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Immagine di The Longest Road on Earth ci parla delle nostre inutili vite
Recensione

The Longest Road on Earth ci parla delle nostre inutili vite

The Longest Road on Earth parla di vita attraverso quattro storie ordinarie. Vi raccontiamo questo progetto indie nella nostra recensione.

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Pubblicato il 25/05/2021 alle 15:03 - Aggiornato il 26/05/2021 alle 01:05
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  • Pro
    • Nessuna parola, nessun testo; solo musica e immagini universali
    • Alcuni brani di Beicoli vi smuoveranno qualcosa dentro: sanno essere profondi, intimi, delicati, malinconici
    • Quattro storie di normalità, quattro spaccati di vita che appartengono a tutti
  • Contro
    • Due storie sono più deboli delle altre
    • Alcuni brani sono poco ispirati

Il Verdetto di SpazioGames

7
Musiche e immagini raccontano quattro brevi storie dove tutti potranno ritrovarsi, dove tutti potranno sentirsi capiti. Vite normali, banali, forse poco significative; ma straordinariamente umane e mosse da sentimenti unici, che tra cambi di prospettive, gioie represse e costanti ricerche di equilibri nella precarietà dell'esistenza, sapranno farvi sentire parte di un'umanità che ha un disperato bisogno di vera e intima condivisione.

Informazioni sul prodotto

Immagine di The Longest Road on Earth
The Longest Road on Earth
  • Sviluppatore: Brainwashing Gang, TLR Games
  • Produttore: Raw Fury
  • Distributore: Raw Fury
  • Piattaforme: PC
  • Generi: Avventura grafica
  • Data di uscita: 27 maggio 2021

The Longest Road on Earth non racconta di vite straordinarie, di storie incredibili o di imprese che meritano di essere narrate. Attraverso quattro brevi spaccati di vita tratteggia routine, sogni infranti, differenze sociali e frammenti di quotidianità per nulla speciali. Sono esattamente lo specchio del vissuto dalla maggior parte delle persone, che trascinano la propria esistenza e si barcamenano come meglio possono tra solitudini, ingiustizie, obblighi, sprazzi di fugace felicità e autocommiserazione.

La banalità della vita quotidiana è un ripetersi di azioni portate a termine a cervello spento, un ciclo di atti abitudinari che non ci consentono di vivere davvero, ma solo di sprecare il poco tempo che ci è concesso. La strada più lunga sulla Terra può in realtà essere breve o apparire infinita, a seconda di come vicissitudini, guai o situazioni restringono o dilatano la percezione che ne si ha. In The Longest Road on Earth le storie non hanno parole e testi, ma solo immagini e musica; tanta musica, sempre pronta a sottolineare con grazia e malinconia ciò che accade nelle piccole e miserabili vite dei protagonisti.

The Longest Road on Earth o il fascino delle vite comuni

In un mondo che punta solo a creare shock, sensazionalismi e assurdità, è rarissimo trovare storie comuni che parlano di consuetudini e giornate tutte uguali a se stesse. In un certo senso, la scelta a monte potrebbe anche essere vista come qualcosa che va contro la stessa produzione, perché The Longest Road on Earth non fa nulla per affabulare il giocatore o per rendersi accattivante. Eppure è attraverso la normalità che si crea un canale di comunicazione diretto e sincero, con istantanee chiare e universali in cui chiunque può ritrovarsi. Ed è forse questo il motivo per cui tutti i personaggi sono degli animali antropomorfizzati, donne e uomini dai volti irrealistici che nella mente di chi gioca possono essere sostituiti con l'immagine che si ha di sé.

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Nella prima storia vediamo una donna svegliarsi, dirigersi in cucina a passi lenti e preparare un caffè. D'indole dimessa, quieta e con un'espressione di rassegnazione dipinta sul volto, come ogni mattina esce per cercare lavoro, fin quando non s'imbatte in un cartello di ricerca di personale esposto fuori da un diner. In quel lembo di America rurale, la donna scopre una nuova ruotine, con clienti che ordinano, consumano e vanno via in un ciclo senza fine. È davvero questa la vita che vuole? Cosa la angustia mentre ogni pomeriggio si dondola pigramente in veranda, osservando il grande nulla che la circonda? Lo scoprirete attraverso una lettera, che ha connessioni profonde col suo stato d'animo e coi suoi desideri più intimi, al punto da farle riconsiderare ogni aspetto della sua vita.

La seconda e la quarta storia di The Longest Road on Earth sono le più deboli. Parlano rispettivamente di un musicista dai sogni infranti che non vorrebbe arrendersi di fronte alla dura realtà e di un bimbo che affronta il suo percorso di crescita, tra pomeriggi allegri e i soliti guai dovuti alla troppa vivacità. Sebbene si notino dei discreti guizzi narrativi, come la lunga e stolida riflessione dell'artista nella metropolitana, o il raggiungimento dell'età adulta che taglia i ponti con una fase della vita, i due racconti arrivano con minore forza rispetto agli altri. Avrebbero senz'altro beneficiato di tempi più dilatati e di una maggiore concentrazione sugli elementi più di rilievo, fosse anche solo per delineare meglio molti dei dettagli che rimangono sin troppo in ombra, quasi come se si beassero della loro incompiutezza.

La storia che più colpisce è invece quella che vede due uomini lavorare per la stessa compagnia di trasporto navale. Uno sta ai piani alti, tra contabilità e gestione degli affari; l'altro fa bassa manovalanza, gestendo carichi e all'occorrenza facendo lo sguattero tra i corridoi della nave portacontainer. Sembrano due mondi distanti che mai s'incontreranno, ma è attraverso un'azzeccata scelta registica che ci rendiamo conto di come in realtà ci siano molti più punti in comune di quanti ci si aspetti, soprattutto quando gli obblighi e i ritmi di lavoro assottigliano lo spessore dei gradini sociali fino quasi ad appianarli del tutto.

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Gameplay e musiche

The Longest Road on Earth parla attraverso la forza della musica e delle immagini, e credeteci quando vi diciamo che non serve davvero nient'altro per perforarvi l'anima e lasciarvi fermi a fissare lo schermo in contemplazione, persi tra i vostri pensieri, mentre riflettete sull'inesorabile fluire del tempo. Vi renderete conto che quelle vite regolari sono anche le vostre, come se per osmosi le aveste assorbite fino a farle vostre.

La voce delicata, leggiadra, quasi sussurrata di Beicoli è lì a dare spessore a quei racconti, con testi e linee vocali che sanno come penetrare sottopelle, dandovi brividi prolungati e inumidendovi gli occhi. Non tutti sono riusciti e vibranti, non tutti toccheranno le giuste corde; ma quando ci riescono, e quando The Longest Road on Earth decide di colpire nei punti giusti, l'esperimento raggiunge con successo il suo scopo. Cosa può lasciarvi dentro un gioco che parla di vite banali? Perché dovreste provare un titolo che cumulativamente fatica a raggiungere le due ore? Cosa rende unico un progetto indipendente sconosciuto ai più, così raccolto, così dimesso?

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È la magia della delicatezza, della normalità, del videogioco che trova un'altra chiave per arrivare all'utente in modo universale. In quelle immagini in pixel art e in bianco e nero potreste non vederci nulla, se osserverete qualche video per curiosità o se fruirete di The Longest Road on Earth passivamente. Eppure sembra assurdo per un gioco che ha un sistema di gioco così minimalista, così lontano dai canoni moderni. In fondo, dovrete solo muovervi lentamente da un lato all'altro, mentre di tanto in tanto dovrete premere solo un tasto per far interagire il vostro personaggio, per accompagnarlo in un atto abitudinario, in un gesto quotidiano, per fargli attraversare le porte di un treno mentre si perde tra decine di estranei disinteressati e con lo sguardo vacuo.

E mentre tutto scorre, come attraverso un fil rouge che collega idealmente ogni storia, vedrete un vecchio uomo in un negozio di antiquariato che sembra quasi un narratore silente e onnisciente. Un uomo che ha forse vissuto di riflesso le vite degli altri, senza mai soffermarsi su cosa aveva da offrire la sua.

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