Konami e Kojima si sono resi possibili a vicenda, ma ora sono agli antipodi

Dal successo di Metal Gear nascono le sperimentazioni del Kojima odierno: allo State of Play, la distanza tra la sua visione e quella di Konami è stata accecante.

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

Riguardare a ritroso la scaletta dello State of Play delle scorse ore ha evidenziato una cosa: abbiamo visto sullo stesso palcoscenico virtuale KonamiHideo Kojima con la sua nuova Kojima Productions. E la cosa curiosa è come queste due forze dell'industria videoludica – che si sono rese possibili a vicenda – siano oggi completamente agli antipodi.

È questo, probabilmente, l'aspetto più interessante che si può portare a casa dallo show del 31 gennaio: da un lato abbiamo una Konami che sta provando a muovere nuovi (nuovi?) passi nelle sue IP più famose.

Dall'altra un game director che, a metà tra estro creativo e delirio di onnipotenza (visto il numero di progetti che sta inanellando), sviolina un trailer di nove minuti che rivendica fieramente che Death Stranding è (ancora) un gioco di consegne post-apocalittiche. Ma anche molto di più.

Grazie, Solid Snake

Se Hideo Kojima ha avuto la forza trascinante di rimettere in piedi una sua software house – portandosi dietro alcuni dei migliori nomi che erano nel suo team in Konami, tra cui Yoji Shinkawa – è per il successo che ha avuto con i giochi che ha realizzato proprio quando era in Konami. Per farla breve: se Death Stranding esiste, è grazie a Metal Gear.

Ed è grazie alla popolarità immortale di Solid Snake e compagni che i publisher consentono meritatamente al game director di lanciarsi in istrionici esperimenti sopra le righe, che si tratti di PlayStation o di Xbox: Kojima è diventato sinonimo di spingere al di là del confine del medium, di rimediazione, di qualcosa che nessuno oserebbe fare – anche perché, pure se avessi le idee, quest'industria-del-rischio-zero difficilmente te lo permetterebbe.

Quello di Kojima è praticamente un miracolo che mette insieme il suo estro che, sommatosi al contesto che ha reso possibile Metal Gear, ha creato quella congiunzione astrale chiamata successo.

Ed è dall'eredità di questo successo che oggi Kojima Productions attinge: ciò che colpisce del trailer di Death Stranding 2: On the Beach è che, ancora una volta, preluda a un gioco che vuole fare ogni singola cosa a modo suo.

Il trailer di DS2 è il biglietto da visita di un'opera orgogliosamente piena di sé, che non insegue altri trend se non le visioni più allucinate del suo autore.
Negli scenari, nei dialoghi, nelle esagerazioni (alcune di MetalGearSolid4iana memoria, è innegabile), nei simbolismi: è il biglietto da visita di un'opera orgogliosamente piena di sé, che vuole somigliare a sé stessa, che non insegue altri trend se non le visioni un po' affascinanti e un po' allucinate del suo autore.

Già il primo Death Stranding, anziché accomodarsi sul solco dei sentieri già tracciati, aveva osato incamminarsi in luoghi ben poco calcati: cosa succede se prendo un'esperienza cinematografico-narrativa, se la mescolo a un gestionale ma con i toni dell'avventura a un passo dalla fine, se la riempio di stramberie sci-fi per dire alle persone che la sesta estinzione di massa è in corso e forse forse forse dovremmo smetterla di incenerire le prossime generazioni per tenere al caldo il deretano della nostra?

Il risultato si è diviso tra chi lo ha amato, chi ancora oggi ciancia di "Bartolini Simulator", chi afferma semplicemente di non essercisi trovato per via dell'esperienza che aveva ritmi e meccaniche tutti suoi. Il che è proprio il punto della questione: Death Stranding faceva tutto quello che gli pareva.

In un video pre-lancio, Kojima stesso ammise di non sapere che reazioni aspettarsi di fronte al suo gameplay, perché non sapeva se le persone si sarebbero «divertite». L'esperienza offerta nei panni di Sam era qualcosa-altro rispetto al concetto asciutto di divertimento: come dissi all'epoca della sua uscita, per assurdo somigliava più a Journey che a Metal Gear.

E ciò che colpisce è che, digerite tutte quelle reazioni, a quanto pare Death Stranding 2 segue la strada del non seguire la strada di nessun altro se non sé: è un sequel a modo suo, aveva già detto Kojima. Reinventerà delle cose – ma sei ancora Sam Porter Bridges, sei ancora un corriere alla fine del mondo. Sopra le righe e con chitarre che sparano fulmini, abbiamo capito, ma con Kojima che fa le cose al modo di Kojima e di nessun altro.

Venderebbero di più piegandosi verso qualcosa di diverso? Forse. Ma la creatività in quest'industria si è già piegata tanto – e nella maggior parte dei casi si è spezzata, così silenziosamente che non ce ne siamo accorti. O fingiamo che sia così, perché vogliamo farci andare bene i videogiochi anche quando crescono in metri quadrati e gigabyte anziché nel numero di momenti di meraviglia da conservare.

E allora lunga vita a tutti i videogiochi che non hanno una casellina dove infilarli, un genere dove immagazzinarli subito – perché che cavolo ne so, che gioco è questo? Qua si costruiscono strade, si portano pacchi, si spara a delle balene volanti che grondano catrame, si irrigano funghi con l'urina, si aiutano giocatori invisibili a creare reti di teleferiche, si ruba refurtiva negli accampamenti. Insomma, è Death Stranding – del resto che gliene frega?

Konami, la timidezza e i Kojima del futuro

In uno show digitale dove Kojima Productions ha fatto da main eventer, presentando anche l'idea di una nuova IP made in PlayStation che si tufferà invece nell'"espionage action" che ha reso possibile tutto quello di cui ho parlato fino a qui – ammorbidendo ulteriormente i confini tra videogioco e cinema, verso il quale Kojima coltiva una venerazione (che non condivido, ma sono pareri, ndr) – c'era anche Konami.

Attesa, ma timida, Konami ha messo in campo l'esperimento Silent Hill: The Short Message (gratis ora su PS Store) definendolo una buona idea di come, per lei, dovrebbe essere oggi un horror psicologico. E il nostro Domenico, che ha iniziato a giocarci, dopo un primissimo approccio mi dice che si vedono dei segnali interessanti – su questo, però, ci torneremo nei prossimi giorni.

Ad affiancare questo esperimento c'è un primo scorcio da Silent Hill 2 Remake, concentrato sulle fasi di combattimento – e nelle mani dei polacchi di Bloober, ricordiamo. Un trailer non proprio indimenticabile, più che altro perché manca di personalità a fronte invece del gioco immortale di cui reca il nome.

La grandezza di Konami e quella di Hideo Kojima si sono rese possibili a vicenda: una Konami chiusa in sé, che guarda indietro, toglie voce e chiude porte ai Kojima di domani.
Ed è qui che vedo il primo abisso: un nome come quello di Silent Hill 2 deve segnare un prima e un dopo quando viene fuori. Al momento, con l'attuale Konami che sembra un po' incastrata in un vorrei-ma-non-posso-e-forse-nemmeno-voglio, il trailer ha invece sollevato più dubbi che entusiasmi.

Parliamo sempre e solo di un trailer e questo va ribadito in modo convinto. Al di là della componente tecnica così così (ma lascio a voi il giudizio, su quella) è proprio il modello comunicativo e il modo in cui questo remake è stato messo in scena a far riflettere: sia la presentazione di Silent Hill 2 che quella di Metal Gear Solid Delta – ossia, due ritorni di IP che i fan chiedevano a Konami da qualche secolo – potevano sembrare qualcosa di fan-made, per approssimazione, mancanza di una visione coesa, quella strana sensazione che potrebbero rivelarsi un contentino fatto per battere il ferro caldo dell'amore dei fan per ricavarne qualche moneta.

Aver visto affiancati una Konami così timida e un Koijma così sicuro della sua unicità – che al divorzio con la prima arrivò proprio ai tempi di Silent Hills, ricordo – ci ha mostrato come queste due compagnie stiano lavorando agli antipodi. Come guardino al videogioco da pianeti diversi, se vogliamo quasi rievocare l'immagine di Sam davanti alla luna.

Grazie ai successi avuti in Konami, Kojima sperimenta, crea cose che non sappiamo se capisca nemmeno lui (OD, col suo pangramma, è ancora tutta da decifrare), prova a spingersi dove gli pare "e poi vediamo che succede, ma questo è quello che voglio fare".

Con i successi avuti da Konami, invece, Konami è quasi introflessa, guarda a se stessa ed è rivolta indietro, timida, andando all-in sull'usato sicuro nella speranza di capire cosa farne. E la speranza, per i citati grandi classici, è che questo usato sicuro possa dare loro una vita nuova, che consenta a giocatori più giovani di scoprirli e goderseli.

La paura è che invece accada l'opposto: che ne venga fuori qualcosa da damnatio memoriae, che faremo finta non sia mai esistita per rigiocare i nostri pixellosi classici – che quello che ci hanno dato, no, non si può sostituire con due texture in 4K se magari dovessimo scoprire che è proprio l'anima che gli manca.

Spero con tutto il mio cuore che Konami la trovi e se la tenga stretta, quell'anima che al momento le serve. Perché anche il genio di Hideo Kojima, senza i mezzi e l'ambiente di Konami di quell'epoca non sarebbe riuscito a esprimersi, magari non avrebbe avuto il successo di oggi e quindi non avrebbe mai potuto proporci l'abbraccio tra Sam e chi-so-io verso la fine di quel trailer.

E questo significa che una Konami a rischio zero, una Konami che non guarda avanti, sarebbe una Konami che toglie voce ai Kojima del futuro: l'estro visionario del trailer di Death Stranding 2, in un'industria di titoli stra-usati spacciati invece per km0, ci ha ricordato che non possiamo negarci tutto questo.