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Recensione

The Order 1886

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Avatar di Pregianza

a cura di Pregianza

Pubblicato il 22/02/2015 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7

Come disse il buon Cliffy B, e molti altri game designer prima di lui, “sviluppare videogiochi non è facile”. Ci vogliono talento, fatica, un numero smodato di notti insonni, una cura maniacale per il dettaglio e tanto, tantissimo coraggio. Quest’ultima qualità in particolare è andata scemando negli ultimi anni fatti di remake, reboot e seguiti, anni in cui gli investitori sembrano essersi dimenticati che le serie capaci di macinare milioni di dollari un tempo erano nuove ip, e che gli eroi di oggi erano gli sconosciuti di un decennio passato. In una situazione simile, progetti come The Order 1886 scatenano una sorta di euforia collettiva. È un marchio fresco, supportato con forza da Sony e lanciato come un possibile system seller: più che normale aspettarsi grandi cose da lui e dai suoi sviluppatori, i Ready at Dawn. Peccato che, nel lungo periodo che ha separato l’annuncio dall’uscita effettiva del titolo, il materiale svelato sia stato così poco da spegnere gran parte dell’eccitazione degli esperti per il prodotto, sostituendola con le tenebre del dubbio. Quando abbiamo messo le mani sul gioco, pertanto, le nostre aspettative erano ormai sotto le scarpe, eravamo convinti di trovarci davanti un nuovo Ryse o a uno shooter mediocre. The Order 1886 si è invece rivelato qualcosa di molto più terrificante: un titanico ammasso di potenziale sprecato. In un’era dei videogiochi bisognosa di eccellenze come questa, tale scoperta non può che farci scendere una lacrima.
Bullets and tea
Siamo soliti partire dalla narrativa quando scriviamo una recensione. Stavolta però faremo un’eccezione iniziando da un aspetto che è il caso di affrontare immediatamente, il gameplay. The Order 1886 è fondamentalmente un third person shooter dotato di meccaniche piuttosto classiche: il giocatore può scattare, mettersi in cover più o meno ovunque, e avanza in generale sterminando grossi gruppi di nemici a forza di proiettili o esecuzioni con coltellaccio d’ordinanza dalla corta distanza. Fin qui nulla di atipico, ma quando si esamina il sistema nel dettaglio si notano molte finezze in grado di migliorare sensibilmente l’esperienza. Il cover system, ad esempio, in copertura limita la visibilità del giocatore sfocando la visuale, che può migliorare tirando fuori leggermente la testa (ma esponendosi di conseguenza ai danni nemici), lo scatto è estremamente veloce e garantisce riposizionamenti rapidissimi, la fisica e gli impatti sono di altissima qualità e danno grandi soddisfazioni appaiati alle precise hitbox dei nemici, e il mirino indica le morti avversarie in modo furbo cambiando improvvisamente colore dopo il colpo fatidico. Le armi, infine, sono sfiziosissime e si distaccano non poco dalle tipiche bocche da fuoco da sparatutto tamarro del ventunesimo secolo. Qui abbiamo revolver a doppio colpo potenti come fucili a pompa, canne mozze esplosivi, railgun devastanti, cannoni a polvere infiammabile, e così via per un arsenale tanto ricco di personalità quanto divertente da usare. 
Aspettate comunque ad alzare le braccia al cielo in segno di vittoria, perché ora iniziano i problemi e andremo ben più lunghi nella loro descrizione. I difetti marginali sono legati al design di certi scontri e alla varietà dei nemici, con solo una manciata di tipologie d’avversario (no, il fatto che gli scagnozzi base abbiano armi differenti non ne varia più di tanto il comportamento) e certi scontri contro i Lycan, agili lupi mannari, così mal calcolati da risultare quasi irritanti. Non scherziamo, i cagnoloni non fanno altro che caricarvi a testa bassa in zone poco illuminate che costringono a continue schivate contestualizzate e alla corsa disperata verso un angolino dove poterli eliminare uno ad uno. La difficoltà del tutto, peraltro, è a volte gestita a casaccio: si mantiene facilotta fino alla fine, ma sobbalza a causa di qualche morte davvero ingiusta legata a nemici in grado di eliminare il protagonista con un colpo secco o a spawn inaspettati alla fine di una sezione (rari, ma fastidiosi). In più la meccanica della Black Sight, una sorta di potenziamento temporaneo che rallenta il tempo e permette di mirare automaticamente ricaricabile a forza di uccisioni, è abbastanza abusabile e semplifica ulteriormente un titolo già non troppo impegnativo. 
A difesa dei Ready at Dawn, perlomeno, possiamo dire che l’IA si è rivelata decente, con nemici molto aggressivi anche a difficoltà normal e dotati di una discreta tendenza a stanarci dalle cover a forza di granate, seppur tendenti al moonwalking e non esenti da paralisi improvvise. La Black Sight poi è una manna per levarsi dalle scatole gli irritanti Lycan in pochi secondi. 
Un altro cavaliere oscuro
Le magagne ad ogni modo arrivano ben più a fondo di così e intaccano la produzione fino al midollo, principalmente a causa di una cosuccia chiamata “ritmo di gioco”. Probabilmente dopo la recente descrizione delle sparatorie vi aspettereste uno shooter frenetico e velocissimo, e invece dobbiamo deludervi, perché The Order 1886 ha problemi di ritmo enormi. Passa da “encefalogramma piatto” a “tsunami” da un momento all’altro senza fluidità, soffermandosi sui momenti lenti molto più di quanto sia lecito fare. A volte è quasi estenuante nel suo voler mostrare la bellezza delle ambientazioni con lunghe sessioni di camminata, sparatorie limitate in compagnia di una torcia e cutscene interminabili. In più la campagna è piena zeppa di QTE, pause ingiustificate e scontri troppo brevi per risultare memorabili. 
Ok, si può in verità capire la volontà degli sviluppatori di gongolarsi in questo modo: nel titolo di Ready at Dawn ogni mappa è un atto d’amore, per ogni stanza ci saranno voluti mesi di lavoro, e il livello di dettaglio di certe ambientazioni è da disintegrazione istantanea della mascella. The Order è dopotutto un gioco bello, anzi, bellissimo da vedere, che stupisce di continuo con la sua Londra alternativa ricca di sfaccettature e la sua maturità. È un’opera dark che non si preoccupa di mostrare la decadenza del suo mondo o scene a dir poco crude, e nel farlo guadagna ancor più carattere. L’impatto diventa poi devastante se ci si fa prendere dalla storia, che risulta ben narrata e ricca di personaggi carismatici, a partire dallo stesso protagonista, Galahad, un duro cavaliere senza macchia desideroso di scoprire a tutti i costi il marcio che si cela dietro ai poteri di Londra e all’antico Ordine di cui fa parte. 

È proprio osservando il background eccezionale di quest’opera che la tristezza si fa tangibile… The Order è costruito attorno a una mitologia incredibilmente complessa e affascinante, che rielabora e reinserisce nelle sue pagine virtuali personaggi storici ed eventi importantissimi senza sforzo e potrebbe dar vita a qualcosa di seriamente epico. Eppure tutto ciò viene dilapidato da una durata davvero scarsina che si attesta attorno alle sei ore, dai problemi di ritmo sopracitati e da un finale che non vogliamo in alcun modo spoilerarvi, ma sappiamo già lascerà l’amaro in bocca a molti come l’ha lasciato a noi. 
Il fatto più preoccupante è che quelle 6 ore sembrano anche molte di meno mentre si gioca, perché diluite da troppe scene accorciabili, meno ricche di azione di quanto dovuto, e spezzate dalla presenza nella campagna di collezionabili, oggetti e testimonianze sparse che poco o niente aggiungono all’esperienza, e il più delle volte sembrano messì lì a mò di ulteriore vanto per la capacità del team di creare modelli 3D dettagliati e texture ben definite. Qualche fase stealth infilata in modo sensato nel mix non è certo abbastanza per ravvivare la tensione e preferiamo proprio evitare di descrivere un paio di QTE boss fight presenti, che dovrebbero sparire per il bene dell’umanità.
Bloody Raw
Tornando sul comparto tecnico, The Order non arriverà a 60 fps ma resta uno spettacolo per gli occhi. Abbiamo già elogiato il dettaglio incredibile di ogni location, eppure vanno spese parole anche per la qualità dei modelli tridimensionali, per l’illuminazione e la gestione dei tessuti e per la distruttibilità di certi oggetti. Occhio però, tanta meraviglia non è apparsa dal nulla, gli sviluppatori hanno dovuto limitare obbligatoriamente la loro opera per farle raggiungere un tale splendore.  Siamo in fin dei conti davanti a un enorme corridoio con poche varianti, ricchissimo in quanto a densità di oggetti, nemici e varietà dei suoi pezzi, ma pur sempre incredibilmente semplice e lineare. La stessa fisica del gioco è stata limitata per molti oggetti, inspiegabilmente indistruttibili anche se affiancati da altri che saltano facilmente per aria quando colpiti. Ne siamo consci, fare di più sarebbe stato improbabile, eppure il retrogusto amaro non se ne va. Almeno i bug non abbondano, di problemi tecnici ne abbiamo notati pochi durante l’avventura e il filtro granulare non ci ha infastidito, risultando più una scelta stilistica che un modo per coprire le imperfezioni. 
Incriticabile invece il sonoro, con musiche che si sposano alla perfezione alle scene e doppiaggi di qualità lodevole anche in italiano. Il doppiatore di Galahad risulta forse un po’ troppo “arrabbiato”, ma va detto che con il suo tono furioso riesce a far sembrare il protagonista ancor più fiero ed eroico.

– Graficamente splendido e ricco di atmosfera

– Shooting solidissimo e armi piuttosto originali

– Background eccezionale e ottimi personaggi

– Troppo breve

– Ha enormi problemi di ritmo

– Alcune scelte di game design poco intelligenti e un eccesso di QTE

– Crolla sul finale

7.0

In un periodo bisognoso di nuove ip promettenti come questo, constatare lo spreco di potenziale di The Order è un colpo al cuore. Avevamo approcciato il titolo con aspettative molto basse, ma vederlo spezzare i nostri iniziali preconcetti solo per poi crollare miseramente a causa di un finale scellerato, di una durata fin troppo limitata per il prezzo di vendita, e di alcune scelte di game design tutt’altro che geniali, è stato dolorosissimo. Rimane uno shooter più che degno quando permette di farsi giocare, ma poco altro. Peccato.

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