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Recensione

White Night

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Pubblicato il 06/03/2015 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8

Se un colosso come Activision ha deciso di pubblicare l’opera prima di uno studio indipendente – ho pensato – non dev’essere stato per un capriccio. Deve avere avuto la certezza che White Night fosse un’opera di caratura ben più elevata rispetto a quelle sperimentali e spesso senz’anima che si affacciano di continuo sul mercato. 
Un survival horror di stampo classico, in bianco e nero, rappresenta già un azzardo non da poco, ma i ragazzi di OSome Studio dichiarano di essere fortemente ispirati da una visione aperta e matura del videogioco, nutrita da un’evidente cultura letteraria, cinematografica e teatrale. E in White Night, per tutto l’arco dell’avventura, tutto ciò si avverte palesemente, con una chiarezza di intenti a cui difficilmente abbiamo avuto l’onore di assistere negli ultimi anni.
Siamo nella Boston del primo dopoguerra, in quel periodo che abbraccia il Proibizionismo, la crisi del ’29 e le prime manovre del New Deal varate da Roosevelt. Sono gli anni delle grandi star del jazz, gli anni ruggenti del grande sviluppo e quelli successivi del tracollo economico. White Night dipinge questo spaccato di storia con pennellate precise, decise e a suo modo autorevoli, creando la scenografia ideale lungo cui si muovono i suoi personaggi ambigui, dissoluti, soli e disperati. La scrittura dei testi (così come l’encomiabile localizzazione in italiano) è di un livello superiore, pari a quella di un racconto di inizio ‘900: articolata, ricca di suggestioni, citazioni coltissime e carica di un potere immaginifico che ha il potere di calare l’utente all’interno di una storia dai tratti foschi, cupi e dal chiaro respiro hitchcockiano. Trattandosi di un survival horror story-driven, non avrebbe potuto essere altrimenti, ma laddove in molti falliscono nel costruire pilastri portanti come l’atmosfera ideale e uno sfondo credibile, White Night riesce a fare qualcosa di davvero eccezionale, ponendosi sul gradino dove sostano silenziosamente le migliori opere d’autore. Ma attenzione a cantare vittoria sin dall’inizio, perché la creazione di OSome è sì una gemma, ma presenta qualche imperfezione sulle sfaccettature più in vista.
Noir d’autore
Dopo un incidente d’auto, il protagonista si introduce all’interno di una magione alla ricerca di aiuto. Il terreno adiacente ospita il cimitero di famiglia; all’entrata, qualcosa sembra tremendamente fuori posto, e attraverso le stanze l’unico suono che si ode è il silenzio surreale dei luoghi proibiti. Tutto è in bianco e nero, un continuo chiaroscuro che non è solo frutto di un’estetica inusuale o di una ricerca artistica sui generis, ma soprattutto un modo per rappresentare simbolicamente la dicotomia tra lusso e povertà, bene e male, sanità e follia. E non solo. È il sistema di gioco stesso a impregnarsi dei colori del buio e della luce, perché in White Night non si può avanzare senza accendere continuamente dei fiammiferi che illuminano le zone d’ombra, né senza premere gli interruttori delle lampade. Nel buio si muovono dei terribili fantasmi che uccidono all’istante, che non possono essere combattuti; ma che possono solo essere evitati con la fuga o dissolti con la luce. Non ci sono altri nemici, e il motivo diventa chiaro leggendo gli splendidi (e numerosi) testi che troverete sparsi per l’enorme villa. Vi troverete così invischiati in una storia turpe, fatta di violenze inenarrabili, omicidi, oscenità della mente, riti alchemici e tribali; e non riuscirete a scoprire la verità fino a quando non avrete scavato a lungo e raschiato il fondo. 
La conduzione di gioco si rifà ai classici survival horror di un tempo come il primo Resident Evil o Alone in the Dark, con ritmi compassati e una spiccata propensione per l’esplorazione degli ambienti, che qui costringe il giocatore a essere paziente e incredibilmente meticoloso. Sebbene appaiano sempre delle icone contestuali nel momento in cui ci si avvicina agli oggetti di maggior interesse, bisogna ammettere che lo stile grafico è talvolta d’impaccio, perché rende un po’ impastata l’immagine e di conseguenza più complicata l’identificazione dello scenario. La situazione si complica ulteriormente quando le inquadrature – rigorosamente fisse – mostrano il protagonista in lontananza. E diventa insopportabile quando a tutto ciò si somma un’ IA nemica e un posizionamento dei fantasmi davvero poco indulgenti, specialmente a partire dal quarto capitolo.
Odi et amo
Le fasi finali si tramutano spesso in sezioni da percorrere effettuando precise gimkane, con la speranza di non sbattere contro i fantasmi e dover così ricominciare tutto dall’ultimo checkpoint. Checkpoint, per l’appunto, attivabili sedendosi su alcune poltrone da cui è possibile salvare i progressi di gioco. Il consiglio è di farlo continuamente, tutte le volte che se ne ha la possibilità, perché morire in White Night è semplicissimo, così come adirarsi e farsi prendere un po’ dalla frustrazione. Va però ben specificato che se è vero che in alcuni punti la densità dei nemici e il loro raggio d’azione sono mal calcolati, è vero anche che spesso i game over sono dovuti all’eccessiva fretta del giocatore, ormai disabituato ai ritmi degli horror degli anni ’90. Quando bisognerà spostarsi rapidamente, le animazioni e gli improvvisi cambi di prospettiva non giocheranno a vostro favore, ma se entrerete nel mood di gioco, vi renderete conto che White Night è un titolo che è stato studiato per essere goduto in gran tranquillità, senza mai cedere il passo alla fretta. Non vi sentirete realmente minacciati o in pericolo, e non avvertirete nemmeno quell’ansia tipica che sa trasmettere il genere; sarete piuttosto invasi dalla tensione nervosa e da quel senso di scoperta che solo i thriller più avvincenti sanno stimolare. White Night è scritto divinamente. Ha un senso del ritmo perfetto, una cura per i particolari d’altri tempi, un modo di raccontarsi efficace, diretto e in linea col periodo storico in cui è ambientato. Non si fa problemi a essere crudo quando deve, e non è mai gratuito o fuori luogo: semplicemente, sa come gestirsi, come tirarvi dentro, come invischiarvi e non lasciarvi più. Qualcuno potrebbe lamentarsi del fatto che un titolo story-driven ha in un certo senso il dovere di lasciarsi giocare più agevolmente, ma sudare per arrivare all’obiettivo e apprendere per gradi i particolari di una storia simile, così dolce e agghiacciante, ha tutto un altro gusto. Pure gli enigmi sono molto buoni e decisamente sopra la media, sia per originalità che per difficoltà. Anch’essi si piegano in favore della storia, soprattutto nel finale, quando si mescolano inaspettate rivelazioni e un gusto per la suspense davvero raffinato.

– Storia scritta divinamente e ottima localizzazione (solo testi)

– Stile grafico azzeccato e sistema di gioco molto particolare

– Cura per il periodo storico sorprendente

– Survival horror dal taglio thriller, ispirato al passato

– Densità e posizionamento dei nemici da rivedere

– Alcune inquadrature rendono complicata la ricerca

– Il bianco e nero, talvolta, rende poco nitide le immagini

8.0

White Night eccelle con prepotenza in parecchi aspetti, ma non riesce a essere un capolavoro per via di una rigidità di game design che appartiene alla fine dello scorso millennio. C’è uno stile incredibile, una storia scritta dannatamente bene, e una cura per certi particolari che ci ha colpito parecchio. Si tratta tuttavia di una perla imperfetta, che avrebbe necessitato di qualche accortezza in più per avere un’attrattiva maggiore su tutti. In ogni caso, i progetti di questo tipo hanno il dovere di essere premiati.

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