Recensione

Hatred

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Il mio nome non è importante. Quello che conta è ciò che sto per fare. Odio questo mondo e i vermi che banchettano sulla sua carcassa. La mia vita non è che odio freddo e amaro, e ho sempre voluto morire di morte violenta. È il momento della vendetta, e nessuna vita è meritevole di salvezza. Ne seppellirò quanti più potrò. È tempo che io uccida. Ed è tempo che io muoia.
Queste parole, assieme a un furbo trailer montato per accendere gli animi e fare facile propaganda sensazionalistica, hanno completamente alterato la percezione di un gioco che è a conti fatti qualcosa di ben diverso da quanto inizialmente ci si aspettava. A posteriori, quella tempesta di polemiche che avrebbe potuto assumere proporzioni ancora più grandi, oggi fa veramente sorridere. E fa tenerezza almeno quanto l’innocuo livore del protagonista senza nome, che pare più una macchietta da teatrino di quart’ordine anziché l’incarnazione del Maligno sulla Terra.
Vi odio, dunque vi ammazzo
Hatred è un sparatutto con visuale isometrica piuttosto classico, con nessun vero elemento distintivo rispetto agli altri titoli che circolano e circolavano nel mercato. Le poche missioni che dovrete superare sono strutturate come se fossero composte da una sequela sconnessa di obiettivi secondari, finalizzati all’uccisione dissennata di qualunque essere umano si trovi nelle vicinanze. Obiettivi secondari che fungono però da utili checkpoint, senza i quali sarete costretti a ricominciare da capo il livello, ripetendo ossessivamente le stesse azioni di guerriglia urbana nella speranza di non essere aggrediti da poliziotti in grado di colpirvi a morte da ben oltre l’inquadratura di gioco. 
Tra fare fuori tutti gli ospiti di un albergo, sterminare agenti in una stazione di polizia o uccidere un numero predefinito di civili, non troverete nessuna sostanziale differenza: i cittadini scapperanno in preda al terrore proprio delle bestie portate al macello, imploreranno pietà tutti allo stesso modo durante le esecuzioni, e non vi trasmetteranno mai alcun tipo di empatia. Si faranno riempire di pallottole con grande facilità, perché sono in realtà solo degli oggetti che vi servono per recuperare la salute tutte le volte che li farete fuori con brutalità. Lo stesso vale naturalmente anche per i poliziotti, che saranno però adeguatamente armati e capaci di colpirvi da ogni direzione, senza farvi capire da dove stiano effettivamente arrivando le pallottole. Questo grosso problema, specialmente nella seconda metà dell’avventura, diventa una grande fonte di frustrazione. Mirare manualmente più in profondità per scorgere e abbattere i nemici significa concentrarsi solo su un angolo della schermata, diventando così un facilissimo bersaglio impossibilitato a rispondere adeguatamente al fuoco dei poliziotti. I conflitti si trasformano spesso in un incontrollato bailamme dal quale è meglio fuggire per cercare di riorganizzarsi e affrontare la minaccia con un po’ più di ordine, ma in alcune mappe al chiuso questa possibilità vi è preclusa e vi ritroverete a fare la fine dei topi. Sarete costretti insomma ad affidarvi alla buona sorte e a qualche elemento dello scenario da far esplodere, mentre sparate all’impazzata cercando di superare le ondate di nemici alla bell’e meglio. 
Come to daddy
L’evidente sbilanciamento della difficoltà, assieme ad alcune scellerate scelte di game design, spegne l’entusiasmo già dopo un paio di partite. Non bastasse già la grande mediocrità che permea l’intera produzione, dovrete fare i conti anche con un sistema di controllo assai insoddisfacente. La mappatura dei comandi non è affatto comoda e premere la levetta sinistra per correre è un’opzione che avrebbe dovuto essere scartata immediatamente, visto che Hatred non è un fps. Controllare i veicoli è invece un autentico inferno: tutte le volte che salirete a bordo di un mezzo, preferirete scendere immediatamente e coprire le distanze che vi separano dall’obiettivo a piedi. Ci sono poi altre imperfezioni che possono essere considerate minori, come l’eccessiva lentezza del lancio delle granate, la sostanziale inutilità del tasto per accovacciarsi, il personaggio che si blocca in alcuni elementi dello scenario e qualche glitch grafico imprevisto dopo le esplosioni. 
L’aspetto lugubre di Hatred, con luttuose tonalità di grigi, è una buona scelta artistica che funziona solo a metà, perché l’eccessiva presenza monocromatica degli scenari tende spesso a creare un impasto coi nemici che vi vengono incontro. E considerando che non potrete sempre osservare con prontezza i puntini rossi sulla minimappa, sarebbe stato più intelligente rendere immediatamente visibili i vostri avversari, soprattutto perché sono già avvantaggiati nei conflitti a fuoco sulla lunga distanza. 
Olocausto umano
La sensazione costante che non potrete fare a meno di avvertire, quella più avvilente e sconsolante tra tutte, è che Hatred sia un gioco costruito attorno alla volontà di fare scalpore a tutti i costi. Il punto, però, è che Destructive Creations non ci riesce nemmeno per un attimo, perché rende ridicolo il suo protagonista tutte le volte che apre bocca per ripetere ossessivamente le solite frasi cariche d’odio e disgusto per la specie umana. Dopo poco tempo vi renderete conto di quanto sia sciocca e sterile questa assillante tiritera, che è in sostanza l’ennesima prova dell’incapacità degli sviluppatori di riuscire a colpire nel profondo. In Hatred non trova mai spazio l’accenno di una qualche forma di satira, non c’è alcun tipo di critica sociale, non esiste nemmeno uno stralcio di informazione sulla storia e sulle motivazioni del protagonista, e non c’è nemmeno un reale motivo per cui il giocatore debba appassionarsi alle gesta dell’Antagonista. E questo perché è il gioco stesso a impedirvelo. Ve lo impedisce nel momento in cui vi chiede di sparare a caso a dei cittadini che hanno la stessa valenza di un cumulo di zombi. O di formiche. Il disperato tentativo di scioccare a tutti i costi è solo un grido che si perde nel vuoto, ed è in definitiva una volontà che si è ritorta grossolanamente contro gli sviluppatori. Hatred è un titolo dai contenuti risibili, una festa di banalità narrativa mista a mediocrità su cui non resta molto altro da dire. Saremmo stati felici di avere un nuovo Manhunt o un Postal in salsa moderna, e avremmo accolto a braccia aperte anche un titolo che sapesse sfruttare in qualche modo le tematiche che si è vantato di sdoganare con grande apertura mentale. Così com’è, però, Hatred è solo il nome di una buona campagna commerciale che ha dovuto fare i conti con la vacuità e la validità di ciò che voleva propinare.

– Marketing molto furbo…

-…Che diventa inutile davanti a un gioco che vale poco

– Alcuni controlli sono da manicomio

– Difficoltà sbilanciata

– Noioso e ripetitivo

3.5

Hatred prova a essere l’emblema della controversia a ogni costo, ma fallisce clamorosamente il suo obiettivo.

Brutte notizie anche per chi vorrà giustificare il suo acquisto asserendo che si tratta solo di un titolo che vuole intrattenere facendo spegnere il cervello all’utente, perché Hatred non riesce nemmeno a fare questo. Risparmiate i vostri 16,66 euro; l’Anticristo era solo un agnellino smarrito.

Voto Recensione di Hatred - Recensione


3.5