Ci sono compleanni che non si possono ignorare, anche se fanno male. Dodici anni fa, nel settembre 2013, Grand Theft Auto V sbarcava su PlayStation 3 e Xbox 360.
Il mondo era un altro, PS4 non era ancora uscita, i servizi in abbonamento erano un miraggio, e la parola IA era confinata in qualche film di fantascienza.
Eppure, a distanza di dodici anni, quel gioco è ancora qui. Ancora vivo, ancora giocato, ancora capace di macinare miliardi di dollari ogni anno.
E la cosa dovrebbe farci riflettere, perché se è vero che GTA V è stato uno dei momenti più alti mai raggiunti dal medium videoludico, è anche vero che la sua longevità ha finito per cannibalizzare un’intera generazione di possibilità creative.
"Signore e signori, è il vostro momento!"
Partiamo dal principio: GTA V era già un colosso al day one. Rockstar mise sul piatto una produzione che, per ambizione e scala, era più simile a un kolossal hollywoodiano che a un videogioco. Los Santos era una cartolina viva, un mondo pulsante, un sogno a occhi aperti che ti invitava a perderti.
E c’era tutto: tre protagonisti memorabili, una satira corrosiva dell’America post-crisi, una libertà di azione che lasciava senza fiato. Nel 2013, quell’opera sembrava il futuro. E per molti versi lo era. Ma il futuro, come spesso accade, è arrivato con il conto da pagare.
È questo il paradosso: GTA V è stato così grande, così potente, da uccidere ogni possibile erede. Ci ha fatto dimenticare che un tempo Rockstar era sinonimo di audacia, di nuovi progetti, di rischi creativi. Erano gli anni di Bully, di Manhunt, di Max Payne, di Red Dead Redemption, esperimenti e rivoluzioni che cercavano di alzare l’asticella.
Dopo GTA V, tutto si è fermato. Red Dead Redemption 2 è stata l’unica, magnifica eccezione, ma per il resto la Rockstar di oggi sembra una macchina da soldi che ha trovato la formula perfetta e non ha alcuna fretta di cambiarla. Il problema non è GTA V in sé, che resta un capolavoro assoluto e probabilmente lo rimarrà per decenni. Il problema è che il suo successo monstre ha insegnato all’industria un messaggio molto chiaro: perché rischiare con nuove IP quando puoi far vivere lo stesso gioco all’infinito?
GTA V ha inaugurato il regno del “game as a service”, anche se non lo chiamavamo ancora così, e ha aperto la strada a una concezione del videogioco come ecosistema perpetuo.
Non più opere finite, ma piattaforme che devono trattenerti per anni, con microtransazioni e contenuti stagionali. C’è un dato che dovrebbe far riflettere: nel 2013 GTA V uscì su PS3 e Xbox 360. Nel 2014 arrivò su PS4 e Xbox One, nel 2015 su PC, e nel 2022 su PS5 e Xbox Series X|S.
Quattro generazioni di console. Lo stesso gioco. Quale altro medium vive in un eterno presente del genere? Immaginate se al cinema ci avessero fatto vedere Avatar per dodici anni di fila, solo in versioni con qualche miglioramento grafico. O se Netflix avesse proposto la stessa serie, stagione dopo stagione, senza mai concluderla.
L’industria videoludica è riuscita in questa impresa e il pubblico l’ha premiata, con portafogli sempre più aperti. Questo non significa che i giocatori siano complici inconsapevoli. Anzi, il successo di GTA V è in larga parte meritato. Non si costruisce un fenomeno del genere senza qualità, e GTA V ne ha da vendere: scrittura brillante, design raffinato, attenzione al dettaglio maniacale.
Ma dodici anni dopo, il rischio è che quella Los Santos sia diventata una gabbia dorata. Un luogo in cui ci sentiamo a casa, sì, ma dal quale non usciamo mai davvero. Il punto è che l’industria videoludica ha bisogno di chiudere i capitoli, di voltare pagina.
GTA 6 è realtà e arriverà, ma il fatto che sia diventato il gioco più atteso di sempre non è solo una celebrazione: è anche un atto di accusa. Significa che siamo stufi di vivere nel passato, che vogliamo una nuova storia, un nuovo mondo, un nuovo pretesto per restare a bocca aperta.
"Ricorda: il terrorismo non fa la pausa caffè"
Il dodicesimo compleanno di GTA V dovrebbe essere il momento in cui ci fermiamo un attimo e ci chiediamo se questa eterna adolescenza del medium ci sta bene o se vogliamo finalmente crescere. Perché non si tratta solo di Rockstar. Si tratta di tutto quello che è venuto dopo.
Il modello di GTA Online ha ispirato Fortnite, Warzone, Apex Legends, Destiny, e decine di altri titoli che hanno puntato sulla persistenza piuttosto che sulla novità. È diventata una comfort zone per i publisher: meno rischi, più ricavi, giocatori sempre dentro l’ecosistema. È il sogno di ogni consiglio d’amministrazione e l’incubo di chi vede il videogioco come forma d’arte.
E allora sì, celebriamo GTA V, ricordiamo cosa ci ha fatto provare la prima volta che abbiamo visto il tramonto a Vespucci Beach, che abbiamo guidato per ore solo per il gusto di farlo, che abbiamo riso delle follie di Trevor. Ma facciamolo con la consapevolezza che dodici anni sono tanti, forse troppi.
Che nessun gioco dovrebbe avere il monopolio del nostro immaginario per così tanto tempo. Che è ora di salutare Los Santos e di lasciarla andare. Forse il regalo migliore per il dodicesimo compleanno di GTA V sarebbe proprio questo: riconoscere che ci ha dato tutto quello che poteva darci e che adesso vogliamo di più.
Non un’altra espansione di GTA Online, non un ulteriore remaster in 4K, ma un’esperienza nuova, capace di sorprenderci come nel 2013. Sì, proprio GTA 6. Perché se il videogioco è davvero il medium più giovane e più creativo di tutti, non può permettersi di restare fermo a guardare il proprio passato.
Dodici anni fa GTA V ci mostrava il futuro. Oggi, se non stiamo attenti, rischia di diventare il simbolo di un presente che non vuole finire mai. E questo, più che un compleanno, somiglia a un monito.