Recensione

The Banner Saga 3, la recensione del finale dell'opera di Stoic Studio

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

Silly monkeys give them thumbs 
They make a club
And beat their brother down
Strano come alle volte si facciano associazioni apparentemente illogiche: cosa hanno in comune i suoni duri dei Tool, e nello specifico le melodie e il testo di Right in Two, con i toni drammatici e da fine del mondo di The Banner Saga 3? Molto di più di quanto ci si possa aspettare, perché l’epilogo tratteggiato dal team di Stoic – ricordiamo fondato da tre ex dipendenti della Bioware che fu – viaggia costantemente su due piani paralleli e allo stesso tempo convergenti: proprio come le parole scritte da Keenan, anche questo terzo capitolo ci mette al cospetto dell’insensatezza dell’agire umano, del suo egoismo e della sua capacità di autodistruzione, anche davanti all’Oscurità che sta inghiottendo ciò che rimane di un mondo a pezzi. 
Ecco quindi prendere vita un finale in cui si fondono giochi di potere, vendette intime e disperati tentativi di conciliare il proprio passato e gli affetti con una situazione che non lascia scampo a nessun ripensamento. Per buona parte della sua non lunghissima durata – sono giunto alla parola fine in circa otto ore – The Banner Saga 3 riesce a mantenere intatto questa duplice lettura senza scadere in un personalismo che sfuggirebbe all’agire razionale, ma con l’avvicinarsi dei titoli di coda non mancano alcune fasi più deboli, risposte mezze incompiute e che forse non sostengono a sufficienza una situazione sull’orlo del non ritorno.
Nelle puntate precedenti…
Sin dal suo concepimento, The Banner Saga è stato ideato come una trilogia e anche la numerazione dei capitoli sottolinea la continuità degli eventi: è comprensibile quindi che un giocatore orfano dei primi due episodi si trovi spiazzato davanti ad uno stato di cui non conosce gli antefatti, che nel caso specifico sono oltretutto ricchi di bivi, biforcazioni e risvolti. Per colmare qualche lacuna, Stoic ha introdotto un filmato utile a ricapitolare per sommi capi ciò che è successo prima dell’arrivo della carovana ad Arberrang e della partenza di Juno, Eyvind e Iver verso l’Oscurità, ma il risultato è più o meno quello dell’effetto placebo: annuisci con la testa fingendo di aver capito, ma sotto sotto sai che l’ottanta per cento dei nomi citati non ti dicono assolutamente nulla. Avere alle spalle il lungo percorso intrapreso dalla carovana è un valore aggiunto non da poco per godere pienamente del finale e la possibilità di importare i propri salvataggi valorizza questo senso di continuità, anche se nulla vieta di creare una partita ex novo scegliendo come eroe principale Rook o Alette. L’importanza data al racconto e alle decisione intraprese lungo il cammino rende quasi un’impresa parlare di The Banner Saga 3 senza bruciare qualche passaggio chiave o togliendo il gusto della scoperta. Il titolo è suddiviso in due parti pressoché contemporanee: da un lato Rook – o Alette, a seconda della scelta – è alle prese con la strenua difesa di Arberrang, capitale degli umani e uno degli ultimi baluardi rimasti in piedi contro l’Oscurità, oramai in procinto di capitolare davanti agli assalti dei Dredge e in cui regna l’anarchia a causa delle continue trame di Rugga. Nell’altro emisfero, la spedizione guidata dai Valka Junio ed Eyvind, e sorvegliata dal possente Varl Iver, cerca un disperato assalto al cuore dell’Oscurità stessa, nell’estremo tentativo di sconfiggere il serpente nato dalle viscere della terra e di ridar vita al sole stesso. 
I momenti sono volutamente drammatici e, forse anche più che nel passato, le scelte intraprese del giocatore indirizzano in modo secco il procedere dell’avventura: anche a costo di risultare indigesto per i neofiti, The Banner Saga 3 non ha paura di raccontare più storie e intrecci, di tratteggiare una favola nordica dai toni cupi e decadenti, in cui riaffiorano i rancori del passato, che dilaniano i rapporti anche nel momento del massimo pericolo. Non è sempre facile stare al passo con i nomi dei personaggi, dei luoghi o delle battaglie, ma il risultato è un magnifico intreccio fra il passato, il presente e quello che rimane del futuro. Nel corso della trilogia, i personaggi hanno intrapreso una percorso di maturazione e presa di coscienza, che ha il suo compimento in questa conclusione, dove le singole introspezione servono a capire in profondità l’agire, razionale o irrazionale, di tutti gli attori. Inoltre, questo terzo episodio arriva già sottotitolato in italiano, con una traduzione non impeccabile in fase di recensione, ma comunque utile per chi mastica meno l’inglese. Anche le singole razze, siano i centauri, i Varl o i distruttori, vengono dipinti con umanità, non delle semplici pedine su uno scacchiere in cui contano solo pochi pezzi, ma attraverso le loro storie traspare anche un richiamo al presente reale, al dramma di chi fugge da qualcosa che da solo non può sconfiggere. Arberrang, con tutte le sue difficoltà, diventa il luogo protetto dei rifugiati e dei profughi, metafora dei tempi moderni. 
Nell’eccelsa qualità della narrazione, qualche punto meno fortunato c’è, soprattutto in base all’empatia di chi sta dall’altra parte dello schermo: opinione su cui si può discutere, ma proprio nel finale, durante il faccia a faccia con il vero nemico, ho faticato a digerire certe visioni di alcuni personaggi e fra me e me mi auguravo che l’Oscurità si prendesse tutto quanto, incluso il mio PC. Oltre non posso andare per non entrare in area spoiler. Anche il finale pecca dello stesso di particolarismo e le risposte date attorno alla nascita del male e l’avvento del serpente distruttore affievoliscono il livello di ineluttabilità del fato, tema che invece appare con forza soprattutto durante la resistenza di Arberrang. A parte qualche piccola caduta di stile, The Banner Saga 3 rimane un’opera dai temi maturi, che non ha paura di colpire il giocatore come un pugno diretto allo suo stomaco e non si vergogna di lasciare sul terreno i cadaveri dei protagonisti: The Banner Saga 3 è una vera cartolina dalla fine del mondo.
Scelte decisive
Gli schemi ludici, proprio come la storia, si dimostrano una diretta prosecuzione rispetto a quanto proposto sino a questo finale, ma l’epilogo riesce a vivere di luce propria e non sono poche le modifiche introdotte dal team di sviluppo. Se paragonato con i precedenti episodi, The Banner Saga 3 non ha i tratti di un vero viaggio, la meta è oramai raggiunta, e proprio la stanzialità delle situazioni ha affievolito la parte strategica, con le gestione delle risorse e dei sopravvissuti che viene posta in secondo piano. Questo non significa però che le decisioni abbiano un peso minore, perché Stoic è stata abile a legare in modo stretto gli eventi vissuti dai due gruppi di eroi e così, quello che succede nella capitale umana, la sua caduta o la sua strenua resistenza, ha una diretta ricaduta anche sulla disperata impresa di Juno, Eyvind e Iver. La staticità dell’avventura ha altre conseguenze, soprattutto sull’immaginario del gioco e i panorami esplorati: se in precedenza la serie aveva offerto scorci differenti e toccato i luoghi più disparati – sempre mantenendo una sua coerenza interna – per forza di cose questo finale rimane confinato dentro orizzonti più stretti. Ciò non significa però che sia venuta meno la forte caratterizzazione dei luoghi, perché l’Oscurità e ciò che nasconde nelle sue viscere hanno una forte carica emotiva, che risalta sia nei tratti disperati dei pochi sopravvissuti, sia nelle deformità di chi è stato contagiato, che oramai vaga senza speranza in un cimitero ricurvo su stesso e dove la natura segue altre regole. 
Un grande aiuto proviene ancora una volta dalla colonna sonora scritta e diretta da Austin Wintory, capace di sostenere ogni passaggio con grande maestria, andando sempre a tempo con ciò che accade su schermo, che siano momenti tragici e di trapasso, oppure che divampi la guerra. Allo stesso modo, anche il lato visivo gode di un valore artistico di assoluto rilievo, soprattutto durante le poche scene animate che accompagnano i momenti salienti, mentre il tetro cammino degli eroi viene reso ancora più stoico da un mondo che ha perso i suoi naturali confini, che il team di art designer si è sbizzarrito a render sempre più dilaniato e straniante.
Alla pugna
Una parte importante dell’opera viene ancora una volta riservata ai combattimenti a turno, non delle semplici pause tattiche durante il racconto, ma dei veri e propri punti di snodo, in cui una vittoria o una sconfitta incidono con più forza sul proseguo rispetto ad un semplice Game Over. Chi ha già avuto modo di scendere in battaglia nei passati episodi non troverà tantissime differenze in questa nuova iterazione, dal cui conservatorismo traspaiono comunque alcuni piacevoli innesti. Le regole di base sono le medesime: dopo la scelta del party con cui scendere in battaglia, la disputa viene regolata in base a pochi parametri statistici, come i punti vita/forza e la volontà, a cui sono legati sia i danni inflitti, quelli subiti e l’attivazione di alcune abilità speciali. Grazie alla presenza di differenti razze e personaggi, rimane valida la differenziazione dei ruoli, la cui fluidità non viene però permessa al giocatore, date le strette maglie in cui si muove l’aspetto ruolistico. Dopo ogni battaglia, grazie alle uccisioni ottenute, si guadagnano dei punti fama utili per avanzare attraverso i livelli, il cui limite è stato alzato in questo terzo episodio ed è accompagnato dall’attivazione di un titolo eroico. 
Nel complesso si tratta di piccoli ritocchi più che di modifiche sostanziali, ma sottolineano comunque la volontà di Stoic di offrire una valida esperienza non solo narrativa, ma anche sotto l’aspetto tattico. In quest’ottica vanno viste anche le novità riguardanti le battaglie e i teatri degli scontri, resi più dinamici grazie ad alcuni elementi con cui interagire, che purtroppo non sono però stati sfruttati in tutte le mappe. Infine sono state aggiunte anche alcune battaglie ad ondate, dove affrontare un numero crescente di nemici e al cui termine è generalmente posto un duello con un avversario più ostico, con un ovvio bottino finale. Le fasi tattiche presentano però alcuni punti di incoerenza rispetto al racconto: chi viene dipinto come un essere superiore, capace con la sua abilità di fermare l’Oscurità in persona e che cela un potere di cui esso stesso ha paura, spesso è poi il primo a cadere in battaglia. Sarebbe stato difficile effettivamente conciliare i due aspetti senza sbilanciare il gioco, ma non nego che risultava un po’ stridente vedere alcuni personaggi stesi al suolo, quando prima si ergevano come ultimi baluardi contro il male in persona. 

– Si respira un vero clima da fine del mondo

– Fatalistico e tragico, dolce e speranzoso

– Artisticamente incantevole

– Qualche piacevole novità per le battaglie

– Alcune risposte lasciano l’amaro in bocca

– Meno scenari esplorati

– Piccole incongruenze tra il raccontato e il giocato

– Alle volte si fa fatica a stare al passo con tutti i nomi

8.0

Nonostante qualche piccolo neo, The Banner Saga 3 è la giusta e degna conclusione del viaggio e rappresenta la definitiva consacrazione di Stoic, abili a non cadere proprio sul più bello. Questo epilogo si configura anche come un’evoluzione dal punto di vista ludico e, se sotto il piano narrativo la fiducia era difficile non venisse ripagata, la peculiarità di questo terzo episodio hanno permesso al team di sviluppo di giocare in maniera differente con gli stilemi oramai divenuti iconici per la serie. Forse con un pizzico di rammarico, è giunto il momento di porre fine al lungo pellegrinaggio di Juno, Eyvid, Rook, Alette e Yver, ma il sipario calerà sempre su uno scenario differente a seconda delle scelte del giocatore perché, proprio come in un libro game, le strade di The Banner Saga 3 non saranno le stesse per tutti quanti.

Voto Recensione di The Banner Saga 3, la recensione del finale dell'opera di Stoic Studio - Recensione


8