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Immagine di Those Who Remain non è l'horror che prometteva di essere - Recensione
Recensione

Those Who Remain non è l'horror che prometteva di essere - Recensione

Those Who Remain è un puzzle game mascherato da survival horror che non riesce a far bene in nessun dei due generi. Vi spieghiamo il perché nella nostra recensione.

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 28/05/2020 alle 15:00
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  • Pro
    • Buona l'idea delle scelte morali e il modo in cui vengono proposte
    • Storia riuscita solo in parte...
  • Contro
    • ... Che tende a concentrarsi troppo su dettagli poco rilevanti
    • Fasi di fuga da dimenticare
    • Struttura da puzzle game desueta, sin troppo schematica e a tratti irritante

Il Verdetto di SpazioGames

5.2
Già cimentatasi nel genere con risultati piuttosto sconfortanti, Camel 101 non riesce nemmeno stavolta a offrire un'opera convincente e appassionante. Those Who Remain non è infatti il survival horror che prometteva di essere, rivelandosi in definitiva un puzzle game sin troppo schematico e poco moderno, incapace sia di eccellere nella qualità degli enigmi, sia nel proporre un impianto da survival horror degno di menzione, che cade vittima di una realizzazione sin troppo approssimativa e manchevole in parecchi aspetti d'importanza primaria.

Informazioni sul prodotto

Immagine di Those Who Remain
Those Who Remain
  • Sviluppatore: Camel 101
  • Produttore: Wired Productions
  • Piattaforme: PC , PS4 , XONE , SWITCH
  • Data di uscita: 28 maggio 2020

Those Who Remain si apre presentandoci un uomo dalla vita apparentemente perfetta: una compagna amorevole, un’esistenza costellata da durature esperienze felici e il tipico quadro idilliaco che dipinge il meglio che un uomo nel pieno della propria giovinezza possa desiderare. Eppure è lì che osserva una foto di coppia mentre si rigira un bicchiere di whisky tra le mani, con una pistola accanto, determinato a farla finita una volta per tutte. Edward si flagella, al solo pensiero di essere stato un bastardo senza cuore ed egoista, di aver compiuto atti empi e irrispettosi, imperdonabili.

C’è molto di più nella vita di un uomo rispetto a quanto le semplici impressioni altrui possano appena captare, ed è per questo che proprio nella scena di apertura, e prima di un epilogo che sembra già annunciato, scopriamo uno dei motivi che angustia nel profondo il protagonista: attraverso un messaggio sullo smartphone che blocca il suo gesto scellerato appena in tempo, la sua amante lo invita in una stanza d’hotel per l’ennesima notte di passione.

Esattamente in quel momento, in lui scatta la molla interiore che lo spinge a confrontarsi con le proprie malefatte: bisogna mettere un punto alla relazione clandestina e fare in modo che le cose tornino al loro posto. Il confronto diretto è l’unica via per troncare tutto definitivamente; eppure gli esiti si riveleranno diversi, in Those Who Remain, perché l’approdo in albergo coinciderà con l’inizio di una serie di eventi inspiegabili. Taluni – duole ammetterlo – anche per il giocatore.

Those Who Remain e quelli che non torneranno mai più

La parte iniziale di Those Who Remain non va troppo per il sottile, e dopo l’arrivo in hotel del protagonista verrete investiti da un’assurda vicenda di cui sembra impossibile individuarne i contorni. L’albergo è deserto, nella stanza non c’è nessuna amante e una telefonata anonima e improvvisa che squarcia il silenzio della notte cederà il passo a un avviso perentorio che arriva dall’altro capo del telefono: “Rimani nella luce“, è l’imperativo che riceve Edward.

Ed è da quel momento che la minaccia prenderà vita nella sonnolenta cittadina di Dormont, un luogo dove i sussurri notturni si fondono con delle figure immobili che sostano nel buio profondo ai lati della strada, lungo i campi di granturco, nelle stanze abbandonate in cui la luce non fa più capolino. Tutti sembrano spariti, fagocitati dal grande nulla che tutto divora, con sparuti cadaveri qua e là che sembrano anticipare il destino imminente di chi in quella cittadina ci era arrivato solo per mettere ordine nella propria vita.

Dall’incipit in poi, Those Who Remain si fa più confuso, perde la bussola e inizia a narrare non la vostra, ma la storia degli altri, di chi è scomparso, di chi ha portato il pesante fardello di colpe insostenibili. In un’eco travolgente che pare voler anticipare un passato fosco anche per il protagonista, Those Who Remain fa invece l’errore di diluire la sua narrativa con dettagli e storie secondarie che tratteggiano sin troppi elementi accessori, come a voler dare più importanza a delle scelte morali che non ai motivi che animano la vivace interiorità di Edward.

Quando appena fuori dall’albergo qualcuno vi ruberà l’auto, sarete costretti ad attraversare Dormont con l’ausilio di luci artificiali, unici strumenti attraverso cui potrete rimane immuni e salvarvi da morte certa. Those Who Remain ha quasi l’ardire di definirsi un horror, ma si rivela in ultima battuta qualcos’altro, deludendo chi lo aveva adocchiato alla ricerca di nuovi brividi. Si tratta più di un thriller psicologico, ma anche questa definizione non riesce a inquadrare con chiarezza ciò che l’opera del trio chiamato Camel 101 vuole essere. Ben presto, infatti, Those Who Remain mostra la sua natura da puzzle game mascherato da survival horror, con costrizioni e meccaniche convolute che fanno fare diversi passi indietro non a uno, ma a ben due generi contemporaneamente.

Ne risente anche la storia, che deve subire diverse battute d’arresto causate sia dalla concentrazione eccessiva su elementi non rilevanti, sia da una conduzione di gioco incredibilmente farraginosa, pachidermica, legata a schemi desueti persino per i cosiddetti walking simulator: andare alla ricerca di un oggetto specifico per poter interagire con un elemento dello scenario può forse andare bene in alcune sezioni, ma quando diventa una grottesca esibizione di ping-pong si capisce quanto più di qualcosa sia andato storto nella costruzione di gioco.

Oltretutto, Those Who Remain in questo pantano sembra volerci sguazzare appositamente per tutto l’arco dell’avventura, evitando di darvi molto spesso delle chiavi di lettura utili a farvi comprendere in che modo dobbiate agire. Non sono rari i momenti in cui vagherete nello stesso punto per più del previsto, aumentando in modo artificioso una durata di gioco che sarebbe altrimenti più esigua.

Per la maggior parte del tempo, il compito di Edward sarà quello di accendere le luci, illuminare in qualche modo delle zone importanti per poterle raggiungere, e più in generale evitare di entrare in contatto con delle sagome dagli occhi blu che mai vi attaccheranno, mai si muoveranno e mai rappresenteranno un’autentica minaccia. Per morire gli dovrete letteralmente andare addosso, e dopo i primi tentativi sperimentali andati a vuoto non è qualcosa che vi capiterà più.

Buio e luce, squallide bugie e illuminanti verità

In Those Who Remain, nel tentativo di rischiararvi il cammino, v’imbatterete in dei portali che si affacciano su una sorta di dimensione onirica in cui gli scenari appaiono diversi. Sono porte che si trovano in delle specifiche sezioni e vi consentono di agire lì dove nel mondo reale di Dormont non è possibile: per spostare un ostacolo che vi blocca il cammino, per liberare dall’edera un auto, per accendere una lampada altrimenti fuori portata, per leggere quei file di testo fondamentali per capire cosa è successo a dei cittadini prima della loro sparizione.

A tal proposito, queste parti di gioco vi obbligheranno ad assolvere o condannare dei personaggi, ed è soddisfacente il modo in cui vengono presentati i risvolti psicologici che hanno condotto all’atto efferato. L’equilibrio morale in cui galleggiano gl’imputati vi farà dubitare di quale sia la scelta migliore da compiere, e stabilire se il gesto è condannabile come un Torquemada d’antan potrebbe aprire uno squarcio in quello che è il senso di colpa latente di Edward.

In Those Who Remain, per dare una scossa al generale immobilismo che permea l’intera produzione, sono presenti delle sezioni in cui bisognerà fuggire da un nemico ricorrente. Si tratta in assoluto delle parti meno riuscite, che mostrano tutti i limiti di gioco e delle capacità del protagonista: si consideri infatti che è solo possibile correre all’impazzata e null’altro. Non ci si può abbassare, non si può sgattaiolare via usando degli elementi dello scenario per occultare la propria presenza, non si possono usare armi perché non sono previste e non esistono interazioni contestuali.

Non è possibile fare nulla di diverso che non siano delle elementari e banali manovre di aggiramento, che tuttavia non sempre saranno possibili, perché il nemico vi sarà addosso in men che non si dica e senza darvi modo di allontanarvi abbastanza. Those Who Remain non abusa mai di queste sezioni, che non funzionano né a livello di gameplay, né per generare tensione: il monster design è tutto fuorché orientato a impressionare o terrorizzare, e la gestione di questi specifici momenti, anziché generare ansia, crea solo un grande fastidio.

La costruzione di Those Who Remain appare per larghi tratti bizzarra, con parti che sembrano essere state sviluppate a compartimenti stagni per poi essere incollate a forza come delle carrozze di forme e colori diversi che danno corpo a un convoglio carnascialesco. La netta sensazione, in diversi frangenti, è che non ci sia una vera coesione tra una zona e l’altra, e che certe aree siano state implementate non avendo in mente sin da subito una chiara progettualità.

Tecnicamente, Those Who Remain si attesta sotto la media e mostra una modellazione poligonale dei personaggi appena sufficiente, delle animazioni da rivedere e una serie di bug che nemmeno la patch pre-lancio è ancora riuscita a correggere. Tra questi, una luce abbacinante che talvolta si sostituisce a delle pareti e vi impedisce di vedere correttamente dove dobbiate andare, assieme a qualche blocco di gioco che vi costringerà al riavvio.

Those Who Remain, al di là di pochissime discrete intuizioni sui profili psicologici e su aspetti secondari della trama, non incontrerà il favore degli amanti dell’horror e dei puzzle game, poiché non riesce a offrire eccellenze o quanto meno soddisfazioni in nessuno dei due generi che ha deciso di abbracciare.

+ Buona l'idea delle scelte morali e il modo in cui vengono proposte

+ Storia riuscita solo in parte...

- ... Che tende a concentrarsi troppo su dettagli poco rilevanti

- Fasi di fuga da dimenticare

- Struttura da puzzle game desueta, sin troppo schematica e a tratti irritante

5.2

Già cimentatasi nel genere con risultati piuttosto sconfortanti, Camel 101 non riesce nemmeno stavolta a offrire un’opera convincente e appassionante. Those Who Remain non è infatti il survival horror che prometteva di essere, rivelandosi in definitiva un puzzle game sin troppo schematico e poco moderno, incapace sia di eccellere nella qualità degli enigmi, sia nel proporre un impianto da survival horror degno di menzione, che cade vittima di una realizzazione sin troppo approssimativa e manchevole in parecchi aspetti d’importanza primaria.

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