Bethesda è di certo un'operazione che è stata presentata con queste tempistiche – ad acquisizione che sarà completata soltanto a metà 2021, dopo essere stata in cantiere dall'estate – per dare una spallata a PlayStation e spingere i pre-order delle Xbox di nuova generazione, smosse dal prezzo sorprendente di Xbox Series S appena annunciato ma ancora mogie per il rinvio di Halo che le consegna ad una lineup software deficitaria al lancio.

Non è certo un caso che l'immagine di copertina dell'investimento sia stata riempita dai nomi delle serie coinvolte nell'acquisizione e non di quelli degli studi, perché stavolta c'era da trasmettere subito il messaggio della potenza di fuoco che Microsoft si è messa in casa, tra DOOM, Wolfenstein, Prey, The Elder Scrolls, Fallout; c'era proprio l'urgenza di mostrare nel concreto cosa significasse muovere queste pedine, parlare alla pancia dei giocatori e, anche a costo di fare un comunicato alquanto vago, paventargli la possibilità che non uno, non due, chissà forse tutti i suoi giochi preferiti o tanto stimati potrebbero essere un giorno un'esclusiva Xbox.

Così è stato fatto e così, con un colpo di reni che a dirla tutta stavamo aspettando da tempo a ridosso del lancio della next-gen (di certo non di queste proporzioni), si è colta l'occasione di presentarsi come un'alternativa viva all'egemonia culturale di PlayStation e porre l'accento ancora una volta sulla disponibilità di un sistema di fruizione diametralmente opposto a quello proposto dalla concorrenza; in una parte, una buona parte, è come se quest'acquisizione fosse stata sfruttata quale enorme vetrina per Xbox Game Pass, non per una coincidenza dato giusto oggi a 15 milioni di abbonati (+5 milioni dall'ultimo dato ufficiale, risalente ad aprile 2020), esposto in lungo e in largo – persino su CNBC – da Phil Spencer, dal CEO Satya Nadella e dai loro per un'intera giornata insieme alla visione del mondo e dell'industria di Microsoft.

Complice l'avvento su Android, è legittimo immaginarsi come questa sola giornata sia stata destinata a regalare vagonate di abbonati alla sottoscrizione all you can eat videoludica, grazie all'iniezione di fiducia e hype derivante dallo shock indotto sulla scena videoludica, e su appassionati increduli che teorizzavano, sì, qualche annuncio per far rumore, qualche partnership, qualche altro studio AA, ma una roba così proprio no.

Al di là della gara di schiaffoni che si stanno tirando da mesi Sony e Microsoft, l'acquisizione di ZeniMax ci consegna alcune considerazioni “col senno di poi” che spiegano tanti dei fatti accaduti negli ultimi mesi. Primo su tutti, una Bethesda che da tempo ostentava evidentemente disponibilità ad ascoltare eventuali proposte e di ogni genere: l'esclusiva a tempo concessa a Sony su Deathloop e GhostWire Tokyo gridava ai quattro venti che produzioni tanto coraggiose sarebbero state permesse ai suoi studi interni soltanto a patto di una mano dall'esterno a contenerne le probabili prestazioni non eccezionali ai botteghini e a promuoverne un'immagine che sarebbe stata troppo onerosa da gestire per prodotti conosciuti solo dalla nicchia della (fu?) nicchia del gaming.

Per quanto dettato dall'ambizione di portarsi al passo coi tempi, è evidente come Fallout 76 sia stato frutto di un'idea ben precisa, ovvero della realizzazione di un prodotto col potenziale di sostenere la sua produzione e di generare profitti su un lungo periodo di tempo – sostanzialmente, sul polo opposto di quanto non abbia fatto finora nei suoi oltre trent'anni di storia. Ed è evidente che, senza interventi di realtà terze, questo solco sarebbe stato percorso da altre proprietà intellettuali del suo portfolio. La multinazionale americana non è nuova ad accordi di esclusive a tempo, proprio con Microsoft ne ha siglati diversi nel tempo con The Elder Scrolls, ma questi due segnali messi insieme restituivano l'impressione non necessariamente di cattive acque, ma che qualcosa potesse muoversi presto o tardi (più o meno come successo con altre realtà dalle dimensioni assimilabili, come WB Games).

La seconda considerazione sta nella portata dell'investimento di Microsoft. Il colosso dello stato di Washington ha accelerato la sua corsa al gaming negli ultimi due anni e lo ha fatto di pari passo con la comprensione che il suo business portante, il cloud, potesse associarcisi e dare vita ad un gigante capace di trascendere i dispositivi, ma mai prima d'ora avevamo visto una dimostrazione così plastica del suo impegno nei videogiochi.

Finalmente, finalmente, hanno cominciato a piovere sull'industria le cifre monstre che abbiamo visto esposte con fierezza per manovre come quelle di LinkedIn ($26,2 miliardi), GitHub ($7,5 miliardi in azioni), Skype ($8,2 miliardi), di fronte alle quali finora Phil Spencer aveva, suscitando una certa tenerezza, spiegato che Xbox si stava in realtà muovendo per i talenti e non per le aziende già strutturate piene di giacche e cravatta.

Adesso, il gaming non è più il business di serie B di Microsoft, perché ora Xbox Game Pass registra 5 milioni di utenti in più in una manciata di mesi e sono numeri che non segnalano ancora l'andamento su Android, e questo vuol dire che il grano che si è tirato fuori per le altre divisioni potrà essere tirato fuori anche per sistemare i videogiochi una volta e per sempre (ammesso che la notizia di Bethesda non sia abbastanza) o renderla ancora più ambiziosamente un'autentica Disney dei videogiochi, altro che Netflix!, pronta ad accogliere sotto il suo ombrello decine di juggernaut e sfornare di continuo prodotti su prodotti. Con una mentalità del genere, e con queste risorse, il limite è l'immaginazione del team di dirigenti; è il cielo. Ed era ora.

Quando descrivevamo la fine della console war, avevamo parlato di molteplici livelli su cui stiamo assistendo a questo (poco) repentino cambio di prospettiva, e il secondo è quello che intendiamo realmente colpire con questo approfondimento perché si focalizza sulle ragioni concrete della conclusione delle ostilità – che lo vogliano o meno – tra i due principali player che giocano sullo stesso campo.

Esattamente come ha fatto Nintendo in tempi non sospetti, anche Microsoft sta provando a smarcarsi dalla morsa di Sony e a ritagliarsi un proprio spazio nel gaming; nel caso della Grande N è la creatività spinta fino alle più estreme conseguenze a dettare lo smarcamento, mentre in quello di Microsoft sono i servizi. La filosofia di Xbox in questo momento è: non me ne frega di dove li giocate, basta che li giochiate, e con questo ennesimo step (dopo Xbox Play Anywhere, dopo Minecraft, dopo Cuphead, dopo Ori...) il computo delle piattaforme coperto dal “me ne frega” copre non più soltanto Xbox One, Xbox Series S|X, PC e marginalmente Nintendo Switch, ma anche PS5.

Dopo le timide aperture originali, Nadella è tornato a parlare oggi di come l'ambizione di Microsoft sia essere sul numero più grande possibile di dispositivi, non di vendere il quantitativo maggiore di console o avere più esclusive rispetto alla concorrenza; non uscitevene con le espressioni di sorpresa quando vedrete qualcosa di grosso succedere alla Microsoft publisher (che già assesterà, teoricamente, due esclusive PlayStation a tempo con Deathloop e GhostWire Tokyo nel 2021) sulle console di Sony.

In questo senso, lo scontro frontale tra Xbox e PlayStation si è esaurito per la prima volta non perché uno dei due partecipanti alla contesa abbia vinto, ma perché adesso i due partecipanti propongono due modi diversi e alternativi di giocare. Com'è stato nel corso di questa generazione con single-player story-driven da un lato ed esperienze multiplayer dall'altro, che potenzialmente si protrarrà pure nella prossima, ma adesso il centro della scena è tutto per Acquisto vs Servizio, una sorta di Pay Per Play che i giocatori si godranno in base a come vorranno pagare per i loro titoli preferiti e quelli che lo diventeranno. Sono due modalità così differenti da non toccarsi in alcun punto, e da non porre – non più – il consumatore di fronte al dilemma della scelta tra una console o l'altra, perché il servizio è disponibile a prescindere dalla piattaforma.

Dove porteranno queste visioni

PS5 e Xbox Series X|S sono due console figlie di visioni del gaming profondamente diverse. PS5 punta a vendere giochi, Xbox Series X|S a piazzare un servizio, ed è una differenza sostanziale che abbiamo già iniziato ad apprezzare per alcune sfumature nell'ultimo paio d'anni, con release più piccole e frequenti su Xbox com'è stato dall'inizio dell'anno a questa parte (pensate ad agosto, con Wasteland 3, Tell Me Why, Microsoft Flight Simulator e Battletoads, per parlare solo dei first-party, nello stesso abbonamento); una differenza che sarà completa soltanto quando Xbox All Access comincerà a vendere non più solo i giochi e l'accesso all'online ma anche le intere console in tutto il mondo il prossimo anno.

È portando avanti questa filosofia che Microsoft dice, suscitando un certo scalpore, che alla fine non è stato un danno incalcolabile perdere Halo Infinite per il lancio di novembre; il servizio è ancora lì, Halo o non Halo, e ci sarà ancora quando Halo tornerà in tutto il suo splendore per vendere, indovinato, altri abbonamenti.

È portando avanti la sua filosofia che Sony afferma, invece, che un PlayStation Game Pass per lei non sarebbe sostenibile, perché 1) non vuole smettere di continuare a fare quello in cui è brava (ringraziando il cielo!), ovvero blockbuster da centinaia di milioni di dollari, e che le è valsa il dominio per una generazione e mezza; 2) non ha il numero di piattaforme e la tecnologia di base, almeno per ora visto che proprio Microsoft le fornirà presto l'infrastruttura cloud necessaria, a disposizione per rendere uno switch del genere profittevole; grande scommessa su cui sta puntando Microsoft e che è la ragione per cui ha lottato con le unghie e con i denti per avere, oltre a PC e Android, almeno una console entry level da €299. È una guerra delle filosofie, più che una console war.

Questa guerra per Microsoft si gioca persino sugli stessi contenuti tra le due console: nella sua visione, le esclusive sono importanti per darti il tono di chi vuole giocare davvero la partita e l'appeal di una mascotte, nonché per assicurarti con mano che il tuo catalogo sia sempre rifocillato secondo i tempi che detti tu, ma la vera esclusiva sarà dare ai propri abbonati la possibilità di avere un titolo pagando €10 al mese.

Gran parte della discussione in seguito all'acquisizione di ZeniMax Media è stata focalizzata sulla possibilità o meno che The Elder Scrolls VI sia un'esclusiva Xbox e PC, ma non è certo questo il punto; il punto è che The Elder Scrolls VI tu lo prendi a €80 su PS5 e a €10 su Xbox Series X. L'esclusiva è avere la chance di offrire un contenuto di questo spessore ad una cifra simile, non il contenuto in sé.

Non a caso, il sistema che sta mettendo in piedi la Grande M (è un titolo che sta cominciando a dimostrare di volersi meritare) è di tipo ibrido e così resterà sicuramente almeno per i primi tempi, com'è stato con Obsidian per The Outer Worlds e inXile per Wasteland 3, anche per dare l'idea all'infuori della bolla boxara di quello che ci si stia perdendo. Dopo un ciclo iniziale che saprà di victory lap, ammesso che le carte in tavola non cambino prima dei fuochi d'artificio e cioè dell'erede di Skyrim, dovrebbero cominciare a fioccare anche le tanto agognate esclusive totali.

Prima di allora, però, è presumibile che i big come The Elder Scrolls VI escano dappertutto, sceglieranno poi i consumatori verso quale filosofia orientarsi e, qualunque finiscano per premiare, sarà sempre una vittoria – che sia del publisher o del platform owner. I medio-grandi (Prey, Deathloop) e le nuove IP (parrebbe già il caso di Starfield, che non a caso è stato menzionato a più riprese nel post d'annuncio di Phil Spencer insieme a Xbox Game Pass tra i capisaldi dell'accordo) finiranno rapidamente nel novero delle esclusive, sia per dare richiamo all'abbonamento che per creare quel cameratismo che tanto piace ai gamer più rumorosi e, con una base installata dignitosa, può fare soltanto del bene a singoli titoli difficili da piazzare altrimenti.

È lecito aspettarsi ancora una maggiore apertura alle altre piattaforme in futuro, sì, ma vincolate a Xbox Game Pass e non più come singole uscite: il platform owner a stelle e strisce, non è un mistero, avrebbe approcciato Nintendo e persino Sony per tastare il terreno di fronte ad una possibile integrazione del servizio sulle loro piattaforme, ricevendo per ora un “no, grazie” ma siamo abbastanza convinti che, superata la resistenza di Apple per iOS (su cui Spencer si è detto poche ore fa sicuro di farcela «non oggi, non domani» ma presto) e spianata la frontiera delle Smart TV, nel mirino torneranno a finirci loro.

In conclusione

Quel che è certo è che la filosofia dei servizi che sta regolando ogni logica in casa Microsoft sta soltanto spiegando le ali prima di raggiungere il suo stadio finale, e questo comprende dispositivi coperti in primis, studi interni messi all'opera al 100% e quindi prima ondata di titoli next-gen dagli Xbox Game Studios, e formule di ingresso scandite col passo giusto in tutto il mondo – grazie alle quali sarà possibile acquistare una Xbox come si compra uno smartphone oggi.

Fino ad allora, è il nostro pensiero, con una macchina super potente e l'altra super accessibile, con il valore di Xbox Game Pass e con l'impatto mediatico dell'annuncio di Bethesda, Microsoft ha quello che serve per giocarsi davvero la sua partita – che, però, è da tempo diversa da quella che immaginano i tifosi.

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