Consapevole del suo (amato) gameplay, Pokémon è bravo ma non si applica

Perché quello di Pokémon rimane, da ormai quasi trent'anni, un gameplay che si vende da solo, a prescindere da ogni inciampo.

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a cura di Salvatore Pilò

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Da ormai qualche giorno Nintendo, tramite un tweet, ha annunciato l’uscita della patch 1.1.0 su Pokémon Scarlatto e Violetto allegando anche un piccolo messaggio di “scuse” per i problemi in cui i giocatori di tutto il mondo, durante le prime settimane di lancio dei titoli di nona generazione, sono inciampati volenti o nolenti.

Tale aggiornamento, oltre a dare inizio alle danze sulle lotte competitive di Paldea, ha cercato di correggere qualche bug (non specificato) promettendo, inoltre, futuri aggiornamenti per stabilizzare uno fra i comparti tecnici più disastrosi che il mondo Pokémon ha avuto il (dis)piacere di vivere sulla propria pelle.

Al netto della patch, chiaramente necessaria per il titolo, le scuse che Nintendo ha allegato alla sua pubblicazione appaiono stranamente inutili per due ragioni (strettamente correlate): Scarlatto e Violetto hanno infranto qualsiasi record di vendita nel franchise (battendo anche altri tripla A usciti nella stessa finestra) e i giocatori, al netto di tutte le lamentele a ridosso del lancio, hanno continuato e continuano a giocare entrambi i titoli.

Cosa succede, dunque, all’interno di Paldea per riuscire, contemporaneamente, a generare delle vendite stratosferiche, un malcontento generale nei confronti di un gioco unito all’assuefazione delle stesso e, addirittura, delle scuse di Nintendo per le problematiche che ne minano la fruizione?

Ecco, succede che circa trent'anni fa, nel ‘96, Game Freak, con Satoshi Tajiri e Ken Sugimori, dà vita a un’idea stratosferica: avventurarsi all’interno di un mondo virtuale per catturare e collezione dei mostriciattoli tascabili da poter usare in combattimento per vincere medaglie e diventare il campione, oppure da scambiare con i propri amici.

Tutto il resto è storia.

L’idea è, senza mezzi termini, una bomba al punto da generare quella che è stata definita la Pokémania e che continua, ancora oggi, a funzionare senza se e senza ma: esplorare una nuova regione, scoprire quali sono i nuovi Pokémon che la popolano, scoprire come evolverli e arrivare ad essere dichiarato campione della Lega crea un loop di gameplay senza precedenti.

Il "loop" Pokémon: come funziona

Cosa funziona all’interno di questo ciclo continuo e ripetitivo di azioni? Essenzialmente tre cose: il piacere della scoperta, la mania della collezione e il senso di progressione.

Il piacere di “camminare nell’erba alta” (chiaramente oggi sostituito dai pupazzetti sulla mappa) e scoprire quale nuova creatura ci si parerà davanti è semplicemente la base del loop Pokémon che si innesca realmente nel momento della cattura: questo Pokémon si evolverà?

Per scoprirlo lo inseriamo in squadra e iniziamo ad allenarlo contro altri Pokémon, alimentando continuamente il ciclo, o contro altri allenatori che contribuiranno a scandire il nostro progresso: a che livello avrà il Pokémon Gennaro Bullo? Posso batterlo? 

Sopraggiunge l’evoluzione – quindi, ancora, la scoperta di una nuova creatura che a sua volta innescherà l’inizio di un nuovo ciclo per scoprire il prossimo stadio evolutivo, mentre la storia dell’allenatore protagonista viene scandita palestra dopo palestra, medaglia dopo medaglia.

E in questo loop continuo di esplorazione e scoperta i titoli di coda arrivano con una rapidità sconvolgente e ci chiediamo, da qualche anno a questa parte, come il titolo Pokémon di turno, nonostante “faccia schifo” (passateci l'espressione volutamente estremizzante, ndr) sia riuscito a tenerci incollati davanti allo schermo senza soluzione di continuità.

La risposta è stata, ovviamente, sempre davanti ai nostri occhi senza però che ci rendessimo conto realmente di quanto quella formula, vecchia di trent'anni, sia così potente da renderci completamente schiavi di un ciclo che ci fa diventare, momentaneamente, ciechi di fronte ad un videogioco che, a conti fatti, non ha assolutamente bisogno di nessun artificio da costruirgli attorno.

Scarlatto e Violetto provano in infiniti modi a scalfire il loop inficiandone le infinite potenzialità, è vero e non è discutibile.

Quel che, contrariamente al pensiero della massa, non funziona e che intralcia il “naturale” circolo vizioso del gameplay non è imputabile al comparto tecnico dei due titoli.

Cosa non funziona in Scarlatto e Violetto

Certo, è vero che avere a che fare con texture in bassa risoluzione, un pop-in continuo e un frame- ate che fa fatica anche solo a raggiungere i 30 fps gioca in un ruolo abbastanza imponente nell’economia di Scarlatto e Violetto ma è pur vero che nessun gioco Pokémon, storicamente, è ricordabile in ossequio ai suoi meriti tecnici, tutt’altro.

Ed è proprio in virtù del ruolo che ricopre storicamente il comparto tecnico all’interno del brand che nessuna patch pubblicata, né la 1.1.0 né le future, possono correggere i grandissimi errori della nona generazione che beneficerebbe semplicemente di una buona “scatola di presentazione” il cui contenuto resta, purtroppo, qualcosa che fa decisamente male a quanto la serie è riuscita a costruire nel tempo.

Arrivati a questo punto ci si chiede, giustamente, cosa fa di così tanto male Paldea (più grave delle sue deficienze tecniche) da riuscire ad incrinare il loop Pokémon?

Ecco, Paldea è il teatro vuoto di una storia senza un’anima: un palcoscenico di dimensioni mastodontiche in cui non solo ci si è dimenticati di inserire la scenografia ma ci si è anche dimenticati degli attori.

Con Scarlatto e Violetto (disponibili su Amazon) Game Freak ha messo in scena tre storie ognuna delle quali attinge ad un elemento particolare del gameplay ciclico di Pokémon, provando ad aggiungere qualche variabile qua e la per renderlo meno “monotono”.

Il Viale della Polvere di Stelle, ad esempio, attinge chiaramente alla ciclicità delle palestre (messe in scena comunque nel Cammino dei Campioni) aggiungendo l’idea dei campi da dover “ripulire” entro un tempo limite prima di poterne affrontare il capo.

Il Sentiero Leggendario, invece, attinge all’aspetto misterioso della scoperta all’interno del loop: scoprire cosa si nasconde dietro i Pokémon dominanti, l’impazienza di vedere il prossimo e l’esplorazione per trovarne la “tana” sono gli elementi che spingono il giocatore a proseguire su questo particolare cammino narrativo.

Succede però che dopo qualche ora di gioco ci si rende conto della mancanza di un level scaling, degli oggetti sparsi senza un senso lungo la mappa di gioco, della totale assenza di un motivo per addentrarsi all’interno di un cunicolo o di esplorare un angolo (esistono intere aree di Paldea che non ho mai visitato, ndr). In parole povere manca un disegno generale nella costruzione del mondo.

I Pokémon non sono credibili nelle aree in cui appaiono (salvo alcune eccezioni), non esiste alcun dialogo, le città sono semplici blocchi di poligoni non interattivi e non è presente nessun tipo di “premio” per il giocatore più attento.

Succede, quindi, che ci si viene a dire “perché devo esplorare di là?” o “Vabbè, cosa vado a prendere a fare quel Pokémon se fra qualche metro troverò la sua evoluzione” o, ancor peggio, “non c’è una palestra in quella città, posso evitarla”.

Il loop, quello che ci dovrebbe tenere incollati allo schermo e che ci ha tenuti incollati per trent’anni si spezza mostrandoci quello che, in fondo, Pokémon è sempre stato: una grande idea attorno alla quale si è costruito ben poco (senza che ce ne sia mai stato un reale bisogno fino ad oggi).

Pokémon, nonostante tutto

Eppure quell’idea del 1996 funziona così bene che riesce a superare addirittura un titolo tanto davvero migliorabile senza perdere un briciolo del mordente di Pokémon Rosso, Blu e Verde.

Con questo sto, quindi, giustificando l’esistenza di due titoli “incompleti” come lo è la coppia di nona generazione? No, chiaramente. Sarebbe a-morale dichiararsi un fan della serie e giustificare quanto fatto, e lo sarebbe ancora di più accettando delle scuse laddove una scusa non era assolutamente necessaria: la frittata è stata fatta e nonostante sia bruttina a vedersi ha comunque un ottimo sapore.

Ma c’è da riflettere sulla potenza che Game Freak e The Pokémon Company continuano ad avere fra le mani perché, seppur vero che la formula non è mai stata così forte, è altresì vero che inizia a spuntare più di un competitor che della formula ne fanno uso riuscendo al contempo a costruire qualcos’altro attorno.

Esperimenti come TemTem, Coromon, Nexomon e chi più ne ha più ne metta dimostrano quotidianamente quanto i giocatori abbiano fame di questa formula e quanto Pokémon non sia più in grado di reggere il peso di un’idea tanto vincente quanto pericolosamente vicina al suo fallimento.

La potenza del marchio continuerà ad essere tale per sempre senza una reale spinta alla “preservazione” del loop? Nel dubbio continuerò a lanciare la mia Pokéball, perché purtroppo continuo ad essere quell’eterno bambinone con gli occhi lucidi di meraviglia di fronte alla scritta “il tuo Pokémon si sta evolvendo”.