Il mondo degli indie games viene visto come un’ancora di salvezza per molti sviluppatori sconosciuti, un’oasi verdeggiante dove i sogni di chi ha sempre voluto sviluppare videogames possono divenire realtà. La situazione, tuttavia, è ben diversa. Sarà anche vero che oggi l’industria offre molte più chance ai programmatori ignoti, ma distinguersi tra la massa di talentuosi studi indipendenti non è un’impresa facile, è una guerra, dove solo i più forti sopravvivono e buona parte dei meno ispirati cadono come mosche.
I Klei Entertainment sono entrati in questo mondo gradualmente, facendosi notare con un beat ‘em up a scorrimento dalla vivace grafica 2D chiamato Shank, e in seguito esplodendo grazie a Mark of The Ninja, uno stealth game puro sempre privo di poligoni che ha stupito praticamente tutti.
Questi ragazzi hanno dimostrato di poter gestire generi diversi mantenendo una pulita e piacevole grafica bidimensionale, sfruttando in primo luogo le idee e mettendo in secondo piano la spettacolarità tecnica. Una formula vincente che ha portato ogni loro annuncio a venir accolto con aspettative piuttosto elevate dalla stampa. Con la sua ultima opera il team ha voluto ancora una volta rimescolare gli ingredienti, buttandosi sul poco diffuso (e sempre più snobbato dalle grosse produzioni) genere del survival game. Il loro progetto più recente si chiama Don’t Starve ed è recentemente spuntato su Steam dopo una longeva beta che ha visto gli sviluppatori ritoccarlo in molteplici aspetti. Noi chiaramente abbiamo seguito il titolo durante tutta la sua evoluzione, e oggi siamo pronti a dirvi se i Klei hanno dimostrato ancora una volta di potersi buttare su ogni tipologia di gioco, o se hanno fatto il loro primo passo falso.
Bear Grylls insegna
Don’t Starve inizialmente vi mette nei panni di Wilson, una sorta di versione molto stilizzata di Johnny Depp con una passione malsana per la scienza. Come spiegato da uno dei trailer di presentazione (non c’è un video introduttivo della trama nel gioco, né una vera e propria narrativa, anche se una storia di fondo è presente e legata a una modalità descritta più avanti), Wilson dopo un esperimento andato male viene contattato da una non meglio precisata “voce” che promette di svelargli oscuri segreti e teorie arcane che superano la scienza umana. Il nostro, senza calcolare minimamente le conseguenze, segue alla lettera le indicazioni del suo nuovo mentore immaginario e crea una strana porta, che una volta attivata lo conduce di forza in un nuovo mondo. Completamente solo, disorientato, e in un luogo molto più pericoloso di quanto appare, dovrà sopravvivere usando al meglio il suo ingegno e le sue conoscenze scientifiche.
Una premessa semplice e ben congegnata che mette subito in chiaro il compito del gioco, come se non l’avesse fatto già abbastanza il suo titolo. Lo scopo primario dell’opera Klei è restare in vita, e per farlo sarà necessario tenere costantemente d’occhio la salute, lo stomaco e la sanità mentale del protagonista.
Questo non è uno di quei prodotti che prendono per mano il giocatore spiegandogli ogni meccanica passo dopo passo. Si viene abbandonati in un luogo ostile esattamente come Wilson, e l’unica cosa che si osserva con una certa velocità è la capacità del nostro alter ego di raccogliere oggetti dalla mappa e di trasformarli rapidamente in strumenti utili per tenersi stretta la pellaccia.
Tutto ruota, appunto, attorno a tre indicatori chiaramente visibili. Quello legato alla panza si svuoterà gradualmente con il passare del tempo, quello della salute mentale perderà colpi venendo a contatto con specifici fattori ambientali, mentre quello della salute calerà ad ogni attacco subito dalle bestie feroci che infestano il mondo.
Ah, non vi abbiamo detto la cosa più importante. La morte qui è permanente e non ci sono salvataggi. Già, non si scherza per niente: gli sviluppatori non hanno minimamente pensato di inserire modalità facilitate o opzioni per i meno allenati, in Don’t Starve un singolo errore può costringere a ricominciare tutto da capo, lasciando al giocatore solo qualche misero punto esperienza. Si tratta di una scelta che inumidirà gli occhioni dei gamer veterani, ma colpirà spesso come una martellata sugli stinchi gli utenti meno pratici, specie quando vedranno il loro personaggio morire dopo giorni di attenta pianificazione ed esplorazione con i piedi di piombo. Vi sono oggetti capaci di evitare la crudele dipartita del proprio simpatico omino, ma sono limitati e quello più utile è praticamente inutilizzabile se si utilizza un protagonista diverso da Wilson.
Da molti punti di vista il sistema fondamentale ricorda quello di Minecraft. All’inizio è necessario raccogliere elementi di base per costruire asce, picconi e pale con cui poi risulta possibile ottenere materiali più avanzati, e continuando a forza di esperimenti si ottengono sempre più competenze fino a divenire costruttori provetti. Come nell’opera di Notch c’è un ciclo giorno/notte, ma qui è definito in modo più netto e vagare al buio è praticamente un suicidio. Quando calano le tenebre è obbligatorio avere una torcia o un falò a disposizione, pena una morte certa per mano di terrificanti bestie d’ombra in una mappa con zero visibilità. La fase notturna dura poco, ma durante il giorno non si sta comunque tranquilli, poiché le creature aggressive non mancano e i pericoli capaci di mandare il protagonista all’altro mondo spuntano da ogni angolo.
La stessa mappa, nell’unica modalità attivabile dal menu principale, non è altro che un mondo sandbox generato casualmente, dove possono comparire oggetti e mostri di ogni genere e le divisioni tra le zone sono nettissime. Le locazioni paludose nascondono molte insidie, ma anche alcuni elementi utili ritrovabili solo nella fanghiglia, mentre a pochi metri di distanza si possono incontrare facilmente campi zeppi di strani conigli pronti per essere catturati e cucinati, foreste verdeggianti popolate da ragni enormi, zone desertiche ricche di rocce e tante altre peculiari zolle di terreno. Non si parla inoltre di zone limitate, ma di mappe spesso enormi che continuano per chilometri e costringono a ore e ore di camminata per essere navigate nella loro interezza.
Adesso, detta così potrebbe sembrare un altro gioco senza uno scopo finale proprio come il già citato Minecraft, ma privo della stessa libertà creativa visto che, in Don’t Starve, le costruzioni sono limitate dalla bidimensionalità e dal numero minore di elementi. Invece l’opera di Klei nasconde un numero impressionante di segreti, tanto che tra questi vi è pure una campagna chiamata Adventure Mode, che va attivata durante la modalità Sandbox base trovando una misteriosa porta (ci possono volere decine e decine di giorni in-game prima di beccare casualmente la fantomatica struttura). L’Adventure Mode è diviso in capitoli di difficoltà crescente, segue una trama semplice ricollegata direttamente all’incipit, e in caso di morte riporta istantaneamente il giocatore alla partita iniziale.
Caos matematico
L’attrattiva principale di Don’t Starve è proprio il gusto della scoperta. In questo gioco si può costruire un po’ di tutto una volta trovati gli oggetti giusti, ed evolvere i propri banchi da lavoro da rudimentali “macchine della scienza” a mistici altari d’ombra ove il giocatore può persino dedicarsi alla creazione di artefatti magici e armi oscure. La completa casualità della mappa vi porterà a testare decine di combinazioni, e vi insegnerà ogni volta dove è meglio trattenersi, quali mostri è il caso di sfidare e quali no, e come muoversi per essere sicuri di rimanere in vita per un numero degno di giornate.
Questa natura randomica del titolo, unita al numero di scoperte che si fanno partita dopo partita, ai personaggi multipli sbloccabili guadagnando esperienza o nascosti nell’Adventure Mode, e alla difficoltà piuttosto elevata legata alla permadeath e al dover tenere costantemente d’occhio lo stato del proprio survivor virtuale, può trasformare Don’t Starve in una vera droga, capace di catturare senza pietà. E’ brillante, nella sua semplicità, e costantemente aggiornato, tanto che i Klei segnalano periodicamente l’arrivo delle patch future e hanno intenzione di introdurre di continuo nuove sorprese nel loro pargolo.
L’anima caotica e misteriosa del gioco è anche però la sua unica debolezza. Come è vero che la formula può catturare un giocatore, può anche stancarlo dopo poco, specialmente se si considera la basilarità delle interazioni fondamentali con la mappa e la ripetitività della raccolta di certi elementi indispensabili. Il fatto che gran parte dei costituenti più apprezzabili e complessi del titolo siano godibili solo per coloro che vorranno indagare a fondo nella sua struttura, inoltre, aliena automaticamente quei giocatori desiderosi di un’esperienza survival elaborata fin da subito, o profondamente innovativa.
I Klei hanno creato un videogame senza compromessi, che usa ottimamente gli elementi dei sandbox e dei survival, ma non rivoluziona né innalza particolarmente la formula. Insomma, si tratta di un risultato eccellente e coraggioso, che però non ha vie di mezzo. Amerete Don’t Starve fin dai primi minuti o vi annoierà e frustrerà a morte.
Il gioco offre una mappa tridimensionale ruotabile a piacere, sulla quale ogni singolo elemento è in 2D. E’ una soluzione furba, che dona all’opera uno stile grafico con carisma da vendere, ispirato non poco dai lavori di Tim Burton. L’aspetto dark e unico di Don’t Starve è azzeccatissimo, e gli permette di girare su pc non particolarmente performanti senza troppi sbalzi. Noi l’abbiamo provato su una configurazione di fascia alta e l’unico problema che abbiamo riscontrato è stato un crash in fase di chiusura di una partita, che non si è poi in seguito più ripetuto. Anche il sonoro è molto caratteristico, con le voci dei personaggi che non sono doppiate ma rappresentate da specifici strumenti a fiato, ottimi effetti ambientali e musiche che ben si sposano con il resto.
– Gameplay senza compromessi, tutto da scoprire e impegnativo
– Stile grafico unico e piacevolissimo
– Aggiornato frequentemente, e potenzialmente infinito se la formula cattura
– O si ama o si odia, senza vie di mezzo
– Meccaniche fondamentali piuttosto semplicistiche, che possono venire a noia
I ragazzi di Klei Enterteinment stanno rapidamente dimostrando di essere tra i più talentuosi in assoluto nella scena indie. Don’t Starve non è un titolo perfetto, non innova i survival né presenta caratteristiche in grado di renderlo un capolavoro da giocare a tutti i costi, ma la sua formula senza compromessi, che lancia il giocatore in un mondo brutale e tutto da scoprire, avvalora ancora una volta la capacità della software house di buttarsi in ogni genere mantenendo la sua unicità. Che la struttura di questo interessante videogame vi catturi o no, è innegabile che si tratti di un prodotto di alta qualità, capace di catalizzare ancor di più l’attenzione della stampa su questo peculiare team di sviluppo. Qualunque progetto futuro abbiano in cantiere i Klei, ormai abbiamo una serie infinita di ottime ragioni per aspettarlo con impazienza.