Perché il linguaggio inclusivo nei videogiochi è importante?

A tu per tu con Amanda Hawthorne, inclusive language lead di EA, che ci spiega come si adattano i videogiochi tenendo conto dell'importanza dell'inclusione.

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a cura di Stefania Sperandio

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Quando, ancora oggi, capita di imbattersi in qualcuno che vorrebbe creare barriere all'interno dei videogiochi – determinando non solo chi può accedervi, ma anche a chi questi dovrebbero rivolgersi – le reazioni sono senz'altro diverse rispetto a qualche anno fa.

Certo, all'interno della community continuano a vivere delle frange elitiste che si auto-assegnano il patentino da "veri giocatori", che arrivano paradossalmente a ritenere offensivo ciò che invece è semplicemente attento a far sentire accolto chi ama i videogiochi, in tutte le sue eterogeneità. Ed è per questo che, più che mai, è importante che i publisher lavorino anche in favore dell'inclusione: perché i videogiochi sono un medium universale e capillare, spesso un oggetto di incontro e condivisione, da cui nessuno dovrebbe sentirsi tagliato fuori.

Così, se in passato abbiamo parlato della rappresentazione femminile, dell'importanza di proporre anche personaggi che si allontanino dagli stereotipi di genere tradizionali (anche per i protagonisti maschili, sì) e dei grandi passi in avanti compiuti in termini di accessibilità pura, in questi giorni abbiamo avuto la possibilità di chiacchierare di videogiochi e uso del linguaggio inclusivo direttamente con Amanda Hawthorne, che ricopre il ruolo di inclusive language lead presso Electronic Arts – con oltre vent'anni di esperienza nel campo della diversità, in particolar modo per quanto concerne la consapevolezza legata alle etnie e ai diritti LGBTQ.

«Amanda oggi lavora full-time per la localizzazione nell'industria della tecnologia», ci ha spiegato EA, sottolineando che è una premiata ricercatrice che ha anche contribuito al volume "How to write Inclusive Materials" di Tyson Seburn.

Abbiamo quindi colto l'occasione di parlare con lei di cosa significhi utilizzare un linguaggio inclusivo all'interno dei videogiochi, di come questo processo si svolga e, in particolare, come questo possa applicarsi all'italiano – una lingua piuttosto polarizzante, quando si tratta di rideclinarne alcune forme.

Cosa si intende con linguaggio inclusivo

Al nostro tavolo virtuale, ho pensato da subito fosse importante aiutare i nostri lettori a capire cosa si intenda con uso del "linguaggio inclusivo" all'interno di un videogioco. 

Hawthorne, dopo aver sottolineato come questo sia alla base dei progetti che EA sta svolgendo, spiega in parole semplici:

«Per noi, 'linguaggio inclusivo' significa scegliere delle parole e delle espressioni che siano rappresentative di ogni persona.

Si tratta di ascoltare le voci autentiche dei nostri giocatori in tutte le loro diversità, in tutto il mondo, per assicurarsi che tutti si sentano al sicuro e accolti all'interno dei nostri videogiochi».

Ma questo in cosa si traduce, quando si deve realizzare o adattare un videogioco tenendo conto dell'uso del linguaggio inclusivo? L'esperta spiega che «ci sono modi differenti in cui ci si può concentrare sul linguaggio inclusivo, che possono differenziarsi da gioco a gioco».

«Il linguaggio inclusivo si può usare in modo intercambiabile nei linguaggi dove c'è l'uguaglianza di genere, ma è importante riconoscere questa distinzione. Ad esempio, soprattutto in linguaggi dove il genere è manifesto, come nell'italiano, abbiamo dovuto concentrarci sul fatto che le donne non venissero rese invisibili dal linguaggio scelto: è per questo che raggiungere l'uguaglianza di genere linguistica è rilevante. Ci rendiamo conto che ci sono un sacco di modi in cui un linguaggio può marginalizzare o escludere».

Il filtro non è, però, solo quello del genere: «teniamo in considerazione età, sessualità, etnia, status socio-economico, cultura, religione, disabilità e così via. Vogliamo essere proattivi per portare delle innovazioni in quest'area». A tal proposito, Hawthorne mi spiega che una delle sue mansioni in EA è anche quella di individuare e portare a bordo dei progetti degli esperti di linguaggi specifici, per fare in modo che ci siano rappresentati delle diverse community a evidenziare cosa va e cosa non va, sulla base della loro esperienza.

E con l'italiano come si fa?

Sappiamo che, in merito al linguaggio inclusivo, il dibattito sull'italiano è sempre piuttosto acceso e polarizzante – anche tra i linguisti. Tutti abitiamo una lingua (cit. Emil Cioran) prima ancora che un Paese, motivo per cui le parole che usiamo hanno anche un peso nel valore che diamo alle cose e alle persone.

L'italiano è una lingua basata sulla distinzione manifesta del genere del soggetto e nella concordanza con quel genere. Come standard, la nostra lingua adotta il maschile come universale e collettivo – e non nascondo che, sarà stato per precocità, innocente curiosità o non so che cosa, ma da bambina mi capitò di domandare a scuola perché dire "tutti" per includere ogni persona fosse ritenuto corretto e dire "tutte" fosse sbagliato, un po' come se indicare al maschile anche le femmine andasse bene, ma fosse avvilente l'opposto.

È un dibattito, come si diceva, sempre molto acceso e ben lungi da trovare una soluzione: c'è chi lo ritiene superfluo, nonostante sia acclarato che ciò che diciamo e come parliamo delle cose dia forma anche ai nostri pensieri, ai nostri schemi, aiuti in qualche modo a definire la nostra forma mentis.

C'è chi pensa che siano invece necessarie soluzioni neutre, come una desinenza in -u, chi sta tentando la via della schwa, dell'asterisco e così via. Non esiste una convenzione: l'unica certezza è che le lingue sono vive e cambiano con i parlanti (e viceversa, ndr), più che con ciò che si ritene accettato o meno al tavolo della linguistica. In questo, l'italiano non fa eccezione.

A oggi, però, questo rappresenta uno scoglio non indifferente per chi svolge il lavoro di Amanda Hawthorne: in questo contesto, come fai a darti uno standard per proporre un linguaggio inclusivo con l'italiano, se l'italiano uno standard ancora non lo ha trovato?

«Devo dire che la maggior parte delle lingue sta ancora lavorando su approcci che possano implementare un linguaggio inclusivo, soprattutto per un linguaggio non-binario. Comunque abbiamo un'esperienza positiva di lavoro con il linguaggio inclusivo, in italiano».

La cosa mi incuriosisce, quando l'esperta prosegue:

«Quando i primi personaggi non-binari sono comparsi nei nostri giochi, qualche anno fa, il team di localizzazione ha iniziato a pensare a come potessimo rappresentarli propriamente, considerate le limitazioni imposte dalla grammatica in lingue come l'italiano.

In quel momento, abbiamo ammesso la nostra mancanza di conoscenza in merito a questo argomento, quindi per l'italiano abbiamo coinvolto l'intero team di localizzazione in italiano di EA, per aiutarci a prendere le decisioni migliori e fare in modo che potessimo consultare anche siti web e forum online [sul tema].

Per il gioco Wild Hearts, ad esempio, il suffisso 'schwa' aveva già avuto un po' di popolarità in italiano, quindi ci è sembrata una scelta ovvia quando ci si doveva riferire a personaggi non-binari all'interno del gioco».

Anche per chi si occupa di linguaggio inclusivo di mestiere, insomma, con l'italiano la questione è completamente in divenire ed è necessario rimanere aggiornati e confrontarsi direttamente con i parlanti, per capire in che modo si stia muovendo la lingua.

Ma perché è così importante?

Sembra quasi superfluo chiederlo, ma vorrei dare una visione d'insieme completa a chi leggerà questo articolo. Per questo, davanti alla passione con cui Amanda Hawthorne mi parla dei suoi sforzi professionali per l'uso di un linguaggio inclusivo, le domando perché ritenga questo processo così importante.

«Abbiamo un'esperienza positiva con il linguaggio inclusivo, in italiano».
«Ci sono molti motivi per cui lo è» mi spiega, «per evidenziarne solo un paio, mi riferirei al fatto che ricerche recenti hanno mostrato un numero crescente di identità LGBTQ+ in ogni generazione; i dati recenti mostrano che quasi un quinto della generazione Z si identifica come LGBTQ+. Vogliamo essere sicuri che ogni generazione possa essere rappresentata autenticamente nei nostri giochi, e questo significa utilizzare un linguaggio inclusivo».

«Inoltre, in Electronic Arts il nostro viaggio nel linguaggio inclusivo va di pari passo con il feedback dei giocatori. Li abbiamo ascoltati e abbiamo capito da loro quanto fosse importante che il linguaggio utilizzato nei nostri giochi fosse inclusivo per ogni persona».

Se dovesse metterla in termini semplici, Hawthorne aggiunge che «per noi in EA è importante perché vogliamo essere sicuri di far sentire accolti e rappresentati tutti i nostri giocatori. Avere uno specialista, con un team dedicato al linguaggio inclusivo, riflette questa importanza».

Effettivamente, è da diverso tempo che il publisher si sta muovendo in direzione di videogiochi che diano rappresentazione universale agli esseri umani: mi viene in mente il focus recente di EA Sports FC anche sul calcio femminile, o le tante manovre operate dalla saga The Sims per fare in modo che ognuno possa sentirsi a casa, almeno quando se ne crea una virtuale.

«Ma, al di là di The Sims, ci sono altri due giochi che mi vengono in mente per mostrare il lavoro che abbiamo svolto sul linguaggio inclusivo» aggiunge Hawthorne, «e sono Apex Legends e Wild Hearts».

Il primo, lo sappiamo, è il longevo battle royale di Respawn. Il secondo, invece, è il titolo di caccia ai mostri (sulla scia di Monster Hunter) lanciato qualche mese fa. A tal proposito, l'esperta mi spiega:

«Per noi Wild Hearts è stato un importante passo, in materia di sviluppo di un processo interno che garantisse una rappresentazione eterogenea e localizzata in modo autentico. Dal momento che il gioco era stato scritto originariamente in giapponese, abbiamo avuto la possibilità di revisionare da un'angolazione diversa il modo in cui abbiamo lavorato – come, ad esempio, guardando a come avevamo registrato l'audio.

Penso che Wild Hearts sia stato il primo caso in cui abbiamo adottato la schwa nel doppiaggio in italiano, e anche questa è stata una sfida che i doppiatori hanno dovuto affrontare – perché la schwa in realtà è un fonema muto».

Per quanto concerne, invece, Apex Legends, il riferimento è a Bloodhound, personaggio non binario su cui EA ha «svolto un sacco di lavoro, per accertarci che la rappresentazione posse autentica e accurata. E, di recente, in Alex Legends siamo felici di aver dato voce al personaggio trans di Catalyst tramite il doppiaggio di una donna trans italiana».

E in futuro?

Alla fine, l'immagine è sempre quella: più tiri una corda da una parte, più scopri che in realtà è un elastico che dall'altro lato non lasciano andare se non per fartelo sbattere in faccia.

Vi ritrovate sempre più distanti e, mentre cerchi di difendere la tua posizione, chi era tossico e distruttivo è fiero di esserlo ancora di più, sentendosi motivato proprio dal mettersi di traverso alla tua causa, quasi organizzandosi e "militarizzandosi" (concedetemi il termine, ndr) per farla deragliare. Pensate ai dibattiti che hanno circondato, mesi fa, il lancio di Hogwarts Legacy e i messaggi illeggibili – tra odio e minacce di morte – di cui parlammo ampiamente in un approfondimento.

È un'immagine, purtroppo, sempreverde anche per la community dei videogiocatori, soprattutto nell'epoca dei social: ogni cosa che si può polarizzare – anche quelle che non riterresti divisive, come quando si parla del diritto di... beh, esistere, essenzialmente – arriva non solo a essere polarizzata, ma a tracciare solchi di mutui disprezzi sempre più inconciliabili e in molti casi difficili anche solo da concepire.

Come si risolve una situazione simile, ammesso che si possa risolvere? Il linguaggio inclusivo può aiutare, in tal senso, considerando che se ci fossimo fermati ai precedenti «ma perché volete cambiare le cose? Abbiamo sempre fatto così!», di sicuro oggi non ci sarebbe qui a scrivervi una responsabile editoriale, su una testata verticale sui videogiochi.

«Nei nostri team in EA vedo una dedizione genuina, nel voler rendere la video game industry più inclusiva» riflette con me Hawthorne, «una dove chi ama i videogiochi, a prescindere dal background, possa sentirsi al sicuro e celebrato».

«Nella mia esperienza, i nostri sviluppatori vogliono dimostrare che abbiamo ascoltato i nostri giocatori, in modo da poter essere inclusivi per ogni persona. Ma per me è importante anche interagire con le altre persone dell'industria, su quello che collettivamente stiamo facendo per migliorare il linguaggio inclusivo nei videogiochi. Per fare un esempio, collaboro con colleghi nel panorama dell'industria della localizzazione, dove guido uno speciale gruppo di interesse».

«Ho anche fornito consulenze ad altre compagnie videoludiche che mi hanno contattata, perché volevano sapere di più del nostro approccio. Per me, la collaborazione è cruciale per riuscire ad integrare davvero un linguaggio inclusivo».

E, un passetto alla volta, l'industria ha deciso che direzione prendere, sperando che porti a un futuro in cui ogni persona possa sentirsi davvero accolta – anche dai media che viviamo, che dicono tanto della nostra realtà, perché è la nostra realtà che rappresentano e su cui a loro volta si riflettono.

«Dico sempre che l'inclusione è un viaggio» chiude Amanda Hawthorne, «stiamo facendo dei buoni progressi. Ma c'è sempre da imparare e c'è sempre da fare». E il viaggio, dopotutto, è appena cominciato.