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Alla riscoperta di Child of Light, una favola classica di Ubisoft

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a cura di Gottlieb

Pubblicato il 14/08/2018 alle 00:00

Una settimana fa circa è stato annunciato il ritorno di Child of Light e di Valiant Hearts, stavolta con un porting su Switch. I due titoli di Ubisoft, pubblicati nel 2014, erano stati sviluppati sfruttando l’UbiArt Framework, un motore che venne utilizzato anche per lo sviluppo di Rayman Origins e Legends, titoli che avevano permesso a Michel Ancel di riportare in auge il suo uomo-melanzana. Il ritorno di Child of Light, che avverrà il prossimo 11 ottobre, ci permette di tornare a parlare di una piccola perla del mondo RPG, recentemente riproposta anche sul PlayStation Plus gratuitamente, e che rappresentò una mosca bianca all’interno del panorama ruolistico.

Austria 1895. Aurora, figlia del re, vive un sogno mistico dopo aver combattuto, e perso, una battaglia contro una grave malattia che l’ha costretta a letto e, di conseguenza, all’ultimo respiro. La giovane principessa si ritrova in un mondo fatato, a vivere una favola classica, interamente raccontata in rima: Child of Light aveva alla sua base una sceneggiatura degna di un racconto di mezzanotte, con dei toni leggeri e delicati, adatti a qualsiasi bambino, ma anche agli adulti desiderosi di riscoprire qualcosa di più soffice e meno greve. L’incontro con la sorella, i comprimari che accompagnano Aurora nella sua avventura che punta al recuperare le stelle, il sole e la luna, vengono tutti rappresentati e raccontati in una maniera unica, che rappresentò uno degli aspetti più particolari della produzione canadese: Child of Light era interamente raccontato in rima, così come i dialoghi dei vari personaggi, che si esprimevano esclusivamente in versi in metrica. Sebbene la traduzione in italiano avesse leggermente edulcorato tale aspetto, la narrazione fiabesca veniva pesantemente ricalcata, rendendo ancora più magica l’atmosfera che si andava a vivere librandosi in aria con Aurora. Il punto focale del titolo sviluppato da Ubisoft, però, era sicuramente nel gameplay: l’offerta di Child of Light era leggiadra e allo stesso modo capace di offrire un battle system con delle idee davvero interessanti. Il suo active time battle, diviso in due sezioni, permettava di affidarsi a Igniculus, una lucciola capace tanto di donare energia e punti magia ai membri del party quanto di rallentare il turno avversario. Una strategia nella strategia, perché diventa possibile anche ritardare l’attacco degli avversari, colpendoli nel momento di lancio della loro mossa. Un sistema molto stratificato, che per un titolo di una brevissima durata e con uno stile molto leggiadro risultava essere davvero affascinante. L’unica problematica, se tale possiamo definirla in un gioco che dura circa 8 ore, era la ripetitività degli elementi in gioco, a partire dal combattimento, che dopo un po’ iniziava a sapere di stantìo e di poco innovativo. Il continuare a proporre diversi combattenti, allo stesso modo, non cambiava questa sensazione. 

Era una piccolezza, però, perché Child of Light ci potrebbe risultare ridondante adesso, quattro anni dopo, ma all’epoca riuscì a offrire un’esperienza davvero unica, che quasi sicuramente non ha eguali attualmente sul mercato, per le tematiche offerte e per il modo di affrontare anche l’esplorazione. Un 2D disegnato a mano, all’interno del quale fluttuare grazie alle ali di Aurora, capace di volare liberamente per l’intero scenario alla ricerca di scrigni ed enigmi ambientali da risolvere, in maniera molto semplice e diretta. Ad accompagnarci anche in questa sessione di esplorazione, così come nei combattimenti, c’è Igniculus, che ricorda tantissimo le meccaniche di Murphy di Rayman Legends: la raccolta degli oggetti, l’offuscare la vista agli avversari per evitare gli scontri visibili sulla world map, l’aprire le gemme disseminate in cielo, erano tutte attività che potevano essere affidate alla lucciola che ci seguiva per tutta la nostra avventura. Accompagnati da una colonna sonora pungente, capace di interpretare le situazioni con cognizione di causa e con alterazioni pronte ad alzare l’ansia durante le battaglie e a rilassarci durante l’esplorazione.

Ispirandosi alle meccaniche di Grandia II nel combattimento, Child of Light quattro anni ha rappresentato una perla davvero rara del mercato: non siamo dinanzi a un capolavoro, sia chiaro, d’altronde anche il titolo canadese soffriva di qualche problematica, a partire dalla piattezza dello sviluppo dei personaggi, non perdonabile da un GDR, così come la monotonia già suggerita e una favoletta che in alcuni casi sembrava quasi diluita. Poterlo rigiocare, però, su Switch a ottobre sarà un grande modo per ricordarsi un’esperienza davvero unica, e darà a tutti i novizi la possibilità di affrontare una favola davvero unica. E se il successo su Switch significa mettere in cantiere anche un sequel, ancor di più ben venga scoprirlo e riscoprirlo.

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